Il disco dei Messthetics e quel modo di stare al mondo in generale

Ai banchetti delle distro DIY era pieno di dischi, soprattutto italiani, soprattutto di area crust accacì o pop-punk, in cui il gruppo si era curato di mettere sul fronte o sul retro la scritta “NON PAGARE QUESTO DISCO PIÙ DI 20MILA LIRE”, poi corretti a 10 euro. Nell’ottica del critico musicale erano dischi che mediamente non valevano manco quelle 20mila lire lì, ma immagino che questo genere di mentalità sia uno dei motivi fondamentali per cui i critici musicali dovrebbero venire uccisi a colpi di vanga. Oggi vedere un disco con scritto “non pagare più di 10 euro” avrebbe un senso relativo, più che altro per via del fatto che in generale l’idea di vendere dischi si sta estinguendo, e in particolare Amazon sta facendo giusto ora una promo “6 CD a 30 euro” con dentro un botto di dischi belli. Sono cose della vita, vanno prese un po’ così (Friedrich Nietzsche). L’idea originale dietro a quel disclaimer era diversa, e si rifà ad un’ideologia che fu imposta da un gruppo di Washington DC dalla fine degli anni ottanta all’inizio dei duemila. In sostanza, l’idea di fare tutto quel che fosse umanamente possibile per tenere i dischi e i biglietti dei concerti ad un prezzo accessibile a tutti, a costo di tagliarsi i cachet e precludersi certi contratti o canali distributivi. Il fatto che quel gruppo fosse anche uno dei migliori in attività fece sì che quell’ideologia diventasse un modo di pensare la musica.

Per certi versi è una contraddizione in termini, molto americana sia nelle modalità che nei toni. Un esempio classico riguarda lo sport: gli statunitensi sono relativamente inclini a perdonare gli atleti eccentrici e contrari al sistema, ma solo finché vincono le partite. Il cestista nero di mezza tacca E riottoso tende a venir purgato dal sistema: la sua media a canestro non basta a giustificare le grane che ti fa piovere addosso se sei il proprietario del club. Con la musica non è molto diverso. Se ci pensate, la cosa più dolorosa dello scioglimento dei Fugazi è che s’è portata via il modo di stare al mondo dei Fugazi. The Argument era già il disco da un gruppo che agiva al di fuori del suo ecosistema, a conti fatti, ma il giorno dell’uscita non sembrava. Un mesetto prima il disco degli Strokes aveva fatto tornare di moda il garage, New Slang stava per andare a finire nella pubblicità di McDonald’s, di lì a qualche anno i poster dei gruppi indiepop avrebbero imbrattato le camerette dei protagonisti di The OC. Contestualmente, tantissime indie avrebbero iniziato a farsi distribuire da multinazionali con accordi di lusso che (sbandierando ai quattro venti una “libertà creativa” fino ad allora sconosciuta) allargarono le maglie del possibile nel codice di autocensura che teneva a bada l’etica tra virgolette “indie”, oltre a smerdare in via definitiva il loro catalogo e costringerle alla chiusura nel giro di un lustro (che ne so, GSL). I Fugazi uscirono di scena, senza dichiarazioni pubbliche né altro, perché non avevano più stimoli. Difficile dire se le condizioni ambientali abbiano o meno influito: probabilmente era solo un fatto di vecchiaia. Sta di fatto che di lì a un lustro anche Dischord avrebbe sostanzialmente smesso di lavorare a nuove uscite, concentrandosi su una serie lunghissima di ristampe e su qualche occasionale album di inediti messo insieme da amici di lungo corso (recentemente The Effects, per dire).

Ci pensavo in questi giorni mentre ascoltavo a nastro il disco dei Messthetics. I Messthetics sono Brendan Canty e Joe Lally, assieme a un chitarrista di area jazz, tale Anthony Pirog. Non riesco a decidere davvero se quello dei Messthetics sia un disco bellissimo o una scoreggia epica, ci sono tanti argomenti a favore dell’una e dell’altra tesi. A memoria quello dei Messthetics è il primo disco in cui suonano due Fugazi dallo scioglimento dei Fugazi: già di per sé è una buona notizia, ma il materiale ritmico messo in campo è clamoroso. Quantum Path, per dire, è praticamente una cover Arpeggiator suonata con l’entusiasmo a tremila e anche il resto del disco si muove nelle stesse coordinate ritmiche di Argument e End Hits –segno tra l’altro di quanto quei dischi fossero soprattutto in mano al bassista e al batterista. Ma dall’altra parte The Messthetics (nomen omen) è un disco ampolloso che spesso si permette di varcare i limiti del fastidio, probabilmente perché a Pirog non frega nulla di star suonando con due ex-membri dei. Avete presente le cose masturbative dei Karate, o i dischi strumentali dei progetti di Geoff Farina, e la sensazione che lasciavano sapendo che chi suonava era quello che aveva fatto In Place of Real Insight? Ecco.  

Ciclicamente, diciamo una volta l’anno, si parla di una possibile reunion dei Fugazi. Succede quasi sempre per una questione di accenti: di tanto in tanto capita che uno dei membri (i quali hanno carriere piuttosto soddisfacenti al di fuori del gruppo) venga intervistato. Se chiedi a Ian MacKaye se i Fugazi si riformeranno, lui ti risponderà più o meno “non lo so, magari sì, magari no, dipende se avremo una ragione di farlo o no”. Di lì a un giorno esce il titolone su Pitchfork, o dove volete voi. “Fugazi: reunion imminente?”. È comprensibile. Nel linguaggio delle rockstar, una risposta del genere implica una reunion della lineup originale nel giro di un semestre. I Fugazi sono in “pausa indefinita”: per il momento non hanno cazzi di tornare a suonare assieme, magari un giorno lo faranno. Come potrebbe suonare un disco “nuovo” dei Fugazi, a vent’anni dall’ultimo? La mia fantasia: elegante, molto scarno, suonato in punta di dita. Un’altra ipotesi è quella di un disco strumentale molto teso e molto cervellotico, molto adulto e probabilmente eccessivo, come quello dei Messthetics. Non lo so. Un’altra domanda, che in realtà mi sembra ancora più importante: come si può essere i Fugazi in un mondo in cui essere i Fugazi sembra non avere molto senso? Non lo so. Non so se vorrò davvero esserci quando/se succederà. Così, la cosa che non riesco davvero a risolvere nel disco dei Messthetics è che, sotto ogni punto di vista, sembra davvero solo un disco di musica.

One thought on “Il disco dei Messthetics e quel modo di stare al mondo in generale”

  1. “sembra davvero solo un disco di musica”
    che è quello che dovrebbe essere ogni disco. o no?
    (CHE BELLI I PIPPONI CHE TI FAI<3)

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