Su Primaomai.com è online da qualche tempo la campagna per finanziare Il Cartografo. Si tratta di una serie animata, “10 episodi di durata variabile per un totale di 100 minuti”. La serie è ambientata in uno scenario probabilmente apocalittico: la Terra è diventata un immenso deserto, gli umani sono quasi tutti fuggiti su Marte e nel vecchio pianeta sono rimasti solo pochissimi terrestri. Tra questi c’è un individuo chiamato Il Cartografo, che “decide di rimappare il pianeta descrivendo tutto ciò che è cambiato rispetto alla vecchia Terra e come gli abitanti siano in grado o meno di adattarsi a questi cambiamenti. La voce del narratore è quella di Giovanni Succi dei Bachi da Pietra. La serie animata è realizzata da un insieme di quattro persone chiamato La Megabaita: due dei componenti delLa Megabaita sono gli Uochi Toki. Rico si occupa di tutto quel che riguarda il suono, Napo prepara gli storyboard e scrive gli episodi.
Il piatto è piuttosto ricco, direi. Le informazioni sulla serie di cui disponiamo finora sono i testi e il video ospitati su Primaomai. Oltre a questo, io e Napo abbiamo passato qualche giorno a parlare della serie e di raccontare e degli Uochi Toki e di altre cose. Le immagini ovviamente vengono dalla serie.
Ricordo brevemente le regole dei progetti su Primaomai: il progetto è ospitato per un periodo limitato di tempo e si può finanziare da privati, pagando l’ammontare richiesto (Il Cartografo costa 30 euro) e in certi casi anche da commercianti, contrattando il prezzo per l’acquisto di un certo numero di copie. Scaduto il termine della campagna, l’autore stamperà tutte le copie ordinate. Oltre a questo, l’autore si impegna a non stampare mai più l’opera una volta finita la campagna. In altre parole, avete tempo fino al 5 febbraio per far vedere la luce al Cartografo.
Ho letto la presentazione sul sito di primaomai e la prima cosa che mi è venuta in mente è che c’è questo ritorno di un personaggio che cataloga, che documenta il reale ad uso di lettori ascoltatori spettatori che stanno su un altro piano, all’esterno del reale così come preso in analisi. È un personaggio che sta in giro per altre cose a cui hai lavorato, per esempio ovviamente Piano Immaginario, ma anche Il claustrofilo o altri personaggi di Libro Audio. È una cosa voluta?
E’ una cosa in parte voluta e in parte no. Mi è capitato di pensare che questo personaggio avesse qualcosa in comune con altri personaggi con cui ho/ho avuto a che fare personalmente, ma siccome io vedo tutte queste cose da dentro il rapporto non riesco a formulare esattamente di cosa si tratti.
La catalogazione di cui parli è solo il primo strato di ognuno dei personaggi a cui ti riferisci, man mano che si sviluppano le loro storie ognuno incontrerà il suo personalissimo crash classificatorio e dovrà ri-scrivere tutto o smettere di scrivere del tutto.
Poi, volendo essere precisi, i personaggi che ho scritto generalmente ricordano e raccontano più che catalogare, solo il Cartografo ha intenti dichiaratamente catalogatori, anche più di quelli che hai potuto leggere nella presentazione.
Chi è il Cartografo? Perché raccontate la sua storia?
Il Cartografo è una persona che ha vissuto un’esistenza incompleta fino ad un certo momento della sua vita, per poi ritrovarsi sbattuto con la faccia nella dura concretezza delle cose e reagire in maniera inconsueta. Analogamente alle persone del Piano Reale egli non ha dei tratti caratteriali ben delimitati, perché attorno a lui non ci sono più persone che continuano a influenzarlo riportandolo costantemente all’idea che si sono fatti di lui. Questa è la vera distopia che sorregge la scrittura dei vari episodi. Nel momento in cui un narratore si chiedesse “perché narrare questa cosa che sto immaginando nei dettagli?” verrebbe meno lo spirito con cui si narra e nessuna porta si aprirebbe. Oppure nascerebbe una fiction o qualche prodotto narrativo che al massimo Funziona. Esistono anche perfetti connubi di Narrativa e Funzionalità che possono rispondere bene alla domanda “perché narrare questo?”, però il buon fruitore deve scremarne le parti Funzionali oppure sopperire alle mancanze narrative creando indignazione e macro impalcature di recensioni negative che sfiorano la mitologia diventando di fatto la narrativa che manca nella Storia fruita. I Perché si sapranno a posteriori.
Mi dai un esempio di perfetto connubio di Narrativa e Funzionalità che possono rispondere bene alla domanda del perché? Mi viene in mente qualche libro di testo scolastico, ma forse non stai pensando a quello. Te lo chiedo perché, ammetto la chiusura mentale, sto cercando di capire se Il Cartografo funzionerà come una nuova “cosa” degli Uochi Toki, anche se ad essere sincero non ho ancora capito se mi interessa davvero o meno.
Infatti come esempio stavo pensando ad alcuni film di animazione che nonostante la loro incredibile portata funzionale (e conseguentemente commerciale) mantengono una narrazione in grado di condurti in Luoghi. Vorrei evitare di menzionare titoli e considerazioni ulteriori su questi film perché altrimenti uno stuolo di opinioni farebbe deviare qualsiasi discorso e si perderebbe la visione d’insieme come è d’uso fare in questa grande corrente di -uso un termine- infotainment. Anche se sto evitando di fare esempi posso dire che per la chiusura mentale a cui alludi non c’è esemplificazione che tenga, dato che nemmeno noi sappiamo se “il Cartografo funzionerà come nuova cosa degli Uochi Toki” in quanto non è ancora completata e non è pensata con algoritmi di Funzionalità (nemmeno con algoritmi uochitokici). E’ da tempo che io e Rico non siamo più una band, bensì un cloud orizzontale di situazioni e persone che qualche volta finisce su un palco nelle forme che puoi aver visto e sentito, o che vedrai e sentirai: con il Cartografo stiamo alzando il tiro e per vedere dove stiamo mirando bisogna alzare lo sguardo. Oppure potremmo prendere dei violini e una band rock e portare live una selezione dei pezzi più apprezzati del nostro repertorio come fanno le persone che hanno finito le idee.
C’è un’altra scuola di pensiero secondo la quale limitarsi nei formati (e quindi dar loro una certa prevedibilità, i.e. lasciare che la gente si aspetti che “gli Uochi Toki” produrranno “un disco”) aumenta le potenzialità espressive, ad esempio certi fumettisti che si ostinano a disegnare su una tavola di carta e in bianco e nero, usando una sola penna, e data una certa serie di limitazioni strutturali produrranno situazioni più creative. Mi viene in mente un passo da Cuore Amore Errore Disintegrazione in cui canti “il rispetto è un contenitore e io sono qui per espandermi”, quindi da un certo punto di vista la visione degli Uochi Toki come un cloud orizzontale di situazioni e persone può essere sia pienamente in linea con la concezione degli Uochi Toki di qualche anno fa, sia una forma non-rispettosa di produzione artistica. Che ne pensi?
Il discorso sull’espansione è complesso perché comprende più discorsi anche contrari gli uni agli altri. Se vuoi che la risposta sia contenuta in queste righe, l’espansione farà in modo che sia contenuta OVUNQUE, e queste righe faranno ridere per la loro banalità.
Non si spiega la crescita, l’abbandonare la forma vecchia per una forma nuova pur contenendo allo stesso tempo la forma vecchia (nota bene che la forma vecchia è in realtà la forma giovane).
I formati come il disco o il cartone animato sono mortali, e noi li prendiamo e lasciamo a seconda di come è più comodo per noi.
Il formato foglio e penna, invece, ha la stessa età della Rappresentazione: potremmo anche disegnare su un certo numero di fogli sequenziali la serie “Il Cartografo” e portarla in giro nelle piazze sbattendocene dei supporti e ti confesso che l’idea mi solletica al solo pensiero… tanto che quasi quasi ci creo un live con questo principio e lasciamo a casa tutta la baracca del DVD. Però poi penso che gli orpelli (i formati) sono semplicemente un linguaggio e mi va di vedere ancora una volta se e quanto riusciremo a fare da traduttori, perché in una certa misura, ci riusciamo ogni volta.
Io ogni tanto quando scrivo mi trovo nella difficoltà di pubblicare, è una specie di meccanismo psicologico legato all’idea che lo sto *pubblicando* e in qualche modo sto perdendo la possibilità di intervenirci sopra, ridefinirla. Che poi è il motivo per cui odio rileggermi. Una cosa tipica che mi succede è che quando rileggo cose che ho scritto ho bisogno di richiamare alla mente ciò che volevo dire quando l’ho detto, e nella maggior parte dei casi sento che chiedo a me stesso una fiducia che non ho -la stessa idea di domandarmela significa che ne sono sprovvisto, giusto? O forse la sto salvando da qualche parte- nella speranza che la testa riesca a riempire i vuoti tra quello che ho scritto e quel che volevo scrivere. Da quello che scrivi sembra che a te succeda meno che a me, che tu consideri ciò che hai fatto in passato come un successo, nel senso di essere arrivato a fare ciò che esattamente volevi fare. È così?
Rispondendo a questa domanda mi sono incuriosito e sono andato a leggere un po’ di pezzi che hai scritto per capire meglio questa tensione del pubblicare dato che avevo letto solo un paio di articoli volanti e, oltre alle mail che ci siamo scambiati, non avevo approfondito Bastonate.
Comunque sia ho l’abitudine di non tenere come riferimento ciò che è passato. Periodicamente riascolto e valuto qualche scritto vecchio però non avrà mai la qualità e la mole dell’ascendente che ha su di me “quello che farò”. Per questo motivo per me *pubblicare* è abbastanza facile e se non sono riuscito a rendere esattamente quello che volevo dire, mi avvicinerò di più nella prossima cosa che scriverò.
Anche se rileggessi e trovassi perfetta adesione tra ciò che voglio dire e ciò che ho detto, subentra il fatto che chi lo ascolterà potrebbe leggere qualcosa che non mi è nemmeno passata per la testa o l’esatto contrario di quello che volevo dire, solo perché uso delle antinomie estese a diversi periodi, cosa che, puntualmente, accade. Ti faccio un esempio: ci sono state persone che ascoltando il testo di Permettendomi Artifici Spontanei hanno sentito che una ragazza veniva definita con termini come “cerbiatto” e trattata con una certa sufficienza e hanno considerato lo scritto come un capolavoro del sessismo. Non correggerei una riga di quel brano perché è stato scritto con la coscienza di accostare termini *pericolosi* e non scriverei una riga di una “Guida alla lettura per femmine che hanno deciso di mettere da parte il loro senso dell’umorismo e la loro pattern recognition per scagliarsi contro quei maschi più flessibili come azione di ripiego perché non sono in grado di colpire i maschi più rigidi”. So bene che facendo un passo indietro potrei chiarire molte cose, ma non appena poso una immaginaria penna su di un immaginario foglio titolato Cosa Volevo Dire, penso che mi rifiuto di credere che chi ha letto/ascoltato sia così indietro di cottura. E anche se fosse vero ed io fossi un soldato giapponese abbandonato su di un’isola che non sa se la guerra è finita o meno, di certo la non comprensione, l’oscurità, potrebbe far nascere l’esigenza di comprendere a fondo. Io ho imparato a comprendere non comprendendo, e vorrei insegnare questa pratica non insegnandola. Che poi, a ben vedere, le skills di comprensione del testo non si affinano solo ascoltando un gruppo di para-rap italiano o leggendo un blog di considerazioni musicali, ma applicandosi a tutte le forme linguistiche anche a quelle che sono fuori dall’idea di pubblicazione come i discorsi che senti fare sul tram, la corrispondenza privata o quello che ti ripete tua nonna: se ciò che abbiamo scritto non quadra, pazienza, tanto non gira tutto intorno a noi.
Qui c’è anche un altro discorso sull’immedesimazione, che funziona soprattutto credo in sede di fruizione -una cosa tipo “mi piace perché mi ci ritrovo”, detta in breve: le cose che fai mi raccontano qualcosa di me, oppure no. Però c’è anche un discorso di identificazione tra autori e personaggi, e nel tuo caso è difficile distinguere perché i personaggi delle tue canzoni e dei tuoi fumetti e -a quanto pare- anche dei tuoi/vostri cartoni parlano sempre in prima persona. Così per esempio uno si sente Permettendmi Artifici Spontanei e pensa “questa persona è odiosa”, e per alcuni ci sono altre cose legate a questo (ad esempio qualcuno pensa “questa persona è Napo”, e qualcun altro “questa persona è odiosa e quindi questa canzone è odiosa”). A me spesso succede di avere questo istinto, credo sia dovuto al fatto che ragiono secondo un pattern cognitivo abbastanza comune che è legato all’analisi del testo. Però mi immagino che un insieme come il vostro attiri un certo tipo di consumatori culturali, gente che non ha studiato molti libri di testo, che si è trovata un po’ in mezzo ai discorsi e ragiona in maniera più astratta, più libera. Il Cartografo aprirà altri fronti di questa discussione secondo te?
Esistono due modi per identificarsi o immedesimarsi. Il primo, più automatico, è quello che prevede il trovare dei punti in comune e sfruttarli per entrare nella persona (o anche nell’animale o nell’oggetto, perché no) di cui si sta parlando. Il secondo, che necessita un po’ più di concentrazione, è quello che parte dalle differenze, dai vuoti e da tutto ciò che risulta alieno. Ti faccio un esempio letterario: Memorie dal Sottosuolo di Dostoevskij. Il racconto in prima persona di un personaggio disadattato e riflessivo e delle sue disavventure. Molti dei fruitori di questo racconto sono persone che stanno attraversando momenti di misantropia riflessiva legata a vari gradi di disadattamento (quando lo lessi anni fa anche io attraversavo). Questi fruitori si identificano con il personaggio principale e lo trovano così sfaccettato, così umano, che non possono fare altro che chiedersi se non si tratti di una proiezione letteraria dell’autore: «questa profondità puoi ottenerla solo se è la TUA profondità». Leggendo altri romanzi di Dostoevskij, tuttavia, compaiono moltitudini di altri personaggi di uguale o maggiore profondità, che però hanno nature e comportamenti opposti o divergenti al protagonista di Memorie dal Sottosuolo. A quel punto è chiaro che l’intento del racconto non è accogliere i lettori in un coccoloso guscio di intelligentissimo disagio sperimentato, come potrebbe fare un Kafka, bensì quello di scrivere un personaggio che superi il conflitto verità-finzione e buchi le pagine del libro. La personalità di Fedor Dostoevskij emerge, forse, dalle relazioni che intercorrono tra i suoi personaggi, dal Mundus che essi delimitano. Ma forse il problema non si pone perché l’incanto di questi personaggi che interagiscono è tale da far dimenticare l’immedesimazione. Riportiamo questo esempio sugli Uochi Toki e mettiamoci un pubblico che si ostina a voler sapere quanto c’è di vero nei testi, quanto gli è permesso identificarsi, quanto gli è concesso scontrarsi con l’odiosità, nonostante sia stato detto e ridetto che non sono queste le linee importanti, e arriviamo a due punti:
IL PRIMO è che si stanno palesano sempre più frequentemente dei fruitori alieni che, in modo autonomo, riescono a superare queste pseudo-necessità di identificazione fondate sulla rockeggiante cultura della somiglianza, fruitori che non perdono lo sguardo critico su di noi (o su tutto in generale) e con i quali riusciamo a relazionarci nella realtà in modi che vanno dalla chiacchera alla convivialità. E non sto parlando di una Nuova Generazione Super Intelligente che tra poco esploderà in qualche web-reportage, web-articolo, web-storicizzazione del presente, bensì di ben individuati esseri umani che possono essere dettagliati solo in maniera orizzontale.
IL SECONDO invece è che, con Il Cartografo ho scritto qualcosa che non sarà letta dalla mia voce, non avrà le fattezze del mio tratto, avrà come protagonista un personaggio con cui posso trovarmi in disaccordo e sarà fruibile in modo relativamente veloce, nella dimensione bedroom, la stessa dimensione in cui questa serie di animazione sta nascendo. Chi non terrà conto di questo cambio di coordinate radicale, questa volta, rimarrà a riva e basta.
Questo per dire che spero che “La Discussione” a cui fai riferimento non apra altri fronti ma si concluda o si sposti su altro con questo cartone animato. Inoltre spero che i fruitori alieni invadano la Terra.
Da un altro punto di vista una serie animata in qualche modo sembrava una cosa che prima o poi avreste fatto, ci sono notevoli citazioni sia nei testi che nelle musiche almeno dai tempi dei Laze Biose (prima non so che cose faceste). nel momento in cui però la fate davvero, una serie, è divertente vedere come si sposta il peso delle citazioni. Ad esempio se leggo un fumetto, che so, di Zerocalcare, molte delle citazioni che usa creano un certo grado di immedesimazione, come in quel report di Lucca in cui Quit The Doner parla di quell’immaginario come dell’unico tratto comune/universale della nostra generazione. invece il vostro modo di procedere a volte sembra voler tirare coscientemente dalla parte di una specie di sdoganamento fuori tempo massimo, come se questo retroterra culturale (Naruto o i Puffi, non credo importi se è l’uno o l’altro) vengono caricati di un significato che è personale e non necessariamente condiviso con il pubblico, anzi più spesso no. Non so se c’è una domanda in questa cosa. Da quanto tempo ci state lavorando?
Noi non sposiamo il pensiero “per generazioni”. Sia nei rapporti che nella fruizione. Nella stessa maniera in cui è importante assorbire opere e conoscere persone transgenere è importante assorbire opere e conoscere persone transgenerazionalmente, concentrandosi su quello che si sta conoscendo e gettando via tutta la spazzatura generazionale. Possiamo prolungare il discorso di questo Quit The Doner (che ho cercato perché non conoscevo) ed eliminare anche l’ultimo degli elementi che accomunano una generazione, così facciamo piazza pulita e possiamo concentrarci direttamente su Naruto e i Puffi per vedere se in qualche anfratto di quelle serie c’è sia pure una briciola di luminescenza. Poi personalmente penso che Lucca Comics sia un supermercato dove le due azioni base di questo immaginario, ovvero leggere/fruire e disegnare, sono decisamente a margine dell’esperienza, quindi c’è poco da fare report. Comunque sia se non si cerca un significato personale in tutti i fumetti/cartoni/videogiochi ripulendoli dai meme, dalle contese e dagli scivoloni di scrittura/sceneggiatura, allora queste opere tenderanno a diventare della stessa pasta di Calcio, Figa e Politica aka panem et circensem. Se la sterile puntata di Yu-gi-oh che ho visto di sfuggita 12 anni fa mi ha fatto saltare in mente una idea grandiosa, non vuol dire che mi guarderò tutta la serie, ma saprò che le idee si trovano nei posti più impensabili e non storcerò il naso a prescindere di fronte a Gokinjo Monogatari solo perché è uno shojo. Io e Rico siamo cresciuti davanti a cartoni e fumetti ma con esperienze diverse senza mai doverle integrare a forza, come ad esempio è successo con Evangelion: io l’ho guardato tra la fine degli anni ’90 e gli anni 2000 in un misto di videocassette prestate e Anime Night su Mtv, con un assorbimento graduale, influenza sui temi onirici e senza cercare di convincere tutte le persone che mi stavano accanto che Andava Visto, mentre Rico si è divorato tutte le 26 puntate nel 2014 in modo indipendente, senza che nessuno avesse creato la necessità in lui ed è rimasto così meravigliato dall’opera che ha sentito di dover condividere il suo entusiasmo cercando di segnalare la serie a diverse persone come la cosa che per lui era, una scoperta eccezionale. Peccato che la reazione di queste persone era più o meno sempre una variazione sul tema “Ma lo hai visto solo ora???”.
Entrambi abbiamo assorbito Evangelion in modi diversi ma con una intensità profonda, perché qualcuno deve ridurre tutto al miserabile dettaglio della contemporaneità? Per questo genere di basse esigenze attualiste esistono 6 o più serie che soddisfano giornalmente la fretta di stare al passo, si chiamano Telegiornali.
Visto che citi Zerocalcare poi, faccio un esempio anche su di lui. Anche io all’intervallo alle elementari mi trovavo a decantare le gesta dei Cavalieri dello Zodiaco, e ti batto il cinque se rappresenti tua madre come Lady Cocca di Robin Hood della Disney, di contro non amo quel genere di trattazione delle tematiche sociali e l’inserimento continuo di elementi contemporanei-evanescenti come internet e gli smartphones, TUTTAVIA non è nell’identificarsi o prendere le distanze che sta la lettura di un fumetto, altrimenti potrebbe piacermi Shintaro Kago solo se sezionassi corpi di ragazze. NO. Quindi cosa posso apprezzare di Zerocalcare? Il fatto che una persona che decanta la sua leggendaria sedentarietà come un valore alzi il culo e vada a Kobane, il fatto che non abbia eliminato l’infanzia dalla sua vita e ne parli in modo oscuro e divertente, il fatto che alteri la realtà dando delle identità fittizie ai personaggi dei suoi racconti evitando l’onesta professione di verismo senza abbandonare il tono gag e poi, accidenti a me, il fatto che mi strappi diverse risate. Sono andato un po’ fuori dal tracciato della domanda, però posso dirti che altre volte ho cercato di iniziare a fare cartoni animati e non è così automatico riuscirci, non basta la volontà, ci vuole anche il consenso di tutta l’inerzia dell’Universo, perché soffiare la vita all’interno dei disegni in una struttura narrativa non è cosa che si possa fare da soli, al contrario dei fumetti. E non ti so ancora spiegare il perché. So solo che con Rico e Megabaita ci stiamo riuscendo (buttiamo via la scaramanzia oltre che la generazionalità) e da solo non ci riuscirei.