Quando muore un artista diciamo famoso, di quelli che hanno fatto la storia della musica, la gente posta il video della propria canzone preferita -e perlopiù è la canzone più famosa dell’artista, una cosa molto irritante del tipo, quanto ne sapevi davvero di lui se hai ascoltato una canzone? OK, per Alan Vega è stata Frankie Teardrop. Per cui, un minimo di spiegone.
Una volta ho letto questo libro di Hornby che si chiama 31 canzoni e parla, appunto, di 31 canzoni. Alcuni racconti mi piacciono e alcuni altri no. Quello che mi piace meno è quello su Frankie Teardrop: la usa come una sorta di scusa per parlare delle manie apocalittiche della critica musicale. Il ragionamento è che i critici musicali, essendo persone mediamente tranquille e passive che di lavoro si fanno mandare dei dischi a casa per posta, coltivano questa sorta di alienazione latente che li porta a farsi dosi minuscole della vita di qualche altra persona, possibilmente povera o depressa, in forma di canzoni apocalittiche. Questa cosa in qualche modo è la negazione della vita vera: apprezzare ed ascoltare compulsivamente Frankie Teardrop è possibile solo a persone relativamente al riparo dai problemi. Questa è una tesi abbastanza comune anche al di fuori della fanbase di Nick Hornby, nel senso, che le tendenze apocalittiche della musica tendano a dare una visione del mondo distorta che la maggior parte delle persone non si può permettere. In sostanza, quando iniziano a morirti dei parenti capisci che tutto sommato i Beach Boys hanno più senso degli Swans. Dall’altra parte dello spettro culturale ci sono i cultori della musica come aggressione di stampo politico, estremismo a prescindere, rappresentazione di una rivolta, quelli per cui la musica in quanto arte serve ad allargare i confini del già sentito. Sono quelli che per capirci biasimano chi si mena sotto al palco mentre suonano i Riviera in quanto portatori di cliché musicali -e quindi, per traslazione, una zavorra culturale. Sono due posizioni che contengono notevoli dosi di verità, e la loro naturale capacità di coesistere all’interno delle stesse menti crea degli irrisolti. La maggior parte dei sostenitori dell’una e dell’altra tesi pensa che la controparte sia composta da idioti che dovrebbero smettere di produrre o consumare cultura (vedi appunto Hornby o la maggior parte della critica militante odierna), e questo è dovuto alla sostanziale incapacità di pensare e realizzare un terreno comune. Come si fa?
È un conflitto ideologico che la maggior parte delle persone risolve creandosi una scala di valori personale, o in alternativa battendosene apertamente le palle e limitandosi ad ascoltare quel che si ama. A 19 anni la musica ha il dovere di dare fastidio, a 26 anni la musica ha il diritto di dare fastidio, dopo i 30 la musica ha la capacità di dare fastidio. Quando ero ragazzo ho pensato per molto tempo, sull’onda dell’ascolto compulsivo del primo disco dei Suicide e di tutta la roba che avevo letto sul gruppo, che Alan Vega e Martin Rev fossero tra virgolette più avanti rispetto al loro tempo, che siano stati perennemente incompresi, che abbiano vissuto su un altro pianeta. Basta l’evidenza empirica a negare questo assunto: ho potuto leggere cose molto complete su di loro, e ascoltare il loro primo disco, 20 anni dopo che quelle cose sono successe. Ascoltando il primo disco invece è evidente che i Suicide fossero comprensibilissimi in tempo reale, e perfettamente inseribili nel suono della loro epoca –e che di fatto siano stati compresi e inseriti. Quello che faceva la differenza, nella loro prima incarnazione, è che avevano una personalità che non aveva nessun altro, e facevano cacare sotto dalla paura. Forse è questo il motivo per cui il loro modello originario è rimasto irreplicato: pochissime eccezioni e quasi tutte fuori contesto, tipo State Trooper che già AAE aveva citato -e del resto è impossibile non citarla in questo contesto. Ed è anche il motivo per cui Frankie Teardrop è il loro manifesto, LA CANZONE dei Suicide come Closing Time è la canzone dei Semisonic, il modo migliore di spiegarli. Perché anche dopo che la musica ha sfondato ogni limite posto dai Suicide, sia in termini di violenza pura che in termini di approccio minimale, Frankie Teardrop è ancora uno dei pezzi più spaventosi di sempre, e ha ancora il potere di scagliarti nel posto buio triste e senza via d’uscita che (purtroppo) hai riconosciuto come “casa” la prima volta che l’hai ascoltato. Questa cosa non è mai cambiata. Poi come dice Hornby ognuno nella vita ha i suoi drammi e le sue difficoltà e non è più così divertente metterci assieme i primi Suicide -e i successivi sono semplicemente troppo scalcinati per poterli mettere nella storia del pop e far sì che tutti quanti stiano attenti. Ma almeno Frankie Teardrop è riuscita a diventare un terreno comune di scambio tra una parte e l’altra, e quando fai un giro da quelle parti la trovi che sta ancora lì a piantonare. Come a dire, occhio.