nota di servizio: questo sarebbe il post conclusivo dell’anno 2016 in musica, ma negli ultimi giorni ho avuto qualche casino personale e non sono riuscito a fare niente di meglio che tirar giù 10 punti su qualcosa che in altre condizioni -magari- sarei riuscito a scrivere in modo più organico.
1 Non ho mai avuto troppi problemi con l’idea che “il rock” prima o poi sarebbe morto -molti dicevano che era successo prima che lo conoscessi- ma quando avevo vent’anni pensavo che sarebbe stata una sorta di martirio organizzato con tutti i crismi, o quantomeno che ad ucciderlo sarebbe stato qualche altro genere giovanilista occidentale -hip hop, elettronica, boh. Non è successa né l’una né l’altra cosa, e così oggi il rock sta morendo di vecchiaia.
2 usare la parola “rock” è stupido, ma del resto usare qualsiasi altra parola lo è allo stesso modo. Musica di rottura con una storia vecchia di decenni. Il rap non è che sia messo molto meglio, eh. È solo che ha conservato un briciolo di spocchia autoaccomodante come genere musicale, e le dinamiche di appartenenza interne all’hip hop hanno ancora una certa capacità di autogiustificarsi senza suonare ridicole a se stesse -è una cosa che si può perfino apprezzare. Però, per dire, quando leggo gli osanna al disco degli A Tribe Called Quest nelle riviste più blasonate del pianeta io un paio di domande me le faccio. Ad esempio: pilota automatico per pilota automatico, non sarebbe più sensato metterci l’ultimo disco dei Megadeth? Almeno di Dave Mustaine è facile intuire la dimensione tragicomica, e comunque è un modo per non dare per scontata un’idea di musica popolare che non sia necessariamente il prodotto di una serie di ingredienti inidentificabili comprato negli sconti dell’Esselunga.
3 Dall’altra parte è meglio il reducismo ignorante a grado zero di Megadeth o Metallica e tutta quella roba (dei Metallica puoi pensare tutto il male possibile, quantomeno) rispetto a tutto l’immaginario rimasticato per la quinta o sesta volta che sta impedendo alla psichedelia di estinguersi -e anzi la sta continuando a mantenere sulla cresta dell’onda presso un pubblico di appassionati duri a morire, al pari di certi atteggiamenti funeral doom da cui ormai, non me ne si voglia, preferisco scappare a gambe levate non appena sento un odorino sospetto.
4 Mi è passata la voglia di scrivere di musica. Ho ascoltato più musica quest’anno rispetto agli anni precedenti, e mi sono trovato a rendermi protagonista di qualche episodio di fanatismo assoluto -saranno 15 anni che non ascolto un disco con la dedizione che ho dato all’ultimo degli Autechre, per dire. Ma se devo mettermi al tavolo e scrivere roba sensata sul nuovo disco degli Autechre, preferisco di no. Al di là del fatto che l’ho fatto per troppo tempo, mi sento come strozzato dalla grammatica -e intanto fuori ci sono paesi che votano per uscire dall’unione eropea, tanto per dire.
5 Sono genuinamente esaltato da ciò che il mercato dell’ascolto e la guerra dei formati sta diventando: lo strapotere dello streaming, per quanto non proprio la mia tazza di tè, ha generato una nuova idea di album con cui bene o male riesco a confrontarmi, e persino ad esserne esaltato (ne scrissi qui). Ma anche qui credo che sia più una cosa personale, una cosa che mi piace più guardare di quanto mi piaccia descrivere.
6 Quest’estate a un certo punto hanno iniziato ad uscire articoli sul fatto che Andiamo a comandare sia da salutare come una sorta di addio dell’Italia tutta a qualsiasi aspirazione intellettiva. Non è la prima volta che succede, e non riesco più ad appassionarmi a questo genere di supponenza del cazzo: l’unica colpa di Andiamo a comandare è quella di aver funzionato presso un pubblico che prova a farsi una risata ogni tanto e non sta lì a pensare a cosa si perde nel frattempo. Non trovo nemmeno particolarmente sbagliato che gente tipo Thegiornalisti o Cosmo riempia gli stessi locali che mi fa male al cuore trovare semivuoti quando ci vado io; come se poi qualcuno avesse puntato una pistola alla testa all’ascoltatore e gli avesse urlato in tono minaccioso “Cosmo o Phill Reynolds? SCEGLI”. L’unico difetto che ci posso vedere è che non mi piace la loro musica, o almeno non mi interessa particolarmente la musica di Cosmo (dei Thegiornalisti, per via di una specie di fioretto, non ho mai ascoltato un disco). Ma alla fine la mia opinione vale quanto quella degli altri. Di solito quando iniziano questi ragionamenti stile a ciascuno il suo è ora di appendere la tastiera al chiodo. Ho ancora qualche sussulto sporadico; ieri sera ho sentito la canzone nuova dei Baustelle e mi ha fatto girare talmente il cazzo che per spurgare ho dovuto guardarmi sul tubo trenta minuti di Napalm Death dal vivo in formazione Dorrian/Steer/Harris/Embury -esaltante. Ma anche questi sono discorsi che ho già fatto in passato e non ha molto senso star qui a ripetere.
7 Quando leggo articoli sulla Dark Polo Gang o Sfera Ebbasta, Ghali e tutta quella gente, quasi sempre scritta in modalità “c’è più di quel che pensate in questa roba”, mi viene voglia di prendere una mazza da baseball. Grazie al cazzo, lo so che c’è più di quel che penso, è roba che ascoltano milioni di persone. Perchè qualcuno intossicato da vent’anni di cultura musicale dovrebbe negare a mia nipote il diritto di sentirsi speciale? In nome di cosa? Tipo delle FONTI? Della CULTURA? Diocristo, non è il caso di smetterla e ricominciare ad avvelenarci il fegato in privato? Quando uno di noi (35 anni o più) pensa che grime o trap o nuovo rap o EDM (o sa dio cos’altro) siano musiche poco interessanti, solitamente sbagliando di grossissimo, rende a questa roba l’unico servizio che gli è dato di renderle. Se io penso che sia “tutta musica di merda” e mi tolgo dal dibattito la colpa è mia; se riesco a capirla e contestualizzarla nella storia della musica, è colpa della musica. O anche: se un fan di dj Gruff ascolta Ghali, è ragionevole pensare che uno tra Gruff o Ghali abbia sbagliato qualcosa. In questo, almeno, sarebbe importante non fingere. Un altro conto è darne conto, naturalmente: se uno è fuori dal dibattito, è fuori dal dibattito. Non è la fine del mondo. Potrei persino ricominciare a fare del clubbing saltuario dopo una dozzina d’anni di break, magari quelle riserve per palati buoni patrocinate dagli enti pubblici o qualche serata carina di quelle che fanno qui in giro; giusto per sentirmi una volta tanto il matto del paese, il vecchietto che ha perso gli amici e la brocca e se ne va a fare l’uomo vissuto coi ragazzini che gli ridono dietro. Avrebbe un suo senso. Ci sono tre o quattro persone così che osservavo a 17/18 anni e sono uno dei miei spauracchi principali come essere umano (ho sempre avuto la fobia di diventare il matto del paese). O magari continuerò ad andarmene nei posti dove mi sento al sicuro, i circoli Endas con il vino buono e il concerto weirdfolk che inizia presto e a una cert’ora almeno si torna a casa, relegando l’occasionale voglia di contemporaneità ai festival di elettronica patrocinati dall’assessorato e cuciti addosso all’identikit che ha fatto di me l’algoritmo di spotify, e alla fine non c’è niente di stupefacente in questa cosa.
8 La principale caratteristica dell’oggi, musicalmente parlando, è che le narrative si sono sfilacciate al punto da rendere impossibile anche solo pensare un’idea di “musica popolare” omnicomprensiva. 5 anni fa non era così, tanto per dire. E se sparisce questo ideale, sparisce la legittimazione di tutto quello che sta ai margini, tutto quanto va ripensato più o meno dall’inizio e credo la critica non sia ancora prontissima a farlo, per cui la musica esce molto spesso con la parte critica già svolta al suo interno. Un grande esempio di questa cosa è il disco di Kanye West, che concettualmente direi essere l’album più ambizioso da diverso tempo a questa parte -ma in realtà è un’idea comune. Lo stesso attaccamento estetico del rock o della black music a se stessi è considerabile come un precipitato secondario di questa storia. Il namedropping non funziona più come un tempo, sia in senso positivo che negativo. È possibile al contempo ragionare su un ideale di contemporaneità che sparare Bowie al primo posto delle classifiche, un po’ honoris causa e un po’ per reali motivi di merito, e anche perchè comunque l’idea della morte nel 2016 è abbastanza centrale -spero nel 2017 sia centrale il bisogno di codificare un modo decente di elaborare il lutto. O anche, tanto per dire, l’idea di ricominciare a prendere una posizione su qualcosa.
9 i dischi: Autechre, Rihanna, Kanye West, Antico, Not Waving, Gqom Oh!, Deerhoof, WWWings, Holden/Luke Abbott, Lady Gaga, Ital Tek, Mykki Blanco, KatieE, Lorenzo Senni, Bowie, Aphex Twin, A Tribe Called Quest (ovviamente), Jute Gyte, Amnesia Scanner, Ben Seretan, Fatima Al Qadiri, Car Seat Headrest, Powell, ELM, . C’è un’infinità di roba che mi sento di voler citare e al contempo mi sembra stupido star qua a fare la classifica di fine anno. Quel che è meglio, sembra una partita continuamente aperta: all’epoca di consegnare la mia prima playlist, non avevo manco ascoltato ancora il mio disco preferito del 2016. oggi sentivo il nuovo Run The Jewels, ieri ho ascoltato L.U.C.A., non c’è giorno che non arrivino stimoli. L’anno scorso feci questo pippone infinito su quanto le classifiche si somiglino troppo, e quest’anno la mia classifica è uguale a quella di tutti gli altri. Più di tutti non so dire esattamente perchè questi dischi e non altri, e non ho voglia di scrivere un pippone su nessuno di loro.
10 Contrariamente ad ogni mia aspettativa, questo blog è sopravvissuto anche a quest’anno. È ragionevole pensare che nel 2017 ci sarà qualche cambiamento, in ogni caso. Magari inizierò a scrivere di roba che non c’entra nulla con la musica, giusto per tenere un po’ il ritmo, e vediamo dove si va a finire.
Spero che i casini a casa non siano roba seria, di cuore, e spero che questo blog continui ad esistere in qualsiasi forma tu decida, perché è comunque un posto dove il mio cervello lavora, anche solo nel tentativo di capire quel che vuoi dire.
Buon anno Franci. 😉
Francesco… quoto manq su tutta la linea [bravo manq].
quoto anche gran parte del pezzo… del fatto di essermi rotto di scrivere di musica, di cercare di rintracciare un filo logico, di cercare di capire chi ha torto e chi ragione, di cercare concerti da recensire con la consapevolezza che comunque non ci andrò perchè—.
sono anni ormai che certe cose le tengo per me: sono i miei gusti, sono i miei cazzi, è il mio mondo… e ho scoperto di non avere più la necessità di giustificarlo o condividerlo con nessuno.
serenità 🙂
buon anno a tutti quelli che qua vengono qua a scrivere o a leggere.
Scrivi di quello che vuoi, quando vuoi (“esticazzi”, dice) ma ogni tanto fatti sentire eh. Ciai la responsabbilidà nei confrondi der pubbbrigo!
Un post che suona un po’ come il requiem del blog, e non mi piace…mi associo a quelli che vengono qua per far lavorare il cervello e cercare nuovi stimoli (e nuova musica buona, perchè no)
Non chiuderlo assolutamente.
Scrivi sempre bene, ma qui scrivi meglio che altrove.
Anche se non hai voglia un articolo su Car Seat Headrest e uno sulla valanga di album elettronici che hai ascoltato ci starebbero tanto.
Ma me ne farò una ragione: quel che c’è è sempre un piacere da leggere, qualunque cosa sia.