Qualche giorno fa anche Roots dei Sepultura ha compiuto vent’anni. è uno dei dischi che ho più ascoltato in vita mia, stiamo dalle parti del migliaio di volte (una al giorno per due anni, ascolti frequenti a seguire); questo è più o meno quello che ricordo di tutta la faccenda. I nomi sono quasi tutti pseudonimi.
APPROCCIO
Conobbi i Sepultura al liceo scientifico. Nella mia classe non erano tantissimi i fanatici di rock: Nicola era un fanatico di roba classica, Doors e Deep Purple eccetera, ma era andato a vedere i Metallica a Milano. Fabio era un grosso fan di Guns’n’Roses e Nirvana e nei primi anni del liceo era la mia più grande influenza; direi che questo era quanto. Poi d’improvviso Matteo s’innamorò dei Sepultura. Nell’ultimo biennio era riuscito ad alzare tantissimo il livello dello scontro interno alla classe: canticchiava i motivetti di Arise e Chaos AD per tutto il tempo e dopo un po’ aveva iniziato a fare le sue canzoni, testi piuttosto fighi che parlavano di distruzione cieca e disgusto. A furia di menarla mi attaccò la malattia. Chaos AD era solo l’avvisaglia del problema: ci finii sotto con Roots. A quei tempi mangiavo già le riviste musicali a colazione, e quel disco veniva recensito in tempo reale come uno dei più grandi passi in avanti del metal, il modo in cui in qualche modo quella musica avrebbe suonato da lì in poi –lo fosse o meno. Matteo pensava che Roots non valesse molto rispetto ai dischi precedenti.
CONDIVISIONE
Quando Roots uscì non avevo ancora compiuto 19 anni. Iniziò a diventare socialmente importante nel corso dell’anno successivo, ed entro i 20 era un libro di testo indispensabile all’interno del giro di rockettari delle nostre parti. A un certo punto ti trovavi nella pista piccola di discoteche rock come il Roxanne (che di lì a poco sarebbe stato rinominato Rock Planet), il dj metteva Ratamahatta, venti energumeni iniziavano a menarsi con un senso del ritmo davvero inedito per certe piste. La gente sottovaluta molto l’impatto che ebbe una canzone come Ratamahatta sul pogo: lo rese più stiloso, più personalistico, volendo anche più “tribale”. Beccavi le spinte di certi hardcore kids di novanta chili col barbone, cadevi a terra, si fermavano tutti, ti rimettevano in piedi, si assicuravano che stessi bene e ricominciavano a menarsi con questo ritmo incredibile che pulsava a bestia. Certi tizi stramazzava ubriachi ai lati della pista e quando partiva Ratamahatta li vedevi saltellare in mezzo con uno stile che non gli avresti riconosciuto manco da sobri (poi magari andavano avanti due minuti e si trascinavano in bagno a sboccare sotto l’occhio furibondo del buttafuori dislocato davanti ai cessi, o almeno a me è successo di farlo un paio di volte). Voglio dire, con Territorial Pissings le cose erano molto più prosaiche. Al di là di questo, nel mio giro di amici c’era un consenso sui Sepultura che non trovai più su nessun gruppo in seguito: tre o quattro fanatici convinti, tre o quattro persone a cui il disco piaceva, tre o quattro persone che se mettevi il disco non provavano a ucciderti. Le cose metal più grosse che seguirono Roots (a partire da The Great Southern Trendkill per passare a Life is Peachy e poi a The More Things Change e roba simile), per quanto mi riguarda, furono viaggi assolutamente personali o condivisi con molte meno persone.
CONFLUENZE
Roots uscì in un periodo storico nel quale iniziava a vedersi una cesura importante all’interno della musica pesa. I Sepultura si trovarono ad essere vessilli di un fantomatico cambiamento di passo, più per questioni di contorno che per la reale sostanza innovatrice del disco. Roots in fondo è un classicissimo disco groove metal con in più alcuni inserti di tamburo tradizionale pescato da qualche parte in Amazzonia, ma il fatto di averlo registrato con Ross Robinson e di ospitare nelle tracce gente come Mike Patton, Jonathan Davis o Carlinhos Brown proiettava quest’idea di apertura mentale che si attaccò addosso a Max Cavalera e lo spinse, dopo l’uscita dal gruppo, a partorire quello che in prospettiva è risultato uno dei discorsi artistici più ridicoli che la storia del metal abbia mai conosciuto. Poco dopo l’uscita di Roots i Korn infilarono il successo di massa con Life is Peachy e il pubblico metal si spaccò in due: chi decise di correre dietro a un discorso di ibridazioni sempre più radicali e complesse, e un pubblico di gente sempre più chiusa su un suono che doveva essere classico e basilare ad ogni costo. Due o tre anni dopo Roots era obbligatorio scegliere se vestirsi con giubba di pelle, anfibi e capelli lunghi fino al culo o se andare in giro con i pantaloni larghi, un paio di Adidas ai piedi, la felpa rovesciata, i capelli tinti e il pizzetto che si allungava fino al torace. A quel punto ero già lanciatissimo verso il crossover, come del resto quasi tutto il pubblico statunitense: il numero di abusi che abbiamo dovuto sopportare dal ’99 al 2004 va oltre l’umano senso. Poi è stato semplicemente rimosso dalla coscienza collettiva.
MUSICA
Oggi Roots è il miglior disco dei Sepultura. Nel senso che è l’unico che riascoltato non soccombe al tempo, che sembra avere anche oggi un briciolo di senso. Riascoltare Arise o Chaos AD vuol dire soprattutto scendere a patti con dei suoni che rendono solo parte della violenza che stava dentro quei pezzi. Le chitarre ovattate di Ross Robinson invece sembrano ancora avere un senso che in molti altri gruppi oggi è difficile ritrovare: Attitude,Lookaway, Straighthate e le cose un po’ più anonime fanno ancora una bella macelleria. Ma se qualcuno mi avesse chiesto di Roots fino al 2000 sarei stato disposto a rispondere che era uno dei migliori dischi della storia. Se me lo chiedeste oggi, invece, direi che i Sepultura erano un gruppo un po’ di serie B: non avevano la personalità dei Pantera, non avevano la scrittura degli Entombed, non erano innovativi e violenti quanto gli Slayer, non disturbavano quanto i Carcass. Facevano quel che dovevano. Magari in un altro paio di dischi sarebbero stati roba da storia della musica, chi lo sa. Le successive uscite di Soulfly e Sepultura hanno abbassato il livello ad un punto che non era più sensato continuare ad accanirsi. Sta di fatto che Roots non ha lasciato tutti questi strascichi muisicali: i Korn, arrivati alla consacrazione appena dopo, furono molto più determinanti per il metal a venire. Ci fu, è vero, un periodo in cui Max Cavalera era determinante nel benedire alcuni giovani musicisti del giro nu-metal (che in molti casi sarebbero diventati più grossi di lui: Corey Taylor, Chino Moreno, Fred Durst, lo stesso Davis); ma nel suo ruolo di garante di un qualche “estremismo” del nu-metal riuscì a conservare quella posizione solo fino a quando il genere non era sputtanato. Poi arrivò un nuovo modo di concepire il crossover e di questo vecchio arnese con i dreadlock puzzolenti nessuno sapeva bene che farsene.
ESTETICA
Avevo imparato a disegnare il crostaceo dei Sepultura, e avevo iniziato a mettere via i soldi per tatuarmelo in un polpaccio. Scoprii solo in seguito (guardando un VHS contenente i tre video realizzati per il disco) che non era un crostaceo ma la revisione tribale di una lettera S. Mi sentii davvero molto imbecille a non averci pensato per conto mio, ma il punto è che l’avevano fatto apposta per tirarci fuori un taguaggio. Andai avanti per mesi a metter via i soldini per farlo nel polpaccio, poi li spesi per qualcos’altro che non ricordo, dischi o qualcosa così, e allora addio tatuaggio. Mi lamentai per diversi anni di non averlo realizzato, quasi tutta la durata dell’università. Quando iniziai a guadagnare uno stipendio mensile e potevo andare a tatuarmi quel che volevo quando preferivo, il tatuaggio era già diventato una cosa trendy e qualche amico aveva già sfregiato l’avambraccio col nome dell’amata o del primogenito in caratteri gotici. Il fatto di poter guardare oggi la mia gamba sinistra e non trovarci un crostaceo tatuato a forma di lettera S è la più grande prova che personalmente posso fornire a sostegno dell’esistenza degli angeli custodi. Lo stesso non può dire il mio amico Fabrizio, con il quale purtroppo ho perso un po’ il giro, che si è tatuato lo stemmino dei Soulfly nello stesso posto dove io avrei voluto mettere il crostaceo. Se siamo disposti a cercare nelle piccole cose il nostro riscatto, possiamo essere spinti ad accettare che questo, in fondo, sia il migliore dei mondi possibili.
Tolti i drammi della maturità, rimane una piccola storia per dire che i Sepultura avevano questa estetica fichissima, impareggiabile per un gruppo metal di quel periodo. Stavano a metà tra quel rusty pecoreccio alla Pantera e la divisa metal dura e pura; non vestivano il total-black dei Metallica o le declinazioni yo-yo del crossover, ma la loro musica era rispettata da entrambi. La t-shirt più quotata dei Sepultura all’epoca era stronza in modo raro: un rip-off della maglia della nazionale di calcio brasiliana col crostaceo al posto dello scudetto. Non dico la si potesse portare agli aperitivi bene, ma quasi: l’unico problema era la scritta SEPULTURA che campeggiava a caratteri cubitali lungo tutta la schiena e poteva generare qualche equivoco. Fu solo cinque o sei anni dopo che s’iniziarono a vedere tutti quei tamarri, ammassati in posti per tamarri, indossare magliette e felpine con sopra scritto mia mamma è una puttana in spagnolo. E a quel punto la scritta SEPULTURA sarebbe stata il male minore, ma Max Cavalera a quei tempi era già uscito dal gruppo, i Soulfly avevano già iniziato a scendere la china, i Sepultura avevano già iniziato a scendere la china. Guardandomi indietro credo di doverli ringraziare almeno per quello: il risultato finale di tutto quel terzomondismo in nice price con cui ammantavano le copertine dei dischi è stato di poterli ascoltare senza necessariamente indossarli, o di poterli indossare senza necessariamente sembrare uno della tribù di cui di lì a poco sarebbero andati cianciando.
Ricordo un mio compagno di liceo che era uscito di testa per un pezzo del disco che era “tutto in MI”.
Io non ho mai suonato nulla e non ho idea se fosse vero o meno, ma lui era un chitarrista piuttosto riconosciuto all’interno del mio liceo quindi fonte attendibile.
Per me Roots è l’inizio della fine. Queste però sono opinioni. Io se penso ai Sepultura penso alla copertina di Chaos A.D. in un vecchio catalogo Negative e già mi sto mantenendo largo – la commozione vera è per i quattro che parlano in un inglese ancora a modo loro in uno speciale Headbangers Ball forse del 1990, roba da VHS passato da un amico. A parte questo, ti stai un pelino infognando su questa cosa dei 20 anni di un disco. Ma forse è perché come mi dicesti una volta Bastonate oramai lo scrivi solo te.
“il numero di abusi che abbiamo dovuto sopportare dal ’99 al 2004 va oltre l’umano senso. Poi è stato semplicemente rimosso dalla coscienza collettiva.”. CONFERMO.
Sottoscrivo, questo Around the Fur, Master of Puppets, Aenima e Vitalogy erano in Loop sul mio stereo di Liceale (Sfigato). Erano dei Buzzurri e forse non hanno inventato nulla, ma Roots per me è ancora oggi un gran disco…
Beh, comunque fa più piacere leggere un pezzo tuo, che tenta un minimo di contestualizzazione, che le solite manfrine da metallaro osservante che ti spiega perché questi Sepultura facevano schifo mentre invece “Arise” è un discone e “Chaos A.D.” è stato l’inizio della fine. Possiamo discutere di tutto, ma Mastella al confronto di questi ci fa la figura del rivoluzionario di professione.