Ho visto un concerto dei Protomartyr

 

 

Il cantante assomiglia a Bob Mould periodo Workbook/Black Sheets of Rain/Sugar: ributtante, cianotico, completamente scoordinato, però alto; oppure a Bob Stinson, però vivo. Gli altri ai Mission Of Burma riformati – bruttissimi a prescindere dal contesto – però giovani e senza la carogna. Per qualche motivo importano a qualcuno. Musicalmente sembrano una copia della copia della copia della copia della copia della copia dei Fall ma senza i pezzi e con un tizio bolso e paonazzo e stremato al posto della cosa vera (ricordo di avere visto la cosa vera nell’ultima occasione dalle mie parti e dovrei sentirmi grato per avere gli anni che ho, ma ho come l’impressione di essere il meno vecchio nel locale). Infama qualche nemico invisibile come in una fiacca replica dell’hooligan degli Sleaford Mods senza la provenienza geografica, gli argomenti né tantomeno il flow, poi a una certa lascia perdere e si limita ad assecondare la marea. Probabilmente è il loro milionesimo concerto consecutivo senza manco un day off a fissare le pareti di qualche bettola. Comunque, è come se lo fosse: mi sento stanco io per loro, sulle spalle miliardi di kilometri, facce e posti che mi ricordano altre facce e posti, nelle orecchie l’eco di amplificatori come in un pezzo di Bob Seger, e nemmeno suono uno strumento. Detroit per chi non ci ha mai messo piede significa Motown Sound, Stooges, Ted Nugent, MC5, Underground Resistance, Eminem, Mick Collins; oggi, anche Protomartyr. È il 2018.

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