Pepper Keenan credo di averlo visto per la prima volta in una foto promozionale dei Down, all’epoca di NOLA. Io sono ancora minorenne e loro stanno sulla pagina di un giornale in fila indiana. Quattro dei cinque membri del gruppo sono dei ciccioni barbuti inguardabili, ma Il primo della fila posa a torso nudo con i capelli biondi, gli occhiali da sole e la posa plastica. Non ha un filo di pelo sul petto, i jeans gli si sformano un po’ sotto un abbondante strato di boxer. È il cantante dei Corrosion of Conformity, un gruppo di cui a quell’altezza non so ancora nulla. La prima cosa che pensi, quando vedi uno così e vieni da Calisese di Cesena: “birro”. La seconda cosa: un blando desiderio di imitazione.
Birro, s.m.
In italiano è sinonimo di sbirro, compariva spesso nei Promessi Sposi e oggi è espressione desueta. In Romagna la parola birro definisce un concetto umano ed estetico che non c’entra nulla con questo significato. Il mio amico Mattia, il più grande esperto di antropologia romagnola nella mia fascia di età, ne dà un’ottima definizione.
“Uso un’immagine. È l’ariete del gregge. Quello forte, che sborra, che cuzza anche quando non dovrebbe, anche contro ogni ragione, anche a rischio dell’esser ridicolo. Ma è appunto il birro del gregge. C’è solo lui. É per forza quello che sborra.”
In generale si parla di birro in relazione a maschi romagnoli che aderiscono ad un sistema di pensiero, il più delle volte autocostruito, sul quale categorie umane descritte da espressioni condivise in tutto il territorio nazionale, ad esempio maschio alfa o tombeur de femmes o tamarro, finiscono per collassare uno sull’altro e dare luogo a certi mix pittoreschi, spesso contraddittori. È una categoria antropologica che ad essere sinceri non ha resistito benissimo all’attacco della globalizzazione culturale e ad essa ha dovuto soccombere (non ci si può più autocostruire un sistema di pensiero non allineato con una o l’altra sottocultura), e quindi il birrismo sopravvive soprattutto nel ricordo delle persone e nella persistenza di certi individui che continuano a praticarlo nonostante abbiano passato i quaranta. La condizione animalesca descritta dal mio amico Mattia poco sopra è calzante soprattutto per quel che sono certe dinamiche nei confronti del sesso femminile, simili a quelle di certe specie di uccelli –i maschi si pavoneggiano davanti alla femmina, la femmina sceglie il più appariscente. La maggior parte dei birri manifesta un interesse selvaggio e maniacale nei confronti della figa –appartengono alla categoria dei birri, ad esempio, tutti i leggendari vitelloni della cinghia riminese che facevano a gara a chi si scopava più ragazze in una singola stagione balneare; ma non è un aspetto necessariamente determinante della figura del birro –possono esistere, e sono anzi numerosissimi, i birri che non scopano. In certi casi il birrismo si manifesta soltanto in un generico ed alatorio esistere sopra le righe, oltre le leggi degli uomini. Questo riguarda soprattutto due aspetti: il modo di porsi in una situazione sociale in cui si trova a proprio agio (esempio: il Bar Sport) e il suo guardaroba. Barbe incolte, capelli lunghi, occhiali da sole, abbronzatura prestagionale, giubbotti di pelle, jeans, camicie sbottonate, bandana. In alcuni casi, soprattutto a cavallo tra gli ottanta e i novanta (in un momento cioè nel quale la street culture alle nostre latitudini non era percepita) il birro poteva toccare vette di bruttura estetica che lo rendevano indistinguibile dal peggior cinghione brianzolo –il pacco di Marlboro imboscato nel risvolto della maglietta, ad esempio, o certi riferimenti alla Giamaica che nella provincia entrano sempre.
Parlando di musica rock, il birro è una figura complessa. Essendo propenso per natura a primeggiare e condurre le danze, dal punto di vista sociale può generare grasse risate o un piccolo culto della personalità. Un esempio concreto: una volta ad una cena di miei compaesani si parlava di un recente concerto degli U2, a cui qualcuno era stato, e nel descrivere l’abbigliamento di Bono nella parte iniziale del live qualcuno ha introdotto la definizione “birro bello”. Si tratta grossomodo dello stesso concetto estetico su cui è basato il cantante dei Maneskin, per capirci –il che può significare che se sei un birro e hai infilato il giusto atteggiamento, puoi fare i sold out pure con una cover band. Ma dall’altra parte di cover band son pieni gli irish pub, e le cover band da irish pub sono piene di birri che non ce l’hanno fatta e continuano a tagliare le basette come Piero Pelù. Nel mio caso, comunque, l’atteggiamento arietico e la sorridente attitudine a giocarsela sempre hanno sempre esercitato un grosso fascino del birro su di me. Ma d’altra parte era difficile mantenere distanza emotiva da compaesani palestrati e cantanti di tribute band, e così ho preferito sognare di essere Pepper Keenan. Di lui non sapevo molto, ma voglio dire. Avete presente il retrocopertina di NOLA? Pepper disegnato con la corona di spine in testa alla Gesù Cristo (Gesù Cristo è una delle principali ispirazioni estetiche del birro romagnolo) con Rayban e sigaretta. Dai, su.
I Corrosion Of Conformity li ho imparati solo dopo. I Corrosion of Conformity sono una delle più clamorose e durature applicazioni del birrismo al rock pesante.
I COC non nascono con Pepper Keenan, tutt’altro. Attivi e rispettati da ben prima che lui ci si unisse, nella seconda metà degli anni ottanta sono uno dei principali punti di riferimento in quella zona di confine tra metal vecchia scuola e accacì vecchia scuola. In quegli anni riescono perfino a mettere la città di Raleigh (North Carolina) nella mappa hardcore statunitense, quasi da soli. Rimasti senza bassista alla fine degli anni ottanta, decidono di ricostruire il gruppo da zero e magari cambiare anche un pochetto il suono. Così da power-trio diventano un gruppo di cinque elementi: un cantante vero e proprio, un nuovo bassista e un secondo chitarrista, tale Pepper Keenan. È soprattutto lui ad integrarsi al nucleo originario del gruppo. Già nelle session del primo disco in questa formazione (che si chiamerà Blind) verrà messo a cantare una delle canzoni. Il caso vuole che sia la miglior canzone del disco, che il gruppo decida di farla diventare il singolo e di girarci perfino un video. La canzone si chiama Vote With a Bullet e ancora oggi è la prima canzone dei COC a cui si pensa. Nel videoclip Pepper è davvero birrissimo: barbetta, capelli lunghi, sguardo strafottente, agita la chioma su e giù che neanche in una pubblicità dello shampoo. Il tutto deformato da quelle immagini tipo fisheye, un po’ da video skate dei primi anni ’90. Era logico che si sarebbe preso il gruppo sulle spalle di lì a poco: gli altri due membri nuovi vengono epurati, Mike Dean torna al basso, e Keenan si posiziona davanti al microfono. I COC abbracciano il loro suono definitivo: robustissimo hard/stoner con pesanti inflessioni sudiste, che si faranno sentire tantissimo in Wiseblood ed esploderanno in America’s Volume Dealer (per me il loro miglior album). Non ci vuole molto, tra amicizie ed affinità sonore, a farli diventare uno dei principali gruppi della scena southern metal che si sta formando attorno ai Pantera. Ed è proprio a scapito di questa scena che finiranno in soffitta: il gruppo della domenica di Pepper diventa “la” band di Phil Anselmo a Pantera sciolti, con relativo aumento degli impegni. I COC sono già merce avariata: America’s Volume Dealer vende poco, e il disco successivo In The Arms Of God (meglio venduto ma più brutto) pone fine alla storia.
C’è un problema con l’essere birro: invecchiare non ti viene benissimo. Certi soggetti che passano a farsi l bianchetto al bar e guardano il derby appoggiati allo sgabello da soli mentre la moglie sbriga le ultime faccende di casa e il figlio si chiude in cameretta a sextare. C’è un certo onore nel continuare a vestier la divisa del fu-birro, certe camicie aperte, quell’orgoglio paesano del tenere ancora lo stecchino in bocca. Pian piano anche Pepper Keenan ha pagato lo scotto degli anni che passano. Oggi sembra a tutti gli effetti un membro dei Down: leggermente appesantito, ultra-barbuto e molto più incline ad abbandonarsi a pose da metallaro. Ai compagni di gruppo è andata comunque peggio: Reed Mullin in un lungo calvario di disintossicazioni, gli altri ex-COC senza direzione. A un certo punto provano perfino a riformarsi in “formazione originale”, fine anni duemila circa, e fanno perfino uscire un (terrificante) disco old-school senza Pepper Keenan. Il quale, comunque, non sembra mai essere ai ferri corti con gli ex-compagni –semplicemente, ha altri cazzi a cui pensare. Tra un rimpallo e l’altro si arriva all’oggi: dopo un’attesa estenuante la miglior formazione dei Corrosion of Conformity si è rimessa insieme la miglior formazione del gruppo (Pepper Keenan, Woody Weatherman, Mike Dean, Reed Mullin) e hanno fatto uscire da qualche settimana un disco nuovo. Si chiama No Cross No Crown e non c’è molto da dire: sembra voler farci dimenticare sia il disco senza Keenan sia In The Arms Of God, e ci riesce solo a tratti. La musica è scritta un po’ col pilota automatico, l’ispirazione va e viene, la cattiveria è quella che possono metterci dei cinquantenni. Ma la genuinità c’è ancora tutta, unita alla certezza incrollabile di essere stati dei grandi, e a un livello di birrismo che farebbe impallidire un riminese. Così, un po’ per inerzia e un po’ per amore, mi trovo a rimetterlo spesso nello stereo e desiderare ancora, una volta ogni tanto, di poter invecchiare con addosso un po’ dello smalto di Pepper Keenan.