“We were not just some band.”
Phil Anselmo
A un certo punto, è maggio o giugno, le persone iniziano a suicidarsi in massa. Dipende dal caldo. È la teoria di una tizia che lavora al negozio di alimentari di mia madre, supportata dall’evidenza empirica di un paio d’anni da pendolare a non so che scuola in Toscana. Dice che quando arriva il caldo i treni tardano sempre perchè qualcuno ci si butta sotto, e poi la gente sta ferma dentro al vagone e inizia a strippare a sua volta. Prima arriva il caldo, più la gente esce di testa. Hai presente quando capita una qualche giornata afosa in aprile? Gli esseri umani della zona temperata non sono biologicamente preparati a sudare in aprile. Questa è più o meno la cosa più interessante che imparo a inizio estate 1996. Il negozio di mia mamma ha bisogno di manodopera e io mi devo intervallare tra gli studi universitari e la cassa del Conad. Gli altri discorsi che si ascoltano alla cassa del Conad sono storie di decadenza paesana, e tutte le estati sono le stesse: si dorme con la finestra aperta fino a che non si sente delle prime case che sono state svaligiate, la settimana prima c’è stato un incidente in centro al paese, un negozio sta chiudendo, un piadinaio sta aprendo dalle parti di Budrio, dicono che il comune non dà i permessi di fare la rotonda, hanno beccato una coppia di ragazzini a scopare in mezzo a un campo, maschio e femmina intendo (che nel 1996 gli omosessuali ancora non esistono). D’estate, nei paesi come il mio, la gente rinasce. Il corpo smette di pesare come un macigno, la sera si esce sempre, i ragazzini smettono di pascolare per le vie deserte di Cesena il sabato sera alla disperata ricerca di un gruppo di ragazzine, si rovesciano sul lungomare di Cesenatico sfruttando i pochi neopatentati disponibili. Al campetto della chiesa inizia il torneo di calcio a 7, molti partecipano, molti stanno sugli spalti a guardare. D’estate sei fuori casa cinque giorni a settimana, gli altri due recuperi il sonno o guardi i film horror su italia uno. Al TG c’è sempre il caldo record, intervallato alla bomba d’acqua. I medici raccomandano di bere molta acqua e per altri quindici anni nessuno mi parlerà di storytelling. La canzone più ballata dell’estate 1996 potrebbe essere Children di Robert Miles.
È difficile pensare a un disco meno estivo di The Great Southern Trendkill, e forse è per quello che in quell’estate mi si attacca addosso. Nell’estate del ‘96 ho diciotto-quasi-diciannove anni, la patente da poco, riesco a montare l’autoradio in macchina col primo stipendio, tra virgolette, che prendo al negozio. Non ho ancora un lettore CD in casa, e la cassetta me la faccio doppiare da un amico del mio paese in cambio di una bevuta. Tra i diciotto e i diciannove anni è importante avere musica nello stereo che una ragazza non potrebbe mai ascoltare. Perchè? Non lo so. Sta di fatto che ho l’immagine di me che passo col disco a palla e i finestrini abbassati in giro per le strade del mio paese, o a fare karaoke inventandomi le strofe di Floods in fila al semaforo di Porta Santi, manco fossi dentro a Fusi di testa, col tizio in fila davanti a me, Passat grigio metallizzato, mi guarda dallo specchietto e sorride per compassione.
Parlando da un punto di vista oggettivo, TGSK non è il miglior disco dei Pantera. Non è quello più amato dai fan (Vulgar), non è quello che ha definito la loro svolta (Cowboys), non è quello che ha fatto il record di vendite (Far Beyond Driven), non è quello con i pezzi migliori (Vulgar), né quello che li ha imposti come inevitabili nell’immaginario del metal (sempre Vulgar). Ai tempi dell’uscita di TGSK, anzi, i Pantera sono già diventati una storia vecchia: Far Beyond Driven si guardava bene dall’apportare il minimo cambiamento al consolidato assetto musicale del gruppo. Dal ‘94 in poi sembrano destinati a fare la fine dei soldati giapponesi matti a guardia dell’isolotto, in un mondo che si evolve di settimana in settimana.
La storia dei Pantera, per convenzione, inizia con l’ingaggio di Phil Anselmo alla voce. Ci arriva giovanissimo, subito dopo la cacciata di Terry Glaze, quando ancora i Pantera sono un gruppo glam metal di secondaria importanza con una manciata di dischi in attivo; da fanatico di hardcore punk e Judas Priest, sembra uno dei pochi adatti a quello che il gruppo sta diventando. Niente di imprendibile, sia chiaro: il thrash sta arrivando al suo apice e lo street metal sembra avere i giorni contati, così i fratelli Abbott (chitarra e batteria) provano a concepire un cambiamento di suono che li riesca a tenere a galla. Non è nemmeno un cambiamento traumatico: ci vogliono diversi anni, un disco di transizione, un contratto major e poi Cowboys From Hell che col passato non c’entra quasi niente. E da lì è un crescere continuo, inarrestabile, che arriva all’apice all’uscita di Far Beyond Driven (il primo disco di metal estremo che arriva primo in classifica negli USA). E poi si comincia a scendere. Annotato il nome dei Pantera come essenziale a capire il metal dei primi ‘90, il rock pesante inizia ad orientarsi verso certe forme filo-crossover che si prenderanno tutta la ribalta negli anni successivi: nel 1992 esce il primo RATM, nel 1994 il primo Korn, e da lì tutto il resto. Nel ‘96 il secondo RATM è fresco di stampa, i Sepultura hanno fatto uscire Roots; è uscito Burn My Eyes, è uscito il primo disco dei Deftones. È un po’ un biennio di cambiamenti, di gruppi che esordiscono col botto o s’impongono definitivamente; tutto quello che è successo cinque anni prima sembra venire dal cretaceo. Basti dire dei Metallica di Load, quattro anni e zero dischi di distanza dal Black Album, accusati da chiunque d’essere la quintessenza dello svilimento di un genere. I Pantera vanno un po’ a finire in mezzo tra l’una e l’altra cosa: la loro credibilità pubblica è ormai bassissima, a forza di risse con la stampa di settore e tirate fasciste di Phil Anselmo ai concerti, iniziano a diventare l’incarnazione di un’epoca di chiusura mentale che andrà necessariamente superata.
L’estate del ‘96 è l’ultima estate da adolescente. L’università non sembra fare per me, odio il negozio di alimentari e sono incastrato dentro ad entrambi. Ho una brutta cotta per una ragazza non interessata a me, non sono interessato ai posti che i miei amici amano frequentare, non ho voglia di cercare vere e proprie alternative alla vita che faccio. È una storia noiosa: ti guardi intorno e non va bene niente e non hai ancora abbastanza testa per capire che il problema sei tu. Non ho idea se la generazione prima della mia e quella dopo abbiano avuto lo stesso conflitto. Per me no, hanno avuto un conflitto più o meno simile ma ogni volta le priorità sono diverse, e sicuramente è diversa la colonna sonora. Poi arrivano il revisionismo, le versioni posticce della stessa cosa, la retorica del rock’n’roll e il reunion tour, e sono tutti modi per cercare di ricomprarsi il tempo perduto
I Pantera sono un gruppo dozzinale, fatto di musicisti sicuramente preparati ma non particolarmente capitali, e la loro musica ha sicuramente vette compositive ma sono vette che forse qualcun altro ha toccato prima e dopo di loro. E i loro testi sono perlopiù coacervi di puttanate generiche. Ma quello che manca loro dal punto di vista artistico viene ampiamente compensato da ciò che ti danno emotivamente: ascoltare i Pantera, da Vulgar in poi, ti dà qualcosa che è difficile mettere a parole. Questa componente di coinvolgimento personale al di là dell’invenzione musicale in se stessa è la caratteristica che ha permesso ai loro dischi di non invecchiare, o di farlo meglio di quelli di alcuni dei loro contemporanei. Per cui, nell’analisi critica dei Pantera, qualcosa sfugge sempre: dieci o vent’anni dopo è possibile prendere le distanze da un certo tipo di estremismo, anche più incompromissorio e politico e musicalmente avventuroso: l’accacì più brutale, i gruppi grind, il rap hardcore, ma non i Pantera. La loro musica, specie se riascoltata non troppo spesso, riesce a comunicare ancora una dimensione di appartenenza. Non è possibile spiegare perchè.
L’estate del ‘97 il mondo ha risolto la maggior parte dei propri conflitti, delle proprie contraddizioni. Cioè sono stato io a farlo: ho iniziato a studiare con un briciolo di metodo e dare un buon numero di esami e lavorare al negozio va bene, non pesa più così tanto. Inizio ad uscire con una ragazza e mi ci fidanzo assieme, e ascolto ancora metal e accacì e rap peso, ma inizio a saperne abbastanza di indierock e postrock e di noise e riesco a coltivare una superficialissima passione per jazz e musica di confine di cui nessuno di quelli che conosco sa nulla. È l’inizio di un’altra età, una specie di seconda adolescenza, non proprio proiettata verso il futuro ma, almeno, non troppo spaventata all’idea che ce ne sia uno.
Già ai tempi di Far Beyond Driven il gruppo sta affrontando più problemi di quanti sarebbe lecito aspettarsi. Il disco vende da dio, certo, ma le performance live dell’epoca Vulgar Display of Power sono un ricordo. Phil Anselmo ha un grosso problema alla schiena; dovrebbe essere operato e stare un anno in convalescenza, ma non è il momento giusto per il gruppo. È così, a detta sua, che inizia la stagione dell’eroina, una dipendenza che pur tenuta nascosta al gruppo, a detta loro, presto inizia a vedersi ai concerti del gruppo. Il rapporto tra Anselmo ed i compagni è comunque tesissimo: la comunicazione è ridotta al minimo e limitata ai pochi momenti pubblici. S’inizia ad intravedere la spaccatura che farà finire i Pantera in soffitta, qualche anno dopo: da una parte i due fratelli Abbott, dall’altra Phil Anselmo, in mezzo Rex Brown, un po’ indeciso da quale parte buttarsi.
Ma è in questo periodo che Anselmo inizia a diventare davvero il personaggio leggendario che sappiamo oggi. Nei primi anni ‘90 è iniziato il sodalizio con Jim Bower, il personaggio chiave della sua crescita artistica, da qui in poi in bilico tra metal estremo e southern rock riveduto e corretto. Nel ‘95 il sodalizio sboccia agli occhi del mondo: esce NOLA dei Down, supergruppo con Bower, Anselmo, Pepper Keenan e Kirk Windstein: un disco bellissimo e nato un po’ per sbaglio, fuori dai riflettori, senza che l’ombra lunga dei Pantera si allunghi sulle composizioni, roba che cammina sulle proprie gambe. Forse è il fatto che esista un’alternativa concreta ai Pantera a favorire l’ulteriore allontanarsi di Anselmo dai Pantera, e forse le droghe peggiorano di molto la situazione. In un caso o nell’altro, nel ‘96 dei Pantera senza Phil Anselmo sono impensabili quanto un Phil Anselmo senza Pantera. E se si vuol far uscire un altro disco, tocca pensare ad una soluzione di compromesso.
Ne ho già parlato in passato: potendo scegliere, mi piacerebbe che tutti i miei musicisti preferiti non trovassero mai la pace interiore, continuassero a soffrire come dei cani e raccontare la loro sofferenza nei dischi. Non è colpa mia, ma statisticamente la sofferenza il disagio e l’abbrutimento generano musica migliore. Mi rendo conto che sia una perversione e un lato malvagio della mia personalità, ma ho un’autentica predilezione per i dischi rock realizzati a un grado minimo di comunicazione, quelli per cui il gruppo rompe i rapporti con l’etichetta, quelli dopo cui il cantante viene ricoverato per esaurimento nervoso, il gruppo si scioglie, il bassista esce sbattendo la porta. In Utero, Vitalogy, Flowers of Romance, i NIN fino a Fragile, eccetera. Quella di The Great Southern Trendkill è una delle realizzazioni più tormentate della storia del rock: Dimebag Darrell, Vinnie Paul e Rex Brown registrano la musica in Texas, mentre Phil Anselmo si rintana nello studio di Trent Reznor a New Orleans per le parti vocali. Ad aiutare Anselmo il più assurdo comprimario pensabile: Seth Putnam degli Anal Cunt, coetaneo del cantante dei Pantera, tossico convinto e uomo-chiave del grindcore statunitense. Il gruppo s’incontra per la prima volta alla vigilia del tour, il cantante è piuttosto avanti nella sua downward spiral. Il risultato delle sessions è il disco più violento e negativo mai inciso dal gruppo.
Il carattere respingente di TGSK è la sua qualità più grande, ed è pienamente esemplificato dai primi dieci secondi di musica: partono tutti assieme fortissimo, Anselmo urla sguaiatissimo, Vinnie Paul batte a tempo di death metal e gli altri due vangano. Poi la canzone corregge il tiro e inizia a ragionare sulla forma di groove metal più compressa mai ascoltata, grossomodo il menu di tutti gli altri pezzi del disco; il testo parla di essere fan dei Pantera all’epoca in cui il disco esce, una cosa piuttosto stupida -non fosse intervallata dai rantoli di Putnam. Il momento più significativo, quello che raccoglie il significato ultimo di TGSK, sono le due parti di Suicide Note. La prima parte, l’unica ballata acustica mai incisa dai Pantera, melodica e sulfurea e perfetta nella voce, interrotta all’improvviso ed uccisa dai feedback a rotta di collo della seconda parte. Dentro TGSK è tutto così, spinto fino al limite massimo di sopportazione, quasi impossibile da ascoltare tutto d’un fiato, illuminato da pochissimi momenti melodici -che figurano comunque in cima al repertorio compositivo dei Pantera. Difficile non riconoscere in TGSK lo strapotere carismatico del cantante, i suoi infiniti flirt con il metal estremo, le ossessioni sudiste dei Down: se la rivoluzione di dischi come Cowboys e Vulgar va accreditata per gran parte a Dimebag Darrell, The Great Southern Trendkill è clamorosamente sbilanciato verso Phil Anselmo. La musica di TGSK è sicuramente dozzinale nella forma e nel contenuto, ma stranamente non nel risultato -non offre quel senso comunitario da catarsi collettiva che offriva Vulgar Display Of Power, per capirci. È un disco molto introverso, dentro cui entrare è sostanzialmente impossibile: è comunemente accettato che si tratti di un disco sulla tossicodipendenza. Ancora oggi, riascoltare TGSK richiede preparazione. Ancora oggi è uno dei dischi più intensi e violenti mai usciti.
Ricordo molto vagamente un bell’articolo su TGSK, credo fosse di Claudio Sorge su Rumore: iniziava parlando di un concertone, forse quello primo maggio, beccato per sbaglio alla TV. C’era il pippone di qualche pezzo grosso del PDS/Ulivo (forse Veltroni) che pontificava sul palco sulla possibilità di fare del rock un veicolo per diffonda un messaggio positivo, ancorchè politico, tra i giovani. L’epigrafe del giornalista, citazione inesatta : “mi sono ricordato in quel momento di quanto amo i Pantera: violenti, cattivi e totalmente senza messaggio.” Da questo punto di vista, TGSK è il loro miglior disco, il più violento e inascoltabile, quello che li definisce con più precisione. Tristemente, è anche il loro punto di arrivo. Tutto quello che succede dopo ai Pantera è un pro-forma in attesa della fine: l’overdose di Anselmo, il live dell’anno successivo, il gruppo che sorride durante le interviste, l’Ozzfest e tutto il resto. Il cantante rasato ed asciutto che urlava a torso nudo negli anni d’oro del gruppo si trasforma progressivamente in un clichè ambulante, ridotto a trascinarsi alla bell’e meglio in giro per il palco con birra in mano, barbone e capelli lunghi, un mare di effetti su quel poco di voce rimasta e le magliette senza maniche a coprire la pancia. Si sciolgono ufficialmente nel 2003: un anno dopo Dimebag Darrell viene ucciso su un palco, e Vinnie Paul proibirà a Phil Anselmo di presenziare al funerale.
Vent’anni dopo The Great Southern Trendkill, il principale pregio della musica è di unire le persone. I boss del PD fanno i loro comizi con sotto Vasco i Muse e i Coldplay; la musica si scambia via hashtag; ascoltiamo tutto quel che esce, a tutti noi piacciono gli stessi cinque dischi, a sentirci parlare sembra che nessuno di noi si senta più rappresentato da nulla. L’estate del ‘96, invece, è tutta a rotta di collo. Ci sono le vasche sul lungomare, il caldo record, la gente che s’ammazza e poi ci sono le bombe d’acqua, e ci sono i tornei di calcetto e le prime vasche al mare e le sbronze di birra del discount e Children di Robert Miles e un brutto crush per una ragazza non interessata e quella sensazione che niente di quello che sta succedendo mi riguardi. E c’è The Great Southern Trendkill dei Pantera, fresco nei negozi, un urlo raccapricciante nei primi cinque secondi, lo stereo della Peugeot 106 che spara la cassetta a volume altissimo coi finestrini abbassati per le strade della città, io al volante faccio il karaoke come in Fusi di testa, quello in fila al semaforo davanti a me sorride compassionevole dallo specchietto. Uno dei pochi dischi davvero evocativi che ho avuto l’onore di ascoltare in diretta.
pezzone della madonna. amen.
Bello, mi hai fatto venir voglia di ritirar fuori il cd di vulgar e rimetterlo in macchina
Vent’anni dopo The Great Southern Trendkill, il principale pregio della musica è di unire le persone.
amen
TGST è un album DEVASTANTE. Punto.