Abbiamo un problema con il fascismo e uno ancora più grosso con l’antifascismo 

*Da quasi due anni sono uno Stregone.
Mi alzo la mattina prestissimo, controllo la posta o whatsapp e al posto dei miei contatti tradizionali trovo messaggi vocali in Pidgin, il broken english mescolato con i dialetti africani. Trovo canzoni, preghiere, fotografie e richieste di aiuto.

Che cosa facciamo con Stregoni.
Suoniamo con gli ospiti dei centri migranti. Negli ultimi due anni siamo stati praticamente ovunque in Italia e poi abbiamo avuto la fortuna di intraprendere un viaggio che ci ha portato a Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Amburgo, Copenhagen e Malmö. Questo viaggio è diventato un film.

Da quando il progetto è partito abbiamo suonato con più di 3000 persone diverse, tutte richiedenti asilo provenienti da Mali, Nigeria, Etiopia, Gambia, Senegal, Siria, Niger, Iraq, Afghanistan, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Sudan, Eritrea, Libano, Pakistan, Palestina.

Che cosa abbiamo visto.
Il ritratto è quello di un’umanità straripante: una voglia travolgente e disperata di vivere e dare una svolta positiva alla propria vita, ma non prendiamoci in giro: i limiti sono enormi. Per come è gestita l’accoglienza le prospettive di integrazione sono scarsissime e sono pochi gli stessi migranti che riescono ad orientarsi e a cogliere la complessità del quadro politico europeo.

Mettere in piedi ogni volta una band diversa in una città diversa richiede molta follia e fatica, ma la verità è che senza la disponibilità, la generosità di tanti operatori dell’accoglienza sarebbe stato impossibile organizzare molti dei nostri live. Abbiamo avuto a che fare con centinaia di persone: dai mediatori culturali alle cooperative sociali, ai promoter dei club fino alle suore: una rete per certi versi sorprendente e dinamica.


Tutte queste persone hanno qualcosa in comune: trovandosi a contatto ogni giorno coi migranti, sono praticamente rimaste le uniche a non avere un approccio ideologico alla questione. Sembra paradossale doverlo spiegare: ogni giorno davanti ai loro occhi non vedono dei richiedenti asilo, non vedono dei fuori quota, vedono delle persone con nomi, storie e nazionalità diversa. Eppure come sappiamo alle prossime elezioni, questa fetta di società civile non avrà alcuna rappresentanza. Ma non sono i soli.

Dopo un’estate segnata dalla delegittimazione delle Ong, dagli accordi criminali con la Libia, e dopo quanto successo il 3 febbraio a Macerata, Il tema immigrazione è al centro della campagna elettorale italiana: nei dibattiti televisivi si parla a slogan di come affrontare il fenomeno.

La tentata strage di Macerata ci ha mostrato chiaramente qualcosa che non può più essere nascosto o ridimensionato. Se molti hanno un problema con il fascismo, tutti quanti abbiamo un problema irrisolto con l’antifascismo.

L’esitazione, la ritrosia e il calcolo mostrato da politici e giornalisti nell’evitare ad ogni costo di definire quella di Traini una “tentata strage fascista”è sconcertante. Eppure dovremmo esserlo tutti, antifascisti. Invece in queste ore è venuto a cadere un altro argine democratico consentendo all’odio e alla mistificazione di guadagnare ulteriore terreno nella prateria lasciata vuota dalle forze democratiche secondo una strategia folle e incomprensibile .

Purtroppo non sono il solo ad avere l’impressione che lo scudo costituzionale sia già ampiamente deteriorato e che il tabù del fascismo verrà definitivamente spazzato via alla prossima tornata elettorale.

E l’antifascismo? Mentre i ragazzini si organizzano e fanno i turni per darsi il cambio ai gazebo di Casapound, l’antifascismo è spesso lasciato alle iniziative dei non più giovani iscritti all’Anpi o ai centri sociali.
Io stesso mai avrei pensato anni fa di dover dichiarare esplicitamente il mio antifascismo.
Il tema invece deve tornare immediatamente una questione prioritaria, condivisa. E no, non basta pubblicare i meme di “Punch a Nazi” per essere in pace con la coscienza.

I migranti non c’entrano. 
Quando litighiamo sull’accoglienza, quando discutiamo di dignità, stiamo parlando prima di tutto a noi stessi, nel tentativo di capire cosa stiamo diventando.
I migranti sono divenuti il capro espiatorio perfetto. Diffondere dati, contro-narrazioni basate sul fact-checking non serve a nulla.

“E’ così che funziona la violenza: avvelena l’intero corpo sociale, lo morde al calcagno, poi entra in circolo e lo fa marcire interamente”. (cit Raffaele Alberto Ventura)
I richiedenti asilo sono identificati come responsabili della crisi generata dall’economia finanziaria, che non ha alcuna relazione con l’immigrazione, anzi molto spesso come sappiamo, ne è la prima causa.

Quindi guardiamoci in faccia: c’e un ventre molle, una fetta di società umiliata e impoverita accecata dalla rabbia e dal risentimento il cui consenso fluttua come una mina impazzita. Tanti anni di crisi hanno sfilacciato il tessuto sociale, intaccato il welfare ma soprattutto indebolito la coscienza delle persone. E internet, lo sappiamo, non aiuta.
La battaglia per un’accoglienza ferma ma degna, è una battaglia della ragione e della democrazia.

Se molliamo su questo, se chiudiamo le porte e tappiamo anche l’ultimo buco sarà l’intera diga a non reggere travolgendo ogni cosa.
E non serve uno stregone per fare una profezia del genere.

Un anno di Stregoni

*Questo è un diario di appunti sparsi presi nel corso del primo anno di Stregoni

Da quasi dodici mesi sono uno Stregone. Mi alzo la mattina prestissimo, controllo la posta o whatsapp e al posto dei miei contatti tradizionali trovo messaggi vocali in Pidgin, il broken english mescolato con i dialetti africani. Trovo canzoni, preghiere, fotografie e richieste di aiuto.

Che cosa facciamo con Stregoni. Suoniamo con gli ospiti dei centri migranti. Nell’ultimo anno siamo stati praticamente ovunque in Italia e poi abbiamo avuto la fortuna di intraprendere un viaggio che ci ha portato a Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Amburgo, Copenhagen e Malmö. Questo viaggio è diventato un film.

Da quando il progetto è partito abbiamo suonato con più di 900 persone diverse, tutte richiedenti asilo provenienti da Mali, Nigeria, Etiopia, Gambia, Senegal, Siria, Niger, Iraq, Afghanistan, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Sudan, Eritrea, Libano, Pakistan, Palestina.

Stregoni è un confronto continuo e faticoso. Lo abbiamo accettato da subito, facendo i conti prima con i nostri limiti, scegliendo di sfidarli,  metterli alla prova e successivamente trovandoci a confrontarci con le diverse sensibilità dei ragazzi che abbiamo incontrato.

Stregoni alla Festa del Ringraziamento – Foto Marco Pak Pasqalotto

Il nemico
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i problemi più grossi non li abbiamo avuti con neofascisti, leghisti o quei ragazzacci del Family Day.
Il nemico invisibile contro cui lottiamo dal giorno in cui siamo partiti con questa avventura è la Nostalgia, un muro spesso e molle, difficile da infrangere.
La nostalgia non serve solo al marketing o alla politica. In Europa, così come in molte altre parti del mondo, questo sentimento minaccia la convivenza di gruppi diversi all’interno dello stesso territorio perché distorce la realtà.
Un tempo si trattava di una semplice distorsione del passato: oggi, data l’assenza di alternative e di ideologie, la nostalgia sta facendo a pezzi anche il presente e il futuro.
Non si tratta solo dei filtri di instagram, della retromania, di serie ultra-citazioniste come Stranger Things o di andare a vedere la reunion di vecchi rocker settantenni. La nostalgia agisce molto più in profondità, soprattutto in chi, come nel caso dei ragazzi che suonano con noi, ha dovuto affrontare una migrazione.
Paris – Stalingrad Camp – Foto Johnny Mox

Tutti i rifugiati che hanno abbandonato la loro terra condividono un profondo senso di struggimento nostalgico, un disorientamento a cui non viene data alcuna risposta. Non hanno solo perso la casa, hanno perso un’idea di presente, di quotidianità, a cui restano appesi con i loro smartphone, vagando in città come zombie in cerca di wi-fi.

E qui cominciano i problemi. Ci siamo trovati a fare i conti con due diverse nostalgie, che rischiano di generare conflitti e fratture.

Em Slim – Foto Johnny Mox

La nostalgia stanca e decadente dei millennials occidentali, che si rifugiano (mi ci metto pure io coi miei vinili) nel tepore di un mondo lontano perduto. Sono lo specchio di un presente in crisi perenne, insidiato e irrimediabilmente minacciato.

Dall’altra i migranti sono la materializzazione di questo fantasma: ma la loro è una forma molto diversa di nostalgia. Non riuscendo a trovare un posto in una società incapace di ripensarsi, sono sempre di più quelli che inconsciamente scelgono di rifugiarsi in un mondo ideale e puro pervaso dalla nostalgia di luoghi e case, lingue e costumi che hanno perduto violentemente.
Sarebbe proprio la nostalgia il vero motore della radicalizzazione di molti islamici-europei di seconda o terza generazione, la cui ribellione contro la società viene alimentata da una sentimento nostalgico folle e distorto di un mondo che nessuno di loro ha mai veramente vissuto.

Kora player – Fattoria di Vigheffio Parma

Io continuo ad avere a che fare con ragazzi che fisicamente si trovano a vivere in Italia, camminano per le nostre strade, ma hanno ancora la testa in Africa o in Asia. E il cellulare in questo caso è il vero e proprio cordone ombelicale che li tiene attaccati alla loro terra.

Non c’è niente di sbagliato: i ragazzi impazziscono per la stand-up comedy made in Nigeria perché è obiettivamente divertentissima: stanno tra di loro a ridacchiare su youtube esattamente come migliaia di ragazzi italiani in Erasmus si ritrova(va)no a Parigi o Bruxelles a vedere la partita e farsi la spaghettata con il sugo portato da mammà.

E’ evidente però che la combo nostalgia + social network rischia di rivelarsi un cocktail micidiale. La nostalgia agisce come una droga, tranquillizzante o stimolante a seconda delle esigenze, come un nuovo oppio dei popoli. Ciò che conta è che sta riducendo a brandelli la stessa idea collettiva di futuro.

Estasiarci 2016 Viterbo – Foto Chiara Ernandes

Nostalgia del Futuro
Occorre al più presto capire chi sono le persone che arrivano nelle nostre città, quali siano le loro speranze, le aspettative, i muri culturali da abbattere.
E’ questa la ragione per cui c’è bisogno al più presto di trovare una strada diversa, prendendosi qualche rischio se necessario. Per farlo abbiamo scelto di cercare una visione nuova, non solo a livello musicale, sbarazzandoci della nostalgia in ogni sua forma, a costo di produrre per tentativi, a qualità intermittente.

Amsterdam Canals with Wasim

Se c’è una cosa che ho imparato da Stregoni è la libertà di sbagliare.
Ho provato (senza riuscirci sempre) a sfidare i miei limiti, a guardare agli altri e me stesso per quello che sono, libero di non capire, libero di arrabbiarmi e di porre interrogativi in uno sforzo continuo nella tensione verso gli altri. La forma che abbiamo scelto non solo per i live ma per tutto quello che produciamo rispecchia esattamente questo tipo di ricerca. Come nella vita vera, come in ogni relazione, serve un tempo per conoscersi, studiarsi, annusarsi e se serve, sbagliare tutto e ricominciare.

Stregoni è nato da subito rifiutando l’idea di band stabile proprio per questo. Siamo un laboratorio perenne senza membri fissi: quello che ci interessa è creare le condizioni per avere uno spazio di confronto più grande del palco, più grande della sala in cui il pubblico assiste all’esibizione. Troppo facile scrivere una bella canzone di sensibilizzazione: non c’è niente da sensibilizzare, questa gente è qui, vive tra noi e ha bisogno di risposte, di azione.
Paris – Theatre de Verre
Non si tratta di andare semplicemente a tempo assieme sul ritmo, quello che si crea con Stregoni è un campo di attrazione magnetica tra gli individui. La musica ha questa forza, quella di dare vita ad uno spazio fisico nuovo, all’interno del quale chiunque può muoversi liberamente ed entrare in contatto. Poco importa se siamo seduti in cerchio a pregare tutti assieme in mezzo alla foresta pluviale, o se ci troviamo in un centro migranti a condividere mp3 con il Bluetooth perché la connessione  è lenta.

Prendi proprio il caso del Bluetooth.
Prima di Stregoni non l’avevo mai utilizzato. Ho imparato ad usarlo grazie ad un paio di ragazzi del Gambia. Da loro è normalissimo scambiarsi musica o video da telefono a telefono. Se ti trovi nel deserto senza connessione internet non c’è amico migliore del bluetooth. Abbiamo tutto da imparare dall’Africa quando si parla di utilizzo punk della tecnologia.

Milano – Santeria Social Club
Paris – Theatre de Verre

Il Futuro di Stregoni
La prima fase di Stregoni si è conclusa, stiamo ultimando assieme a Joe Barba il documentario che racconterà il nostro viaggio in Europa. Dopodiché, come più volte è stato ribadito, ci piacerebbe gradualmente scomparire dalla scena, dando la possibilità ai ragazzi più bravi che hanno suonato con noi di muovere i primi passi in autonomia, utilizzando nome e logo del progetto per organizzare serate di musica nei locali da soli.

Il sogno che coltiviamo è un week-end con cinque concerti di Stregoni in contemporanea in cinque posti diversi d’Europa. Sarebbe il compimento assoluto del progetto.
Responsabilizzare queste persone, renderle protagoniste di un’avventura artistica e perché no, anche lavorativa.
Intanto abbiamo già cominciato a muoverci, creando due cellule separate, a Trento e Verona: io sto lavorando con i ragazzi della residenza Fersina e Brennero nella mia città, mentre a breve a Verona partirà un ciclo di laboratori curati da Marco / Above the Tree assieme ad alcuni membri dei C+C=Maxigross.

Tra i progetti in cantiere c’è anche la creazione di un vero e proprio network radiofonico completamente gestito via smartphone: un programma mensile con musica e “conduttori” multilingue che consenta ai migranti che arrivano in italia di potersi scambiare informazioni utili in un contesto diverso e informale.

Stregoni Workshop – Foto Vito A. Guglielmini
Don’t take my kindness for weakness
Mi chiedo di continuo cosa sarà di molti dei ragazzi che conosco già a partire dalla prossima estate, quando usciranno dai progetti di accoglienza o quando la loro richiesta di asilo verrà respinta.

Gli sbarchi, che nel 2016 hanno raggiunto il numero più alto di sempre, riprenderanno tra poche settimane. Lo scorso anno sono stati espulsi circa 1800 migranti. Una cifra che equivale alla metà del numero di richiedenti asilo arrivati con un solo sbarco.

Sappiamo tutti che gli accordi tra Italia e Libia non risolveranno il problema dei visti e ci faranno sprecare un montagna di denaro che invece andrebbe impiegata per i progetti di accoglienza.

C’è un grosso buco, un cratere che si allarga ogni giorno ed è un buco politico che rischia di inghiottire tutti quanti. L’assenza di regole, di un piano, una visione che vada oltre “l’emergenza” migranti sta producendo danni irreparabili ed è un assist a chi specula sulla paura.
Abbiamo un’opportunità incredibile da sfruttare, una soluzione che sbloccherebbe il problema della crescita demografica ed economica.
Un insegnante precario ogni dieci migranti, per accelerare sull’apprendimento della lingua, ma anche per una formazione mirata e specializzata.
Un investimento che, facendo incontrare due generazioni, quella dei nuovi arrivati e quella iper-qualificata dei giovani laureati, risolverebbe il problema più grande di questi anni, quello del lavoro.

Continuare a negare quest’opportunità a chi arriva e a chi già vive in Europa, avrà conseguenze disastrose: e non serve uno Stregone per fare una profezia del genere.

Stregoni su FB
Leggi il diario di Stregoni Parte 1

Copenhagen – Center kongelunden
Malmoe – Kontrapunkt

Stregoni

SERMM STREH

*Questo è un diario di appunti sparsi presi nel corso dei primi sei mesi di Stregoni

Da quasi sei mesi sono uno Stregone. Mi alzo la mattina prestissimo, controllo la posta e al posto dei miei tradizionali contatti trovo mail in arrivo da “Suor Rita” o dai referenti di qualche associazione umanitaria.

Che cosa facciamo con Stregoni. Suoniamo con gli ospiti dei centri migranti girando tutta la Penisola. Abbiamo scelto da subito di non avere una band stabile, gli unici membri fissi siamo io e Marco (Above the Tree). In ogni città in cui suoniamo cambiano i ragazzi, cambia la loro nazionalità e cambia anche radicalmente il sound. Tutti i concerti a loro modo sono unici e irripetibili.
Da quando il progetto è partito abbiamo suonato già con circa 200 persone diverse, tutti Richiedenti Asilo.

L’idea da subito è stata quella di andare a vedere come vivono queste persone una volta arrivati nelle nostre città. Tutti quanti conosciamo bene cosa succede in mare o le difficoltà che ci sono ad attraversare i confini. Ma cosa fanno tutti questi ragazzi a pochi metri da casa nostra?

La risposta è sempre la stessa: vivono in una specie di bolla, in attesa che la commissione esamini la richiesta di asilo, trascinandosi tutto il giorno in cerca di wi-fi. Quello che facciamo è cercare un contatto, creando un terreno di scambio vero attraverso la musica, partendo da quella che ascoltano.

Quello che succede sul palco è indescrivibile: ci sono dei momenti in cui le cose girano a mille, in cui hai la sensazione di essere in mezzo a qualcosa di più Grande con i tuoi fratelli di sempre.
Altre volte invece è durissima, si fatica, il suono zoppica, i ritmi si sfasciano e il palco diventa un posto enorme e desolato. Poi però tutte le volte scatta sempre qualcosa e la musica arriva a travolgere tutto.

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Foto: Cristiana Rubbio

Le difficoltà, la fatica a capirsi e a trovare sintonia non solo sono fondamentali, ma necessarie per questo progetto . Non sei venuto a sentire l’ennesimo cantautore che scrive il pezzo impegnato sui migranti sepolti in mare.
Tutto quello che facciamo con Stregoni, ogni aspetto strutturale e di forma del progetto è il messaggio.
La difficoltà, rappresentata sul palco, assume un significato più profondo: stai vedendo con i tuoi occhi gente diversa con storie diverse che fatica a venirsi incontro. È dura, dev’essere dura, ma quando poi la porta si spalanca, la stregoneria diventa un’esperienza travolgente.

La chiave dell’intero progetto sono i telefoni. I famigerati smartphone, strumentalizzati da quelli che noi chiamiamo gli Ultras dell’ignoranza.
Arrivare dall’Africa o dall’Asia in Europa senza un telefono cellulare è impossibile. Sugli smartphone c’è il Gps, in Africa effettuano addirittura i pagamenti con le ricariche telefoniche, aggirando le banche. Sui telefoni ci sono le fotografie, i video dei villaggi delle città che queste persone hanno attraversato e c’è anche tantissima musica.
Da quella musica, da quegli mp3 noi partiamo ogni volta, invitando i ragazzi sul palco col telefono a mettere una canzone. Io poi ne faccio un loop e da quella porzione di pezzo partiamo con la stregoneria. È un viaggio lungo e faticoso, che culminerà alla fine dell’estate con un tour-documentario nei centri migranti di tutta Europa.

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Foto: Edoardo Conforti

Nell’arco di questi mesi il nostro punto di vista si è arricchito: ho conosciuto gente con storie potentissime alle spalle. Come Muassin (spero si scriva così).
Muassin viene dall’Afghanistan, è arrivato a piedi in Italia dalla Turchia, mettendoci due mesi. È una cosa a cui ancora fatico a credere.
Mi ha fatto vedere sul braccio i segni delle torture che ha subito. A Kabul era attivista di un partito ribelle, ma ha dovuto lasciare il paese per evitare la persecuzione. Nonostante sia arrivato in Italia da poco più di sei mesi conosce già la lingua meglio di tanti altri richiedenti asilo. T-shirt con scritta “Italia”, la faccia e lo sguardo di uno che ce la farà a trovare il suo posto qui da noi. Forza Muassin.

Gilbert invece in Nigeria ha lavorato come saldatore, faceva il pugile e arrotondava portando in giro gente con la sua motocicletta-taxi. Qualcosa è andato storto con uno di Boko Haram e ha dovuto lasciare di corsa il paese. Otto mesi di Libia e poi in Italia: è un po’ che non mi risponde al telefono, chissà dov’è finito, credo che sia arrabbiato con me. Ieri ho anche scoperto che sono tantissimi i gambiani che devono fingersi gay per ottenere il visto. Le storie sono migliaia, e sono tutte lì, sul palco a spassarsela con noi.

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Foto: Gabriele Spadini

Stregoni è una battaglia continua, qualcosa che non riusciremo mai a controllare fino in fondo. La musica alcune volte è scadente, disordinata, caciarona ma è molto più viva e vera di tanta roba che sento in giro. Siamo lontanissimi sia dalle mappe della musica “impegnata” fuorisede e tavernello, sia dalle geografie indie-elettronica. Eppure è questo il suono dell’Europa di oggi: rap r’n’b nigeriano col vocoder, highlife, afrobeat electro con Johnny Mox e Above the Tree sullo sfondo che drogano, sfocano il tutto ed alzano il livello dello scontro ritmico. È una sfida, ma è anche un modo per costringerci ad aprire gli occhi sulla realtà. Stanotte sono tornato a casa spossato ma contento dopo aver sudato tra i niggaz smadonnando con gli afghani, i loro balli di gruppo, le difficoltà che ci sono a dare spazio a culture diverse. Preferisco questa fatica, queste difficoltà al clima di sconfitta che regna un po’ ovunque tra band e concerti.

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La Trappola
L’accoglienza dei richiedenti asilo, così come è organizzata, è una trappola: i tempi sono lunghissimi e per chi è fuggito dalla povertà e non da una guerra, le speranze sono ridotte a zero.
Dobbiamo capirlo in fretta, prima che la frustrazione di questa gente vada a sommarsi alla frustrazione degli italiani, dei disoccupati, degli immigrati arrivati nei primi anni zero che pagano le tasse. In giro ci sono situazioni che con il protrarsi dell’esasperazione possono trasformarsi in una polveriera. “Sono in Italia da due anni, voglio lavorare, sono stanco di stare senza far niente ma devo aspettare quello che dice la commissione“. Da quando siamo partiti con il progetto di Stregoni questa è la frase che ho sentito più spesso. Sono parole che lasciano trapelare tutta la frustrazione, il senso di impotenza e mancanza di futuro che avvolge la vita di queste persone, che non sono messe in condizione di agire per trovare la propria strada.

Abbiamo tutti bisogno delle stesse cose: lavoro e futuro. Eppure i dati parlano chiaro: in Europa c’è bisogno di forza lavoro giovane, il calo demografico non minaccia solo l’Italia ma anche paesi come Germania e Olanda. Servirebbe al più presto far partire un new deal europeo, per dare una risposta a tutti questi arrivi. Tanta gente che raggiunge l’Europa significa anche aumento della domanda, nuovi consumi. Occorre mettere in condizione queste persone, arrivate per sfuggire ad una guerra o semplicemente alla ricerca di una vita migliore, di avere la possibilità di vivere meglio.

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Foto: Edoardo Conforti

Dimentichiamoci l’integrazione, che è una parola ambigua. Come dice Žižek “Il mio ideale di convivenza è un grande palazzo in cui gente di ogni razza e religione si ignora, ma lo fa gentilmente, in modo molto tollerante. Poi magari nasceranno delle amicizie, degli amori, ma non può accadere in maniera forzata“.
Prendi il kebabbaro o il pakistano con l’internet point: mica sono diventati imprenditori per spirito di avventura: hanno aperto un’attività che fonda il suo sostentamento sulla presenza di una comunità di riferimento. Non avevano altra scelta. Non sono di certo le birrette che compero io alle due di notte a dare da vivere al pakistano, il paki vive grazie alla sua gente, alla sua comunità. Il paki però a fine mese paga le tasse, l’affitto e un pezzo di pensione dei tuoi genitori.

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Foto: Giulia Pedrotti

Don’t take my kindness for weakness
L’Europa sta commettendo un crimine senza precedenti a non concedere una possibilità concreta a queste persone. E molti europei stanno sbagliando lotta politica.
Prendi le manifestazioni al Brennero, con le cariche di routine, come fosse uno sceneggiato. Dov’erano i richiedenti asilo? Perchè non sono stati coinvolti? E’ vero, quelli che hanno manifestato al Brennero facendo a botte coi celerini sono europei e hanno il diritto di dire la loro sulla chiusura dei confini, ma è evidente come tutta l’operazione sia risultata debole. Che battaglia stai combattendo? Che messaggio stai lanciando?

Accoglierli tutti, creando un sistema sostenibile, con condizioni anche dure, ma condivise. Noi ci arrabbiamo tantissimo perchè molti ragazzi in Italia già da mesi non hanno ancora imparato l’italiano. Non va bene, dobbiamo tutti essere più esigenti. Certo il Ramadan è importante, andare in chiesa è importante, ma è altrettanto vitale imparare la lingua, prendere la patente, formarsi il più possibile.
Per l’autunno abbiamo in mente un progetto che speriamo riuscirà a mettere alcune risorse in circolo.

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Stregoni è una fatica immensa, ma è anche l’esperienza musicale più potente della mia vita. Non è stato facile far partire tutta la macchina: In questi mesi senza i contatti di Seba dei Kuru, l’aiuto del Cinformi a Trento, i video di Joe Barba, Nicola Fontana, Constantin Capota, Vito Guglielmini, Paolo e Gian Luca di Pentagon Booking, I ragazzi del Locos, Sericraft che ci ha stampato le maglie, Chiara di Rockit, Il Betterdays Team, Marco Pecorari e Andrea Pomini di Rumore, Stefano Pifferi di Sentireascoltare, Arci Viterbo che ha subito creduto nel progetto, Intersos, Denis Longhi, Edo Grisogani, La Festa del Ringraziamento a Finale Emilia e il Mu Festival che quest’anno hanno deciso di destinare una parte dei ricavi del Festival al nostro progetto.
Stregoni va avanti anche grazie a queste persone.
Grazie davvero.

Per sostenerci ordina questa maglia a stregoniteam@gmail.com

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SERMONI#6 – RIFF

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SERMONI
ogni mese 5 minuti tra radio, spazzatura di youtube e diario di bordo
di Johnny Mox
In questo episodio:
Stefano Isaia (Movie Star Junkies, La Piramide di Sangue, Gianni Giubilena Rosacroce, Lame)
Luca Solomacello (Solomacello, Liquido di Morte)
Mirko Marconi (Hallelujah!, Death by Pleasure, Moxters of the Univers)
Francesco Alunni (Montana, Sonatine Produzioni)
//
RIFFFFF:
The Stooges – T.V. Eye
Demon’s Claws – Trip To The Clinic
At the Gates – Blinded by Fear
Iron Maiden – Run to the Hills
The Stooges – I wanna be your Dog
Beck – Loser
Hot Snakes – If Credit’s What Matters I’ll Take Credit
Kraftwerk – Das Model

SERMONI#5 – POLIZIA

sermoni 5 poster

SERMONI
ogni mese 5 minuti tra radio, spazzatura di youtube e diario di bordo
di Johnny Mox
In questo episodio:
Bruno Dorella (OvO, Ronin, Bachi da Pietra)
Dario Maggiore (La Crisi, Thunderbeard)
John D. Raudo (Marnero, Donna Bavosa rec.)
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Krs One – Sound of da police
The Clash – Police on my back
MO-DO – Eins, Zwei Polizei
John Holt – Police in Helicopter
Smart Cops – Il Cattivo Tenente
Sepultura – Policia
Junior Murvin/The Clash- Police & Thieves
NWA – Fuck the Police
Black Flag – Police Story
Millions of Dead Cops