SEI E MEZZO ABBONDANTE o di come faccio a mettere un voto numerico quando scrivo una recensione

Un amico FB mi ha scritto questa cosa:

Io e te siamo partiti male, però devo dire che (…) Cioè: se il nuovo Arcade Fire è da otto e mezzo -(pardon: 85/100…) – “Funeral” era da 200? The War on Drugs… Ma solo io quando li ascolto penso a un clone dei Waterboys? Poi figuriamoci se non ci scappava il votone in automatico ai Queens of the Stone Age che, lo ammetto, io non amo particolarmente. Sto poi orecchiando le varie recensioni (su Deezer, basandomi ovviamente ai riferimenti di mio gusto) e davvero non mi ci raccapezzo. Boh!

Il riferimento è ai voti numerici che vengono appioppati ai dischi sull’ultimo numero di Rumore, nel quale scrivo pure io. La questione in sé non mi interessa, nel senso che non sono stato io a recensire Arcade Fire o TWOD o QOTSA, ma solleva una cosa di cui qua e là mi è capitato di parlare spesso, e quindi VIA AL PIPPONE. Vi capita ancora di pensare ai dischi in termini di voto numerico? Di pensare ad esempio “questo disco è un 5 a dir tanto”? A me no. Mi capitava, probabilmente, all’inizio delle mie frequentazioni musicali snob. A quei tempi leggevo le recensioni sulle riviste con i voti numerici e mi facevo un’idea basata soprattutto su quel numero, ma saranno 20 anni che non penso più a quanto darei a quel disco se la musica fosse un compito in classe al liceo. E fortunatamente non ho mai dovuto scrivere in uno di quei posti che danno i voti ai dischi, o se l’ho dovuto fare erano posti in cui il voto non era poi così importante. Qui sopra ho fatto perfino una rubrica per sfottere i voti e/o darli a caso, si chiama Pitchforkiana in onore al sito che più ha prosperato sul meccanismo dei voti. L’esempio di Pitchfork, tra l’altro, è emblematico di quel che sto dicendo: ricordo diversi voti dati a un disco o all’altro, ma non mi ricordo di una singola riga di testo contenuta nelle recensioni di quegli stessi dischi; e quindi alla fine anche per i più irriducibili di questo gioco il meccanismo dei voti numerici produce una sorta di prenarrazione, una premessa culturale con cui in un modo o nell’altro tocca fare i conti. Il che non toglie che, alla fine della fiera, mettere un voto numerico a un disco sia storicamente una specie di barzelletta tirata per le lunghe, un’ignobile stronzata che non fa bene a nessuno. Ma se sei un sito o una rivista che fa critica tra virgolette “classica” quell’ignobile stronzata è l’unica cosa che rimane in testa al lettore, come se il testo d’accompagnamento servisse a fornire un contesto a quel numerino del cazzo. Da quando scrivo per Rumore, comunque, devo dare un voto ai dischi quando li recensisco. Quello che segue, dunque, è un decalogo di regole in base alle quali poi metto i voti ai dischi.

(premessa necessaria: ci sono persone molto più competenti di me in questo sport, vantano più esperienza più entusiasmo più serietà e più talento in questa cosa dello scrivere recensioni, e qualcuno potrebbe sentirsi indirettamente insultato da queste regole che vado a mettere. Mi giustifico dicendo che queste regole valgono per me, e anzi mi piacerebbe sapere quali regole utilizzate voi).

  1. LA STORIA DEL POP NON È CONTEMPLATA NEL GIUDIZIO DEL DISCO. quando tra scoppiati si parla di voti ai dischi, soprattutto negli ambienti più osservanti e seriosi (tipo il metal), salta sempre fuori un fanatico di Ratzinger che ti dice una roba tipo “7/10 A QUESTO DISCO DEL CAZZO? E REIGN IN BLOOD CHE VOTO SI MERITA? 17/10?”. Ma siamo onesti, nessuno di quelli che leggono una rivista si aspetta un voto che esprima il valore assoluto di un album nella storia del pop; primo perché la maggior parte dei dischi la storia del pop non la vedono neanche in cartolina, e secondo perché se avessi questa capacità globale di storicizzare e soppesare criticamente ogni afflato della produzione culturale contemporanea di lavoro farei il Jorge Luis Borges italiano, non il critico musicale (e calcola che io di lavoro faccio il sementiero). Ma anche in generale, se credi che ogni mese escano dischi posizionabili in uno spettro di valori che va da A Love Supreme a Zucchero Filato Nero (per non essere frainteso, sono due esempi per disco la cui portata storica gigantesca era intuibile anche il giorno dell’uscita e disco di una bruttezza così programmatica da dare immediatamente l’idea di poter diventare una pietra miliare della musica di merda) il problema è tuo, ed è un problema gigantesco, e niente di quello che potrei scrivere ti salverà dal torpore cognitivo in cui tutte quelle riviste del cazzo ti hanno fatto cadere. Senza contare che se questo succedesse, tutti gli altri dischi sarebbero intorno al sei e mezzo, e allora sì che ti romperesti davvero il cazzo di leggere le rece.
  2. NEMMENO LA STORIA DEL GRUPPO È CONTEMPLATA. posso pensare, per esempio, di dare un voto al nuovo disco degli LCD Soundsystem che gli dia un posto esatto all’interno della loro discografia (personalmente: LCD Soundsystem 50/100, Sound of Silver 68/100, This Is Happening 49/100, American Dream 59/100), ma già se mi dici di contestualizzare un disco all’interno di discografie con più di sei episodi lunghi sono in difficoltà, a meno che il disco non faccia schifo, e in quel caso si prende le bastonate. Ma non voglio essere costretto a contestualizzare un disco di gente tipo Melvins o Acid Mothers Temple all’interno del loro corpo discografico.
  3. NON SONO CAZZI MIEI QUEL CHE FANNO GLI ALTRI SULLO STESSO NUMERO. È ragionevole pensare che un disco a cui io metto 6 e un disco a cui Caio mette 8 valgano più o meno lo stesso, soprattutto dal mio punto di vista, ma io di quello che fanno gli altri non posso che sbattermene le palle. Questa cosa riguarda sia me che il direttore/caporedattore della rivista, nel senso che già è faticoso farsi consegnare le rece in tempo utile, figurati prendersi un momento per valutare per filo e per segno quei numerini del cazzo.
  4. IL MIO VOTO NON È SCOLPITO NELLA PIETRA. La forma più alta di giornalismo musicale, se sentite un giornalista musicale serio, prevede che il giornalista riesca a togliere i propri cazzi dall’equazione e riesca a giudicare i dischi in questo modo buddista in cui la musica scorre imperturbabile dentro di noi facendosi conoscere per ciò che intimamente quella musica è, ma la verità è che la maggior parte delle volte tocca scrivere le recensioni mentre stai vivendo una vita. E in certi casi ad esempio hai avuto un appuntamento con una ragazza e ne sei uscito soddisfatto al punto da riuscire ad apprezzare gruppacci tipo i War On Drugs o gli Arcade Fire, e in altri casi hai avuto una giornata lavorativa talmente brutta che perfino gli Unsane e i Melvins potrebbero pagarne lo scotto. Beh, va detto che le ultimissime cose dei Melvins fanno davvero cagare (il disco nuovo degli Unsane non l’ho ancora sentito ma mi rifiuto di pensare che possa valere meno di 10/10). Quindi il 5 di stasera potrebbe essere un 7 di domani, e viceversa, e va più o meno bene così perché alla fine della fiera SIAMO UMANI dio cristo.
  5. CERCO DI STARE IN EQUILIBRIO SUL MESE. Se per un numero devo consegnare dieci recensioni, cerco di regolarmi in modo che i voti di quei dieci dischi riflettano a grandi linee il mio gradimento per quei dischi. Questo può voler dire che magari questo mese c’è penuria e quindi i dischi si beccano voti relativamente più alti del mese scorso dove ho dovuto fare recensioni di roba che mi esaltava e –per contrappasso- stroncare cose che questo mese avrebbero preso forse sei o sette. Non ho abbastanza proiezione mentale per pensare che “sei mesi fa ho messo 7 a questo disco che secondo me era leggermente meglio di questo a cui sto dando, ugualmente, 7”. Ho riscontrato comportamenti simili in certe persone, ma credo che siano puniti dal codice penale.
  6. NON SONO UN SADICO. Se sei un gruppo piccolo e di poco valore ed esci su un’etichetta semiinesistente e qualcuno ha dovuto togliersi il pane di bocca per registrare il disco, trovo inutile e sgradevole metterti un votaccio. Questo può significare che il tuo disco non mi convince ma magari prende 5,5 o 6, e magari nello stesso numero della rivista piazzo un 6,5 al disco nuovo dei Deerhoof. Se i Deerhoof avessero registrato un disco come il tuo, gli avrei appioppato 2 o 3.
  7. SONO PREVENUTO. Sempre, comunque, a prescindere. Il voto del disco dipende dall’aspettativa in merito a quel disco, in merito a quello che in generale penso di quel gruppo, di questo scorcio di secolo e tutto il resto. Questo dipende al 30% dal mio narcisismo, nel senso che quando scrivo una cosa voglio che sembri una cosa scritta da me, e al 70% dipende dalle mie idee sulla musica, che sono ovviamente idee personalissime e opinabilissime, ma vengono prima della musica contenuta nei dischi, da cui appunto “prevenuto”. Ad esempio nell’ultimo periodo la cosa che odio di più nella musica è lo sfoggio di professionalità, la cognizione di causa, e quello che amo di più è quello che sfugge a questa logica del disco ben fatto con tutte le cose al suo posto. Questo significa che ad esempio sono molto ben disposto nei confronti dei matti che fanno dischi matti, tipo Mark Kozelek, e sono molto mal disposto nei confronti degli Arcade Fire. È chiaro che questo non significa che Sun Kil Moon verrà promosso a prescindere e gli AF stroncati a prescindere, perché sono dischi, appunto. Per me è una cosa importante perché il mio bacino potenziale di dischi è abbastanza eterogeneo (la roba che mi interessa va dal pop ultraemerso al grindgore), ma è chiaro che ascolto in modo eterogeneo perché ho una mia idea sulla musica, e siccome oggi praticamente tutti ascoltano in modo eterogeneo, direi che questa regola vale in generale. La mia opinione personale è che se qualcuno riesce ad eclissare la propria idea personale di musica per giudicare i dischi in modo oggettivo, non capisce un cazzo di musica e non bisogna fidarsi troppo, ma anche qui è un’opinione appunto personale.
  8. HO AMICI. Relativamente parlando non sono uno di quelli che scrivono per conoscere musicisti e non bazzico troppo gli addetti ai lavori, ma scrivo da un sacco di tempo e qualche amico ce l’ho pure io. A volte mi capita di dover recensire dischi fatti da amici miei, o comunque da gente che conosco, e il fatto di conoscere le persone influenza pesantemente il mio giudizio. Ad esempio non mi capita praticamente mai di stroncare malissimo il disco di un mio amico, perché contrariamente a voi io non credo nella critica costruttiva (non credo nemmeno nella critica in generale). Piuttosto preferisco passare il disco a qualche collega, e che se la veda lui/lei. E se è vero che nelle recensioni tendo a non mentire quasi mai (eccezion fatta per certe iperboli), succede spesso che la mia conoscenza di certe persone mi porti ad analizzare la loro musica secondo criteri diversi e a livelli più profondi. ad esempio pensare se tal disco riflette da vicino tal persona. E nel caso in cui io riesca a trovare i tratti personali di un mio amico in un disco, potrei esserne piacevolmente colpito, e potrei volerne parlare per quel senso di “io ho capito davvero questa cosa che han fatto i Bagigis”. Oltre a questo posso avere cognizione di quale sia stata la strada del gruppo, posso averli visti a qualche festival dieci anni fa e averli trovati persone piacevoli (è importante essere persone piacevoli).
  9. NON HO ABBASTANZA TEMPO NÉ VOGLIA. Questa è una delle cose più difficili da far capire alle persone: ascoltare un disco per valutarlo richiede un tempo, e un’energia, che spesso non ho. Questo può far sì che il mio voto al disco di tal artista o talaltro sia falsato dal non averne compreso appieno tutti gli aspetti. Riascoltando dischi che ho recensito in passato, ad alcuni di essi sono pentito di aver dato quel giudizio e quel voto. I giudizi troppo frettolosi non sono necessariamente positivi o negativi, a volte sono neutri, eccetera. Giustificare questa cosa, come detto, è difficile. Probabilmente per qualcuno il giornalismo musicale è una vocazione, e ascoltare un disco di merda 4/5 volte per assicurarsi che sia un disco di merda, oltre ogni ragionevole dubbio, è un dovere morale. Per me invece riascoltare il Christmas Album dei Bad Religion (per dire di uno dei dischi più brutti sbagliati e scemi che ho dovuto recensire) (sì, esiste un Christmas Album dei Bad Religion) significa perdere tot minuti che potrei impiegare su un disco che probabilmente è più meritevole di attenzione, più ostico da giudicare e più piacevole da ascoltare. O meglio ancora, riascoltando un disco che ho già consumato per 5 anni, che questa a quanto ne so è ancora una passione. Oltre a questo, attenzione, c’è tutta una sfera di questioni logistiche oggettive a cui anche la gente più volenterosa di me fa fatica a sfuggire. Ad esempio c’è il fatto che le riviste di carta devono sottostare a logiche promozionali più rigide, fatte di ascolti blindati che ti vengono attivati a ridosso della consegna e magari è un disco importante e tocca arrangiarsi in qualche modo, ad esempio prendendosi la responsabilità di un giudizio che –giocoforza- tocca dare dopo un ascolto o due.
  10. NON MI INTERESSA LA PROFESSIONALITÀ. Di lavoro io faccio un’altra cosa, come tutti quelli che scrivono di musica in Italia. Do la colpa all’economia: volete recensioni professionali ma non volete pagare 80 euro la vostra copia della rivista -con cui il capo potrebbe pagarmi qualcosa di simile a uno stipendio normale. Questo tra le altre cose significa che non ho sottoscritto un contratto o un codice di procedura con le riviste che mi ospitano. Il mio obbligo nei confronti di questa o quella rivista segue, come capita per quasi tutti gli altri, una commistione tra rapporti umani e comunioni d’intenti. Non mi sento praticamente mai obbligato, in termini di professionalità o competenza, nei confronti di questo o quel gruppo: scelgo di fare un disco, o mi viene appioppato un disco, e nel momento in cui io o il mio referente (nel caso di Rumore è Rossano Lo Mele) accettiamo, sono tenuto a consegnare la recensione. Ho una specie di vezzo personale: quando scrivo una recensione, cerco sempre di essere originale, di scrivere una cosa che sia un po’ più fresca di quel che leggo in giro. A volte ci riesco, a volte no. Questo però riguarda il testo. Del voto numerico non mi frega assolutamente nulla, ci metto circa tre secondi a deciderlo, e spesso mi sbaglio.

Il listone del martedì (in moratoria): CINQUE DISCHI DI NATALE SENZA CUI NON SI PUO’ STALE.

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Reclamo orgogliosamente la mia appartenenza al gruppo degli haters del Santo Natale. È un sottoinsieme composto da circa dieci milioni di italiani, una minoranza piuttosto nutrita, un partito politico ampiamente sopra la soglia di sbarramento anche se non così presente alle riunioni che contano. Elenco delle tre cose più fastidiose da sopportare quando si odia il Natale:

1 paradossalmente, non lo odiamo così tanto da costruire la nostra vita intorno a questo odio e quindi non ci curiamo di non avere a che fare con mariti mogli o coinquilini che lo amano e riempiono la casa di feticci del cazzo che occupano spazio, consumano energia elettrica e sporcano il pavimento; scegliamo di vivere insieme a una persona sulla base di cose molto più prosaiche, tipo se puliscono il lavandino del bagno dopo averci cacato dentro eccetera, e verso il giorno 8 dicembre scopriamo che questo coinquilino modello inizia ad avere la fregola del natale e si sente in ritardo perché in casa non c’è l’albero –L’OTTO DICEMBRE! Dai, su. E allora inizia a coinvolgere cani e porci nella realizzazione di festoni e alberi e presepi e muschio, MUSCHIO OVUNQUE, forfora pavimentale obscura e indistinguibile da un’invasione di ragnetti pelosi.

2 ogni anno il Natale arriva qualche giorno prima. Luci nelle strade, ghirlande festose, cose rosse nelle vetrine dei negozi. Quest’anno il Natale è arrivato verso i primi di ottobre, se non sbaglio. Il mio fornaio (un tizio dall’estetica quantomeno opinabile, indossa magliette della sagra della porchetta e somiglia a Cruciani di Radio24) tiene le luci natalizie tutto l’anno sulle colonne del portico dov’è piazzato. Semplicemente, a Natale le accende. Voglio dire, il Natale è insopportabile a dicembre ma a ottobre è semplicemente una piaga.

3 chi ama il Natale non riesce nemmeno a concepire la nostra esistenza, la considera una malattia o roba di cui vergognarsi o un sentimento irragionevole alimentato da decenni passati ad auto convincersi che la vita è grigia e fastidiosa. Con la conseguenza che gli haters del Santo Natale sono considerati, per estensione, persone che non sanno godersi le piccole cose e non apprezzano la vita e altri sinonimi del non scopare. Questa ultima caratteristica è così radicata nella gente intorno a noi da averci pian piano convinto che stiamo vivendo una menzogna e averci scaraventato in una dimensione di continua negazione, in cui finiamo per ripetere a noi stessi che in fondo non odiamo così tanto il Natale ma, uhm, dai, è solo che non ci andiamo proprio pazzi. Il principale effetto collaterale di questa negazione, per quanto mi riguarda, è che possiedo DECINE di dischi natalizi, e quindi mi sento abbastanza esperto da permettermi di consigliarvi i cinque senza cui non è possibile esistere.

MARIAH CAREY – MERRY CHRISTMAS

È un disco che ha attraversato gran parte della mia vita di ascoltatore: me lo registrò in cassetta un tizio del giro di amici con cui facevo i sabati sera, ai tempi dell’uscita (1994). Mi suonava O Holy Night nello stereo a casa sua e mi diceva ascolta ascolta montandomi la suspence, prima dell’acuto finale, e sì, avevo amici che ascoltavano dischi natalizi. Ad essere onesto nei quindici anni successivi questo disco l’ho usato più che altro per giocare a freccette, ma l’avvento dell’era di youtube -e i numerosi articoli che danno conto del fatto di come e quanto Mariah Carey abbia perso progressivamente la brocca nel corso degli anni, riducendosi a una pallina dell’albero di natale umana, un’artista che viene tirata fuori dallo scatolone intorno all’8 dicembre e si mette a fare il giro dei teatri e dei talkshow- hanno fatto sì che almeno una volta ogni natale io mi ritrovi a cercare sul tubo una decina di performance live di O Holy Night, col pubblico che si alza rigorosamente in piedi ad applaudire Mariah (pronunciato Maràia come il bassista degli Slayer) mentre lei spinge sull’acuto finale e spacca i bicchieri di Asti Cinzano in sala. Odio i Bublè natalizi e i Sinatra natalizi e gli standard natalizi in generali e le infinite reinterpretazioni delle stesse 10 canzoni, le odio e le detesto e non voglio averci a che fare, e invece Mariah che spinge sull’acuto mi fa sempre venire la pelle d’oca.

THE POGUES – IF I SHOULD FALL FROM GRACE WITH GOD

Il principale pregio del disco natalizio dei Pogues è che non è affatto un disco natalizio, anche se contiene Fairytale of New York, la quale non è propriamente una canzone natalizia ma secondo Simona Siri, in un vecchio articolo scritto per il Post, è “la canzone di Natale più bella di sempre” (un giudizio di merito così Bastonate da rendermi concorde di default, e comunque sono concorde in quanto mezzo alcolizzato).

WHAM! – LAST CHRISTMAS

Last Christmas sta nel Guinness dei primati come il singolo inglese più venduto nella storia tra quelli che non sono mai stati al primo posto in classifica. In effetti a raccontarla è una gran storia: gli Wham!, le Adele del 1984, hanno venduto un disastro di copie e vogliono stracciare tutti i record con un singolo natalizio. Compongono chirurgicamente la canzone natalizia più anni ottanta pensabile, e per lanciarla girano il videoclip più reaganiano e opulento della storia: monclerini, acconciature, gatti delle nevi, Natale in baita con regali di pregio, candele ovunque e una storia losca di sesso interamicale (vado a memoria). Sarebbe un primo posto garantito, ma ci si mette in mezzo Bob Geldof e nello stesso anno fa uscire la canzoncina di Natale sui bambini poveri, quella roba del Live Aid a cui -per ironia della sorte- partecipa anche George Michael, auto-relegandosi al secondo posto. Rimane comunque la canzone natalizia più opulenta di sempre, quella più tossica e –data anche la sua coesistenza con la canzoncina del Live Aid- la premessa culturale irrinunciabile per spiegare il mondo del pop in generale e la posizione seguente in classifica in particolare.

LUCA CARBONI & JOVANOTTI – O È NATALE TUTTI I GIORNI O NON È NATALE MAI

Al quarto posto c’è un bootleg. Si tratta di una cover di More Than Words di cui non esiste una versione di studio, ma fu suonata live dalle parti del ’93 da Luca Carboni e Jovanotti, con tutta probabilità sotto l’effetto di qualche sostanza, durante il tour condiviso tra i due. Un vero e proprio flusso di coscienza, un’opera pop escapista di tre minuti che sfonda a calci i limiti della decenza e del maccosa. Uno dei pezzi più assurdi della storia del pop italiano, roba in confronto a cui Zucchero filato nero sembra un disco normale, ma anche e soprattutto una delle più grandi manifestazioni del lato oscuro del natale, al cospetto di cui la tristezza artificata del Christmas Album di gentaglia come i Low si mette a piangere in un angolo. ANGSTO. (tra l’altro Jova e Carbo un paio di giorni fa hanno fatto la reunion, performing OENTIGONENM in its entirety).

TOOL – THE CHRISTMAS ALBUM

Anche qui il suo principale pregio è quello di non esistere: è un album di cui c’è solo la copertina, pubblicata a titolo di spoof assieme ad altri quindici fake album dentro il booklet di Ænima, l’unico disco decente realizzato dai Tool, anno 1996. Nel suo non-esistere, nel suo essere silenzioso e non durare tempo, è uno degli album più natalizi di ogni tempo e di gran lunga la miglior opera a cui il gruppo abbia mai messo mano.

(questo pezzo è uscito, in versione leggermente ridotta, sul settimanale R&D) 

La lista dei 25 dischi dell’anno SO FAR per Stereogum, ricommentata.

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Ho sentito diverse persone notare che il 2015 è un anno straordinariamente fecondo per la musica indipendente. Non sono d’accordissimo. I dischi che preferisco quest’anno sono divisi tra roba stupida, vecchiume, musica da atmosfera che ho ascoltato una volta, postpunk paraculo e legna pesa che sarebbe potuta uscire uguale 15 anni fa o anche di più, cioè un’annata piuttosto anonima o –più probabilmente- un altro anno passato ad ascoltare la musica sbagliata. Nella segreta speranza che qualcosa mi sia sfuggito, passo la lista dei 50 dischi più belli finora secondo Stereogum, mi concentro sui primi 25 e lo scenario è terrificante. Essendo piuttosto indietro con le recensioni di dischi nuovi, ne approfitto per smaltire un po’ di arretrato.

25 VIET CONG – S/T

Il disco dei Viet Cong è molto carino, o per essere esatti sarebbe un disco molto carino se fosse il 2004 e non ci fossimo ancora riempiti forzatamente lo scaffale di gruppi postpunk tutti uguali con gli stessi riferimenti e la stessa aria da depressi. Non è che non ne capisca i meriti, è che proprio mi sembra come mettere Neil Young tra i migliori dischi del 1997, non so se avete presente.

24 SCREAMING FEMALES – ROSE MOUNTAIN

Non l’avevo ascoltato prima d’ora, boh, sembra un disco pop carino, niente di troppo orribile contro di loro.

23 NATALIE PRASS – S/T

Il disco di Natalie Prass effettivamente è carino, non una di quelle robe su cui venga da scrivere qualcosa ma ha quel bel suono pop completo dimesso orchestrale che mi fa pensare sempre molto a quei gruppi da disco tipo Stereolab, il gruppo che c’entra meno con Natalie Prass al mondo.

22 FRED THOMAS – ALL ARE SAVED

Non l’ho ascoltato.

21 MARK RONSON – UPTOWN SPECIAL

Il disco di Mark Ronson è ai primissimi posti nella classifica di uno dei più dannosi sottogeneri degli ultimi anni, i dischi fatti per esaltare i critici musicali. I dischi fatti per esaltare i critici musicali sono generalmente roba a cavallo tra musica bianca e nera, hanno i riferimenti culturali giusti, sono prodotti e arrangiati DA DIO, sono un po’ sbarazzini e un po’ presi bene eccetera. Non ha molta importanza di che genere siano, a me viene sempre da pensare a cose tipo gli Air, non so se avete presente quella sensazione da negozio d’abbigliamento circa ’98 in cui tu entri e non importa che vestiti siano attaccati ai muri, il disco che sta suonando è quello degli Air perché forse con gli Air in sottofondo si consuma meglio. L’egemonia culturale dei dischi fatti per esaltare i critici musicali è tra le principali ragioni per cui oggi la musica fa schifo al cazzo. Scopro la classifica man mano che vado avanti, quindi immagino ce ne saranno altri.

20 CHRIS STAPLETON – TRAVELLER

Non ascoltato

19 ELDER – LORE

Lo stoner-sludge-kraut-doom (sapete di cosa parlo, giusto?) sta al rock estremo come il postpunk sta al rock fighetto, nel senso che anche se il disco degli Elder è figo e brillante io NON VOGLIO SAPERLO, ho ascoltato troppa roba uguale a questa negli ultimi VENT’ANNI e non mi fa più ridere, non è più il momento e non ne ho più voglia. Quello che sembra il parere personale di uno scorreggione, tuttavia, dovrebbe essere il lamento di un’intera generazione –manco la mia, che questa roba se la compra ancora senza patemi giusto per le copertine dei dischi. D’altra parte non credo esistano davvero ascoltatori di musica più giovani di me.

18 THE STAVES – IF I WAS

Non l’ho ascoltato

17 TOBIAS JESSO JR  – GOON

L’ho ascoltato con l’attenzione che dedico alla roba tipo Tobias Jesso Jr, non ho niente contro di lui, fa musica che mi scivola addosso.

16 HOP ALONG – PAINTED SHUT

Lo sto ascoltando ora, è molto carino se vi piace la roba indie rock con le chitarre affilate ma non postpunk, giuro che gli dedicherò del tempo.

15 GIRLPOOL – BEFORE THE WORLD WAS BIG

Non è la mia roba ma posso capire che possa piacere a qualcuno, boh.

14 DRAKE – IF YOU’RE READING THIS IT’S TOO LATE

Finora ho sempre trovato delle buone scuse per non ascoltare il disco di Drake, conto di arrivare a fine anno con lo stesso aplomb.

13 TRIBULATION – THE CHILDREN OF THE NIGHT

Non è quel che si dice un disco interessante, o potrebbe essere un disco “interessante” per qualche testa metal straconvinta di essere open-minded intorno al 2002, quella gente che ascoltava roba tipo i Solefald, presente i Solefald? Hanno fatto pure un disco quest’anno, che potrebbe stare nella classifica di Stereogum alla stessa posizione e con la stessa ragion d’essere (nessuna). Al di là del gusto personale mi fa girare il cazzo proprio il concetto che ci sia questo disco in questa posizione, unico disco metal in questa classifica. Qual è il merito specifico di questo disco dei Tribulation rispetto a un disco brutto degli Opeth? O anche solo rispetto al disco dei Tribulation di un paio d’anni fa? O anche un qualsiasi merito specifico di questo disco? CHE CAZZO NE SO. Ci andava un disco metal in quota qui ascoltiamo tutto, e se questo è il meno peggio dell’anno non siamo neanche più qua a lamentarci.

12 VINCE STAPLES – SUMMERTIME ’06

Non l’ho ascoltato ma ho visto la copertina in giro e mi piace un botto

11 SLEATER-KINNEY – NO CITIES TO LOVE

Continuo a pensare che non ci sia niente di speciale nel disco nuovo delle Sleater-Kinney in relazione agli altri dischi delle Sleater-Kinney e ai due dischi solisti di Corin Tucker, anche se finora è di gran lunga il disco migliore tra quelli che ho ascoltato in questa lista.

10 COURTNEY BARNETT – SOMETIMES I SIT AND THINK AND SOMETIMES I JUST SIT

Mi piace molto il titolo, mi ricorda una persona che conosco. Il disco di Courtney Barnett è carino e lei è scapigliata stilosa e indolente come il sogno adolescenziale di tantissimi 40enni che scrivono di musica, quindi diciamo che non sono d’accordo ma capisco cosa ci fa in questa lista.

9 JIM O’ROURKE – SIMPLE SONGS

Io non sono un fan terminale del Jim O’Rourke pop, ma lo ascolto con piacere e non sfascio piatti mentre succede, anche se ho la tendenza a dimenticare la musica che suona e a dare la colpa di questa cosa alla sua musica più che alla mia attenzione. C’è da dire che quantomeno i suoi dischi pop sono così personali ed escono così raramente da farli sembrare degli eventi, delle folgorazioni, quindi il fatto che stia tra i primi dieci dischi del 2015 SO FAR secondo Stereogum è una cosa che non dà fastidio a nessuno, e a questo punto credo di poter dire che il 2015 sia l’anno dei dischi che non danno fastidio a nessuno. Capace che da qui a fine anno riesca a scalare qualche altra posizione.

8 WAXAHATCHEE – IVY TRIPP

La storia di Waxahatchee è meravigliosa, questo progetto minuscolo, questa cantante che si registra i dischi in casa e arriva a tutto il mondo sulla forza del passaparola e del sostegno delle pubblicazioni di settore e di un pubblico fatto di personaggi schivi e introversi che trovano nelle sue canzoni l’espressione del loro sentire. Io no. Mi auto-rovino l’ascolto dei dischi di Waxahatchee, senza volerlo, perché ogni volta vado a pescare nomi da una lista mentale di dischi passati che erano buoni quanto quelli di Waxahatchee (sei-sei e mezzo, tipo), registrati in condizioni di fortuna e snobbati a man bassa perché, nonostante New Slang e svariati amici miei molto competenti che vantano discografie di 1500 titoli uguali a questo, uno o due dischi tipo Ivy Tripp a quinquennio sono già troppi.

7 FATHER JOHN MISTY – I LOVE YOU, HONEYBEAR

Altro disco riconducibile alla categoria “fatti per esaltare i critici musicali”. È carino, sia chiaro: ben suonato, psichedelico in modo non invasivo, elegante e complesso e tutto. Rimane il fatto che sarebbe potuto uscire identico quindici o vent’anni fa, ma pure trenta o quaranta, e questo può voler dire che è musica senza tempo o che dopo anni di PUNKS, ribellione, chitarre alte e terra zappata siamo rinsaviti, abbiamo deciso che la musica che ascoltava nostro babbo era molto migliore e più complessa e meritevole di questa, ci siamo trovati un lavoro in banca e abbiamo iniziato a comprare dischi di weird folk pettinato che cinque anni prima avremmo usato sì e no per giocare a freccette. Molto francamente, se avessi saputo come andava a finire, avrei rintracciato Devendra Banhart sotto i ponti e l’avrei fatto a pezzi con una scure prima che riuscisse a farsi rintracciare da Michael Gira.

6 SHAMIR –RATCHET

Non ascoltato.

5 JAMIE XX – IN COLOUR

Boh, sì, disco carino.

4 DONNIE TRUMPET & THE SOCIAL EXPERIMENT – SURF

Non l’ho ascoltato ma è in lista, sulla carta sembra una cosa tipo quando i cLOUDDEAD si sciolsero e Why fece uscire quel disco pop incredibile, tranne che i cLOUDDEAD erano i cLOUDDEAD, Why? era Why? e Chance The Rapper è Chance The Rapper.

3 COLLEEN GREEN – I WANT TO GROW UP

Sembra che per Stereogum questo sia l’anno del girl-pop convinto di essere girl-punk. Ed essendo contemporaneamente l’anno dei dischi che non rompono i coglioni a nessuno, ecco spiegata Colleen Green al terzo posto nella classifica parziale.

2 KENDRICK LAMAR – TO PIMP A BUTTERFLY

Capisco l’entusiasmo ma lo detesto: musicalmente è l’apoteosi della musica fatta per esaltare i critici musicali, dal punto di vista dei testi non riesco a comprendere appieno la montata d’odio razziale dell’ultimo periodo negli Stati Uniti (con lo spiacevole risultato che mi sembra un disco più adatto a dei 37enni che mentono sul fatto di essere stati caricati da uno sbirro negli anni belli).

1 SUFJAN STEVENS – CARRIE & LOWELL

Non ascoltato.

il listone del martedì: I DIECI MIGLIORI DISCHI AMPHETAMINE REPTILE

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Penso che viste in prospettiva e da altre persone le cose possano acquistare molti più significati di quello che potevo attribuire ad esse mentre le facevo. Insomma, dieci anni fa c’’era più libertà di fare cose meno commerciali in 7″”, fare CD o LP era semplicemente una spesa troppo grande da mettere a budget per tutti. Mi mettevo a pensare ad un CD o ad un LP solo se si trattava di gruppi molto attivi, che avessero intenzione di andare in tour e continuare a registrare nel futuro.”

(Tom Hazelmyer intervistato da Francesco Farabegoli, Nero Magazine, una vita fa)

A fine mese esce il disco degli Whores, che è un gruppo NOISE vero e vecchio che si rifà in tutto e per tutto ad un’estetica del rock che andava abbastanza di moda negli anni novanta ed oggi è caduta in disuso. L’estetica è quella del NOISE, appunto. Era una specie di religione portata avanti da una manciata di zappaterra che a livello di abbigliamento stavano un passo dietro Tad Doyle: rock’n’roll dozzinale con un senso melodico limitatissimo e chitarroni aspri in culo. Ecco. L’estetica del NOISE è stata portata avanti in semi-esclusiva da Amphetamine Reptile, e questa cosa degli Whores è l’occasione per spiattellare la top ten dei dischi più belli mai usciti per AmRep. In altre parole, sono i dieci dischi che preferisco della mia etichetta preferita di sempre.

Alcune info di base: Amphetamine Reptile è l’etichetta di Tom Hazelmyer, messa in piedi per pubblicare i sette pollici del disco di cui suonava la chitarra, a metà degli anni ottanta. A quei tempi lo facevi e ci tiravi fuori due soldi, non dico comprarti il SUV ma quasi quasi guadagnartici da vivere sì. L’etichetta è funzionata senza intoppi fino alla fine degli anni novanta, inanellando successi e insuccessi e spargendo il verbo del NOISE in giro per il mondo della musica. I gruppi AmRep suonano sporco e senza compromessi. Senza compromessi include anche le regole di genere di punk e heavy metal: vestiti, suoni di chitarra, strutture ritmiche. I musicisti in forza ai gruppi AmRep erano perlopiù personaggi inguardabili con i pantaloncini e un brutto berretto da baseball che attaccavano le chitarre e vedevano cosa poteva succedere, il suono più reale che si sia ascoltato negli anni novanta. Le copertine dei dischi, opera dello stesso Hazelmyer, erano la cosa più bella della storia.

Regole per la compilazione:

1) sono considerati solo gli LP o gli EP lunghi. Questo esclude le compilation, che sono un casino, e i singoli che sono più o meno il pane quotidiano dell’etichetta. È limitante (per dire, vengono sacrificati gli Halo of Flies), ma semplifica di molto il lavoro di compilazione.

2) Un disco al massimo per ogni gruppo. Questa cosa ci costringe a rendere la cosa più fluida e a non concentrarci sull’intera discografia dei Cows anche se magari ne avremmo voglia. Andiamo con i titoli, due righe di spiegone per ognuno. I dischi vanno in ordine alfabetico di gruppo: è già difficile sceglierne dieci, figuriamoci metterli in ordine di gradimento.

3) prenotatevi il disco degli Whores.

CHOKEBORE – MOTIONLESS

L’ordine alfabetico mi incula e mi fa partire dal cosiddetto lato pop di AmRep, diciamo così. è un lato pop incredibilmente simile al suo lato non-pop: gruppi ugualmente devastati ma che provano a mettere insieme dei pezzi che tra virgolette potremmo definire da classifica. Ecco, di questa declinazione tra le varie ipotesi scelgo Chokebore per due motivi: il primo è che sceglierli mi permette di parlare del fatto che stanno uscendo riedizioni in vinile dei dischi del gruppo e che il prossimo mese il gruppo si riformerà per delle date-super-mega-evento in un tour europeo mozzafiato (venti persone a data, saranno l’11 novembre al Freak Out di Bologna); il secondo è che i Chokebore sono sia meglio che più AmRep dei vari Love666 (bravissimi ma monocordi in culo e troppo mosci sulla voce) e Boss Hog anche se Christina Martinez negli anni novanta andava un casino. Ecco. Una volta vidi Troy Balthazar solista di spalla a Maximilian Hecker senza sapere che fosse Troy Balthazar dei Chokebore. Fu un concertino pop abbastanza curioso, a posteriori se ci penso è tutto abbastanza LOL.

COWS – CUNNING STUNTS

Se parliamo di declinazioni rock’n’roll-marciume della faccenda, la discografia AmRep è particolarmente fornita e qualsiasi competizione tra i gruppi dell’etichetta viene annullata dalla discografia dei Cows di Shannon Selberg. Nella quale discografia scegliere un disco è sostanzialmente impossibile, a meno di non uccidersi di dolore nel processo e uscirne matti. Per quanto mi riguarda vado su Cunning Stunts anche se di primo acchito vorrei piazzare Whorn che è il primo disco che ho ascoltato e il più bel riff di tromba in apertura a un disco, e poi struggermi di dolore per non avere considerato né PeacetikaSexy-Pee Story. Sticazzi. Cunning Stunts maggior opera del rock anni novanta.

HAMMERHEAD – EVIL TWIN

Gli Hammerhead di Minneapolis sono la quintessenza del gruppo rock anni novanta in generale e la quintessenza del gruppo AmRep in particolare: chitarra basso amplificatore, pezzi appena abbozzati, riffoni come il cemento e basso sbleng bleng sotto. È difficile da spiegare, cercatevi i pezzi sul tubo; vi basti sapere che mettere gli Hammerhead significa in qualche modo scegliere di lasciar fuori grupponi tipo Tar o Vertigo. La storia del gruppo si è chiusa tra deliri solipsistici senza alcuna base concettuale e reboot quasi-apocrifi baciati di un briciolo di hype, nella fattispecie Vaz (su Load) e Todd, fondati da un tizio che è stato negli Hammerhead per circa dieci minuti e tra i massimi alfieri della tradizione NOISE propriamente detta negli anni duemila. Essendo impossibile scegliere uno dei tre dischi lunghi vado su quello a cui sono più affezionato, vale a dire l’EP lungo Evil Twin. Bassissima macelleria senza stile, rispetto alla roba tipo Chokebore parliamo di un’impostazione più basilare e aspra, tipo la quintessenza del gruppo. Probabilmente se avessero saputo farlo avrebbero suonato come i Chokebore. E invece.

HELMET – BORN ANNOYING

Mettere Born Annoying e non Strap it On da una parte è barare (Born Annoying è una raccolta di singoli e rarità), e dall’altra un gesto provocatorio, considerato anche il fatto che un buon ottanta per cento della loro fanbase pensa (come Scaruffi del resto) che il primo disco del gruppo sia indubitabilmente il migliore e/o l’unica prova degna di nota della carriera del gruppo. A me gli Helmet piacciono in ogni disco fino allo scioglimento: su Born Annoying, il mio preferito, fanno bella mostra di sé il miglior pezzo mai registrato dagli Helmet (la strumentale Rumble), due versioni diverse della title-track (la seconda è roba violentissima), una cover dei Killing Joke da infarto e un sacco di altra roba ugualmente figa. Potrebbe essere tranquillamente il mio disco preferito in assoluto, secondo la regola che misi nel pezzo sui Nirvana.

JANITOR JOE – BIG METAL BIRDS

Pare ci sia stato un periodo in cui per riprendersi dalla dipendenza di eroina Kristen Pfaff abbia lasciato le Hole, sia entrata in clinica e di seguito si sia rimessa in tour con il suo vecchio gruppo. Che si chiamava Janitor Joe, sempre da Minneapolis, e in formazione con lei aveva fatto uscire un grandioso disco dal titolo Big Metal Birds, una raccolta di standard NOISE propriamente detti che richiamano vagamente la svolta aggro degli Helmet di Meantime ma in salsa più equo-solidale. Il gruppo sopravviverà all’abbandono e alla morte di Kristen Pfaff (la quale è inclusa in quella menata del 27 Club) con l’aggiunta di un bassista maschio e brutto (vale a dire simile agli altri due membri della band), una formazione che inciderà l’altrettanto strepitoso Lucky. A scrivere questo paragrafo mi sento un po’ come se fossi K Billy e questo fosse il Supersound degli anni Settanta.

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LUBRICATED GOAT – PLAYS DEVIL’S MUSIC

Dal punto di vista artsy-fartsy il progetto Lubricated Goat (una specie di solo-project allargato dell’australiano Stu Spasm) forse è più stimolante perfino della discografia dell’ex-Chrome Helios Creed. Tra i vari dischi scelgo Plays Devil’s Music, una roba genuinamente scrausa e spaventosa, forse un po’ troppo Birthday Party per passare spesso nel mio stereo quanto i dischi degli Hammerhead. Nondimeno.

MELVINS – HONKY

AmRep è anche l’etichetta dei Melvins. È limitante pensarla in questi termini ed è l’ultimo gruppo a cui si pensa quando si pensa ad AmRep, ma nondimeno su AmRep sono usciti singoli dei Melvins a quintalate e qualche disco lungo e raccolte lussuosissime che di base sono tra i principali motivi per cui Haze ha ricominciato a pubblicare cose. Dei dischi lunghi scelgo Honky: il gruppo è stato appena scaricato da Atlantic e registra un disco nuovo in fretta e furia, costruito su drone devastanti, rumore bianco ed elettronica industriale dozzinalissima, cinque o sei giorni di lavoro. Tra i dischi più fuori asse di sempre del gruppo e –a risentirlo- in megaanticipo su un sacco di cose successe dieci anni dopo.

NASHVILLE PUSSY – LET THEM EAT PUSSY

Blaine Cartwright (un essere umano paradossale di quelli col berrettino i capelli lunghissimi e la pelata, tipo un Bonnie Prince Billy del punk) mette insieme i Nashville Pussy dopo lo scioglimento dei Nine Pound Hammer. La musica grossomodo è la stessa, rock’n’roll anni settanta suonato come fosse punk anni ottanta, ma il grado di pecoreccio aumenta a dismisura. I Nashville Pussy si fregiano di un paio di ragazze in formazione tra cui la moglie di Cartwright, chitarra solista e tute di latex. Dal vivo sono tra le cose più allucinanti che sia dato di vedere, di classe Turbonegro per capirci. Let Them Eat Pussy è il loro capolavoro e un successo commerciale di Amphetamine Reptile, la quale in qualsiasi caso chiuderà i battenti alla fine dell’anno per mancanza di stimoli del proprietario.

TODAY IS THE DAY – WILLPOWER

A sentire tutto quello che è stato prodotto da Sadness Will Prevail in poi, si rischia di rovinare il ricordo dello Steve Austin più genuinamente austero e malato. Se ti ascolti Willpower, d’altra parte, ti rendi conto in circa un minuto che una persona capace di concepire musica come quella contenuta in quel disco può solo scegliere se uccidersi o risolversi i conflitti e iniziare a parruccare. Tutto sommato sono abbastanza felice che Austin abbia scelto di non uccidersi. Willpower comunque è una faticaccia, un calvario, quei dischi che ascolti per farti del male o quantomeno godere delle disgrazie altrui –e in questo uno dei massimi capolavori del metal anni novanta e il più bel disco di metal estremo mai pubblicato da Amphetamine Reptile.

UNSANE – SCATTERED, SMOTHERED & COVERED

La prima volta che ascolti gli Unsane ti senti come se una mano uscisse dall’amplificatore, ti prendesse per i capelli e ti sbattesse la testa contro un muro fino a spaccartela. Il tizio del negozio di dischi mi fa “senti io questo te lo registro in cassetta ma te lo devi mettere su in un impianto gigante senza nessuno che ti rompe il cazzo”, io gli dico che ho un mangianastri e lui mi dice di metterlo in cuffia o qualcosa così. Gli Unsane sono una cosa molto dozzinale e molto vera, servono soprattutto a riscalare il resto della musica (la quale è meno violenta, sanguinosa e reale della musica degli Unsane). Scattered, Smothered & Covered non è il più bel disco degli Unsane (darei la palma al successivo Occupational Hazard, uscito su Relapse più o meno a giochi fatti, claustrofobico come pochissime cose uscite prima e nessuna uscita dopo). Probabilmente è l’unico disco fino allo scioglimento in cui il gruppo cerca in qualche modo di parlare al pubblico invece di cercare di ammazzarlo. Il video di Scrape consta di tre minuti di evoluzioni fallite in skate, gente che cade e si fa male e tutto il resto. Per uno che lo vede in un VHS a vent’anni è –né più né meno- una chiamata alle armi. Completano l’opera Alleged e Out, che ancor oggi continuano a venir eseguite dal vivo alla fine degli show e fare morti in pista. Dei morti sempre più ultratrentenni e patetici, ma non vuol dire.

il listone del martedì: CINQUE CONSIGLI SU COSE DA TATUARVI.

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Più di un anno fa abbiamo elencato una serie di errori comuni in cui incappa chi cede, erroneamente, all’attuale moda di marchiare il proprio corpo in maniera indelebile e –quasi sempre- priva di gusto personale o pregna di gusto altrui. Non vorrei, tuttavia, dare adito a tutta una serie di pettegolezzi che stanno addensandosi sul nostro capo e che ci danno per bastiancontrari a prescindere e/o gente che sa far la voce grossa solo dietro a una tastiera (cito Caso, autore del disco più bello dell’anno tra suonato con chitarra acustica e cantato con accento bergamasco). Cosa peraltro verissima, ed è per quello che scegliamo di NON fare la voce grossa e in uno slancio democristiano senza precedenti, volto perlopiù a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte e potere dichiarare che su Bastonate davamo un colpo al cerchio ed uno alla botte before it was cool, dicevo appunto che ne approfittiamo per allungare ulteriormente questo periodo -ci hanno criticato recentemente per l’uso di periodi infiniti, la scarsa punteggiatura e la sovrabbondanza d’incisi – e mettiamo assieme ben CINQUE proposte costruttive per riempire il vostro corpo di tatuaggi che non vi facciano somigliare per forza a un rapper italiano di ultima generazione E ridare al tatuaggio la sua naturale collocazione tra le forme d’arte svilite dalla cultura del nostro secolo.

LISTA DELLA SPESA

Sul collo scrivi POMPELMI CARTA IGIENICA SENAPE CREMA PER LE EMORROIDI POMODORI SECCHI NEL VASO PROSCIUTTO COTTO e via così. Ieri stavo al bar a bere un onesto cappuccino, onesto nel senso che valeva tutti i soldi che l’ho pagato. Accanto a me, al banco, si è messo un arrogante di merda con un ragno tatuato sul collo e i capelli finto-sconvolti (finto-sconvolti è quando li sconvolgi col gel: non è una critica, lo faccio anche io, cioè cerco di ordinarli ma sono davvero troppi). Invece lui aveva un paio di pantaloni Frankie Garage uguali a quelli che si portavano negli anni settanta ma più brutti, che io non porto. E comunque inizia a fare casino dandosi arie di chi scopa come un riccio e sa come funziona il mondo, due qualità che vorrei avere ma non ho, e io inizio a pensare che tutto questo è un paradosso se ti tatui qualcosa che avrebbe un briciolo di senso se te l’avessero fatto dentro una gang a Los Angeles o direttamente in galera. Il nostro equivalente, declinato alla società dei consumi e al declino culturale a cui stiamo andando incontro, è una lista della spesa che comprenda la crema per le emorroidi o tipo MARMELLATA DI CILIEGE PER LA MAMMA con l’errore di grammatica messo apposta. Magari rosico perché non sono brillante in pubblico, ma come tatuaggio è la mia prima scelta. Non sul collo, io lo metterei sul torace.

FORME GEOMETRICHE PURE

Nessuno si tatua mai un quadrato o un rettangolo. Alcuni si tatuano un codice a barre pensando che sia un’idea simpatica e coraggiosa, anche questa una critica alla società dei consumi e svariate altre cazzate finto-di-sinistra con le quali pensano che sia possibile scopare (cosa che dall’ascesa di Forza Italia in poi non ha davvero alcun senso, l’idea che qualcosa di sinistra ti faccia scopare dico). E allora dico: siate creativi. Siate non-creativi. Ho avuto una discussione sulla creatività con un’amica ieri, che in realtà è una discussione che ho avuto solo nella mia testa dopo che è finita la discussione con la mia amica. Segue linee di pensiero abbastanza conformi a quelle esposte nella Pesantata del Venerdì #1, e dall’altra parte si aggancia al fatto che la creatività non sia una dote a me concessa –come scopare, l’essere brillante in pubblico e sapere come va il mondo. L’alternativa è la forma geometrica pura. Per prima cosa è un evergreen, seconda cosa significa solo se stessa –quindi niente, cioè magari possono esserci implicazioni noiose di stampo matematico, tipo se ti tatui un triangolo rettangolo sei implicitamente un sostenitore del teorema di Pitagora- e terzo nient’altro ma gli elenchi sono sempre fatti di tre voci.

CITAZIONI SBAGLIATE

Ci sono tre tipi di citazione sbagliata che ci si può tatuare (su questa ci rimangiamo la parola rispetto a ciò che dicevamo nel pezzo sopra linkato), e questa volta sono davvero tre. Il primo tipo è quando ti tatui una citazione corretta ed esistente ma la attribuisci volutamente alla fonte sbagliata, tipo

My loneliness Is killing me
I must confess, I still believe
When I’m not with you I lose my mind
Give me a sign
Hit me baby one more time
(Giordano Bruno)

il secondo tipo è quello di mettere una citazione inesistente tipo L’INDECENTE INDOTTO DI TROPPI FIORI NON EDULI, L’UOMO DI IERI, SANGUISUGHE!, mi raccomando il punto esclamativo che è importante, o qualsiasi altra equivalente cazzata volante e sicuramente meno ridicola di, boh, SOLO I FORTI SOPRAVVIVONO o le altre genialità fasciste che vi tatuate di solito. La citazione inesistente fitta molto di più della citazione oscura, perché le citazioni oscure non lo sono mai davvero (se un testo è abbastanza buono da poter essere estratto in un quote, è del tutto probabile che qualcuno l’abbia già fatto fino al massimo limite di sopportazione) e tende ad essere una cosa più dal basso e dinamica, nel senso che esiste una saggistica abbastanza nutrita che ti spiega cosa vogliano dire di preciso i primi versi del terzo canto dell’Inferno e non una legata alla cosa sopra dei fiori non eduli. Il terzo tipo è quello di una citazione esatta attribuita alla fonte corretta ma con un errore di grammatica. LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A MÈ (Gesù di Nazareth). Naturalmente questo genere di tatuaggio è possibile se l’idea di essere fraintesi e/o considerati degli analfabeti non vi dà troppi problemi in linea di principio, e sarebbe stupido tatuarsi una citazione del genere se si è un letterato al di sopra di ogni sospetto tipo gli studenti della Scuola Holden.

MACCHIE ROSSE/FORUNCOLI

Tra le varie idee che non sembrano ancora avere invaso l’etere c’è quella del tatuaggio a basso impatto ambientale, il tatuaggio che si confonde con possibili parti del corpo o potrebbe quantomeno farlo qualora le parti del corpo in questione si irritassero. Macchie color rosa chiaro. Peli sul petto disegnati appena fuori asse. Foruncoli. Esiste una variante dark-trucida di questi tatuaggi e sono i coglioni che si tatuano gli organi interni che secondo la fantasia del tatuatore sono sotto quel centimetro quadro di pelle, ma questa cosa appunto ha la debolezza di rivelare al mondo l’appartenenza del tatuato ad una sottocultura che nella migliore delle ipotesi è del cazzo e nella peggiore è irrilevante a fini statistici. Dicevamo: macchiette chiare, pustoline, brufoli, tracce marroncine che escono dalle pieghe del collo, cicatrici brutte e bianchicce in posti imbarazzanti tipo sotto il mento: roba che può succedere, anche ai migliori di noi. È un disegno? È scarsa igiene personale? Dermatite? Peli incarniti? Fluxus?

 

(intervallo)

BANDIERE DI PAESI SCONOSCIUTI

Ci sono un sacco di posti, tipo Lesotho o Monaco o Taiwan, Sri Lanka, Islanda, Papua Nuova Guinea, Austria, che non significano assolutamente nulla per nessuno a parte i residenti. In genere si può dire questa cosa di tutti i paesi che non abbia una squadra di calcio decente, implicazioni ideologiche allucinanti (tipo Francia o Vietnam) o una tradizione musicale superiore alle altre, ma nell’ultimo caso i paesi sono solo cinque (USA, Etiopia, Giamaica, Paesi Baschi e forse il Brasile per via dei Ratos de Porao) e il primo caso squalifica i tatuati a prescindere. Dicevo, è interessante per fare il gioco delle bandiere. Vedi una persona con la bandiera del Costarica sul pettorale sinistro e pensi “ehi, fichissimo”, o gli chiedi che bandiera è, lui ti risponde “Costarica”, tu gli chiedi perché e ti dice “boh, nessun motivo”. Fichissimo, giusto? Mi confermi questa cosa? Secondo me uno che ti risponde così è una persona interessante, con una mente accesa e che ama sperimentare cose col proprio corpo e io me lo scoperei volentieri. L’ho sognato o esiste/è esistito uno stato che si chiama Lesotho? Non mi pare mi abbia mai mandato traffico.

ESERCIZI DI MATEMATICA ELEMENTARE

Imporre al tatuatore di fare pratica sulla tua pelle. È un’azione utile in sé, ha una sua ironia sottile e lascia segni indelebili che possono piacere. Trecentosessantasette diviso quattordici, a mano grazie. La tabellina del sette. Equazioni di primo grado. Diagrammi di Venn. Ora ti spiego le frazioni. Se volete vi spiego anche la differenza tra corpo umano e corpo letterario. Il peso corporeo letterario dei vostri tatuaggi è approssimabile a zero e il fatto che lo sia non depone a vostro favore, e allora VAFFANCULO e via con i numeri, che almeno lì sono lacunoso. Potrebbe addirittura arrivare un tatuatore snob e segnarvi eventuali errori a inchiostro rosso. L’imperfezione è il sale del tatuarsi, la cosa più integrabile al proprio corpo. Possono crescere pance sui vostri porto quattro sbagliati e nessuno vi giudicherà. Addebiteranno il peso della colpa alla gioventù e all’inesperienza. Vi prenderanno per baluardi del vintage.

(era un po’ che non mettevo un listone. ciao listone, mi eri mancato molto)