Limitante

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(Any Other, 10 agosto 2016, Hana-Bi. La foto è scattata prima che cominciassero ed è sfocata ma giuro che erano loro)

La settimana scorsa, su un sito di cinema nel quale scrivo sotto pseudonimo, abbiamo parlato di una serie TV. Mi è scappato detto che è “una delle mie serie preferite di sempre”: una persona, nei commenti, ha obiettato che questo genere di frasi roboanti tolgono molto piacere alla lettura -poi magari la serie te la vai a guardare e scopri che è una cosetta da sei e mezzo che è piaciuta solo a me. A mia parziale discolpa, quando lo scrivo lo penso davvero. Non riesco a pensare ad altro e lo devo scrivere, in qualche modo: in questo particolare momento, nella mia vita, questa cosa ha tutta l’importanza del mondo. Domattina dovrò comunque alzarmi e comprare il pane, prenotare delle analisi o occuparmi di qualche altro problema di questo tipo. Di concerti come quello che ho visto stasera ne avrò visti mille: gruppi basso-chitarra-batteria che suonano da fermi e fanno solo le loro canzoni. Durante il concerto non è successo niente di speciale, non si è menato nessuno, la gente non faceva i cori, il bassista non ha collassato a terra ubriaco. Hanno suonato una mezz’oretta le canzoni del loro disco, non si muovevano, non c’erano i video, lei non ha spiaccicato parola. Di piccole magie come quella che è successa stasera, anche quelle, ne ho viste capitare a centinaia. Il gruppo parte un po’ timido e ingrana subito e suona da dio e le persone davanti, che prima erano cinque, adesso sono venti -e tra due pezzi saranno cinquanta, e in tanti smettono di chiacchierare anche se sono venuti a vedere L’Orso che suona dopo, e alla fine delle canzoni applaudono tutti e qualcuno urla e la gente sta bene. Il gruppo non ha fatto niente di particolare perchè succeda, ha tenuto la testa bassa, ha continuato a suonare le sue canzoni, niente di clamoroso. Certo, sono belle canzoni e le hanno suonate bene. Adele sembra fatta per star lì a morire d’imbarazzo con la sua chitarra, e quel filo di voce che in realtà è potentissima e perfetta e ogni tanto urla come una pazza e poi deve cantare una parte sussurrata ma le prime note vanno un po’ a puttane perchè ha spinto troppo sulla voce. Forse posso trovare un dato statistico che riesca a differenziare questo concerto da tutti gli altri che ho visto, e lo riesca ad inserire ragionevolmente nel mio percorso di crescita personale -magari è la prima volta nella vita che rimango stregato da un gruppo di persone che hanno la metà dei miei anni, che letteralmente sono troppo giovani anche per essere i miei fratelli minori. Ma le iperboli funzionano bene solo se hai un briciolo di coscienza di cosa stai dicendo, e di chi sono le persone a cui parli. Quelli che vanno a vedere questi concerti hanno smesso da tempo di cercare l’insolito o il soprannaturale.

Un’altra cosa che ho letto questa settimana era sul fatto che oggigiorno esce troppa musica, che è quasi tutta mediocre e i giornalisti musicali non riescono più a starci dietro. L’ho trovato odioso, quando l’ho letto così, e non ho molti controargomenti -è odioso e basta. Poi magari anch’io cerco di non farmi coinvolgere nelle dinamiche promozionali della rece e dell’intervista e dello streaming, e anche qui posso giustificarmi solo dicendo che, insomma, non è il mio lavoro e ci ho messo fatica e impegno per far sì che non lo sia. Quello che ci ho guadagnato in cambio è il privilegio di poter ancora assistere a un concerto piccolo piccolo che mi faccia venire la pelle d’oca, e sentire il bisogno di tornare a casa a scriverci sopra che ancora il concerto non è finito. È successo centinaia di volte ed è sempre bellissimo, è una cosa che mi tiene in pace con me stesso e credo sia il motivo per cui continuo a farlo. Come faccio a dire di cosa si tratta di preciso? È musica. A volte va male, a volte va bene, a volte viene voglia di partire con le iperboli e chi ti legge deve avere la malizia di fare la tara. Concerto della vita.

12 thoughts on “Limitante”

  1. bell’articolo Francesco… e poi Adele è proprio brava, un’artista nata, sin da quando ancora liceale si dilettava con l’amica Cecilia nel progetto Lovecats. Erano così naif ma già con una idea definita di canzone, di suono e soprattutto di attitudine. Poi va beh, quella sera cenammo insieme, erano di fronte a me e si parò principalmente della nostra desolata zona d’origine, la bassa veronese. Mi pare che Cecilia avesse a fianco Barto – non so se lo conosci – e poco più in là il cantante dei Northern Uproar che quella sera si esibirono in acustico.
    Ammetto che capita anche a me di arrivare a pensare di non starci dietro, ma quando anche solo lo penso, vedo di darmi una calmata con gli impegni, anche perchè non vorrei mai perdere il gusto, quello vero, di ascoltare canzoni. Poi, per carità, le mie sono collaborazioni, porto a casa la pagnotta con il mio lavoro, ma faccio fatica a capire i giornalisti professionisti. A tal proposito ho letto una riflessione su Noisey che mi ha sostanzialmente trovato d’accordo

  2. “L’ho trovato odioso, quando l’ho letto così, e non ho molti controargomenti -è odioso e basta.”
    Boh, perchè? Non riesco a vedere davvero cosa ci sia di odioso nel constatare che la musica prodotta sia molta di più di quella che può essere ascoltata.
    Voglio dire, nessuno credo vorrebbe che la gente smetta di suonare per divertirsi, ma nel momento in cui metti quella musica a disposizione del mondo credo che ci siano anche altre questioni da tenere in conto. Tipo quanto si creda necessaria quella musica al resto del mondo o se è semplicemente l’ennesima pisciatina sul muro come i cani per dire di esserci.
    Non so se questo ti risulti odioso (immagino di si), ma almeno qualcuno di quei pochi controargomenti sarei curioso di leggerli.

  3. @antonio: la principale obiezione al pezzo di rockol è che va contro i meccanismi di mercato più elementari. ad esempio, come si può impedire a un pastificio di fare la pasta? non glielo si impedisce. i pastifici vanno sul mercato e la vendono sulla base di quello che sanno fare (hanno dei commerciali, hanno della pubblicità, eccetera). qualcuno ne vende di più, qualcuno ne vende di meno. qualcuno non ci sta dietro e fallisce. la gente che mangia la pasta non si lamenta mai che ci sono troppe marche di pasta in commercio, o troppi tipi di maccheroni. la gente si prende i maccheroni della marca che preferisce e tanti saluti. non è un meccanismo perfetto, ma è un meccanismo funzionante e tanto basta.

    l’articolo parte da una premessa balzana, cioè il fatto che per avere una coscienza musicale davvero buona bisogna ascoltare TUTTA la musica che esce, e stabilire quale di questa è la migliore. lamentarsi del fatto che esca più musica di quanta si riesce ad ascoltare è come lamentarsi del fatto che non si può cucinare a pranzo tutta la pasta che sta esposta in un supermercato. la premessa finisce per distruggere tutto il resto dell’analisi, che comunque si fonda su altri assunti che nella mia opinione sono assolutamente ridicoli, cioè

    1 è la critica, nel 2016, a decidere quali dischi sono buoni e quali no;
    2 esistono artisti che fanno uscire quintalate di dischi ben sapendo che si tratta di dischi del cazzo e immeritevoli di pubblicazione.

    la 1 è ridicolizzata dai fatti: sono pochissimi i casi in cui il successo critico di massa genera un successo commerciale di massa o un successo artistico di massa. può succedere che i tre successi coincidano, ma generalmente è dovuto al caso. forse negli anni settanta non era così, forse la critica era fondamentale a far sì che i dischi avessero successo, ma oggi non è più così: la critica può aspirare a dare un blandissimo contributo periferico.

    la 2 è ridicolizzata dal senso comune: nessuno realizza un disco per farsi ridere dietro. al limite può succedere che io non mi renda conto che il mio disco non è poi un granchè, ma tutti i gruppi fanno uscire i dischi in buona fede. su quale base un gruppo crust di faenza dovrebbe NON fare il sette pollici per far sì che i tizi di rockol possano ascoltare il disco dei Ministri? che senso ha?

    la parte che rende “odioso” l’articolo è che l’unico lavoro di un critico è quello di interpretare la realtà culturale intorno a lui. il fatto che il critico si ponga così al centro della questione significa che la sua realtà culturale arriva fino al cancello di casa e alla sua casella di posta. questa cosa poteva essere giustificata nel ’93, quando non tutti potevano ascoltare i dischi. nel 2016 se fai dei ragionamenti del genere significa che pensi di essere chissà chi, e qualsiasi ragazzino con un account spotify può farti il culo e sbugiardarti. perchè loro almeno hanno solo voglia di ascoltare i dischi.

  4. ok, adesso è più chiaro il tuo discorso. Non sono granchè d’accordo su alcune cose, nel senso tra l’ovvio non poter ascoltare tutto e l’ignorare quasi tutto ci passa il poter dare un qualsiasi senso al tutto. Non mi va di fare un discorso lunghissimo e noioso, ma anche lasciando da parte questioni tipo l’autoreferenzialità se mi frega il giusto (quasi nulla credo) di quanto la critica possa determinare il successo di un disco da ascoltatore mi frega di più il fatto che mi perderò un sacco di roba che mi piacerebbe tantissimo perchè sepolta da una montagna sempre più grande di roba inutile/passabile/carina che non aggiunge nulla alla mia vita.

  5. Il commento sui calci che ti ha fatto inalberare (o forse no, non saprei), io però lo condivido abbastanza. Non funziona granché in riferimento a quello che scrivi tu, credo, anche perché non scrivi molto e di cinema ormai col contagocce, e perché mi sembra sempre che sia semplice fare la tara nei tuoi testi (ma magari viene semplice a me, che ti leggo spesso), però a me l’hype a tutti costi ha rotto un po’ il cazzo.
    Ne scrivi anche tu tra l’altro, e spesso: fino a qualche giorno fa, scrivendo di Stranger Things, esprimevi opinioni non dissimili da quel commento. Ma anche quando è uscito l’ultimo Bowie, tu stesso ricordavi come tutti gli ultimi mediocri Bowie fossero stati descritti come disconi, e dunque avevi dei preconcetti rispetto all’entusiasmo con cui si parlava di Blackstar. (Che poi alla fine si è rivelato l’unico discone di Bowie dai tempi di Outside).

  6. @antonio ma non è vero che si perde la roba, è solo che è diventato impossibile, oggi chiunque può indirizzarci verso un disco bello. è diventato impossibile, invece, riuscire a mettere tutto in una rivista, questo sì. ma d’altra parte i posti dove si scopre la musica sono più o meno tutti gratis.

  7. @aisai – in quei casi è diverso perchè c’è un plebiscito, o almeno io la differenza la vedo lì. sessanta amici che mi vengono a dire che blackstar è il miglior disco del 2016 mi caricano di aspettative allucinanti, che poi si risolvono un po’ così in un nonnulla. l’iperbole è un discorso diverso: se scrivo che tal disco è un capolavoro assoluto, non sto mettendo tanto sul piatto il valore del disco quanto il mio sentimento e la mia reputazione, per così dire.

  8. @FF
    Ma infatti la differenza c’è e la riconosco. Ho scritto all’inizio che quel commento non mi sembrava funzionare granché in riferimento a quello che scrivi tu di solito. Aggiungo adesso che a maggior ragione non mi sembrava funzionare in quel post, dedicato a un telefilm semi-sconosciuto come Bosch, e non certo a uno Stranger Things che dopo neanche 24 ore ha invaso i social con commenti, recensioni pro e contro, spoiler.
    (A proposito, grazie per la segnalazione. Io Bosch lo sto scoprendo ora).

  9. belle canzoni ma presentazione un po’ a cazzo dei pezzi, soprattuto da parte del drummer. preferivo la ragazza che suonava prima.

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