Ho ancora gli occhi gonfi dalla stanchezza post-C2C, o è l’abbiocco pomeridiano in ufficio, non so, comunque nei giorni che seguono una settimana di C2C il mio unico pensiero è minestrina in brodo e letargo, minestrina in brodo e letargo.
(finisce più o meno così)
(riparto da capo)
______

“Ogni anno, migliaia di ragazze e ragazzi italiani spendono centinaia di euro in voli low-cost e case su Airbnb per assistere ai festival musicali in giro per l’Europa. Chi va a Parigi, al Pitchfork; chi va in Belgio, al Pukkelpop; chi va a Barcellona, al Primavera Sound. Poi ci sono anche quelli che risparmiano anni e se ne vanno a Indio, in California, al Coachella. Ogni anno, dopo che queste migliaia di ragazze e ragazzi italiani sono tornati dai vari festival in giro per l’Europa e ne hanno magnificato le sorti, la line-up, l’organizzazione, il contesto, la domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: «Perché non in Italia?»”
È l’inizio di un articolo scritto dal mio amico Hamilton Santià, a cui di primo acchito naturalmente avrei voluto sfondare la testa con un cric. Nel senso che di articoli sulla mancanza di grandi festival in Italia ne escono già parecchi, scritti da gente che non conosco e di cui non mi sento necessariamente obbligato a leggere ciò che scrivono. Perchè non c’è un grande festival in Italia? Chi cazzo se ne frega. Volare a Barcellona (la Djerba dell’indie) mi costa meno che andare in macchina a vedere i Sunn (o))) al labirinto del cazzo in provincia di Parma dove han suonato quest’estate. Poi fortunatamente l’articolo di Hamilton Santià parla di un sacco di altra roba, perlopiù figa. Primo tra tutti il modo in cui il cambiamento di giunta a Torino ha fatto cambiare da mattina a sera l’aria intorno al discorso culturale cittadino, trasformando in maniera abbastanza rocambolesca quello che stava diventando il nuovo centro espositivo della cultura giovanilistica italiana (Salone del libro, TOdays, C2C eccetera) nel ponte di prua del Titanic, con tutta la gente che s’affanna sulle scialuppe e l’orchestrina che suona sul fondo. È un bell’articolo, ed è abbastanza pazzesco che nel clima descritto da Ham si sia svolta l’ultima edizione del C2C, con un cartellone talmente poderoso da far considerare persino a me l’idea di prendere e andar su. Purtroppo poi la vita mi ha inchiodato al paletto, ma la mia amica Batteri (con l’accento sulla A tipo la canzone dei Metallica ma con la i alla fine) (ore di discussione su questa cosa) è potuta andare in rappresentanza de IL SITO e ha raccolto qualche impressione. L’unica condizione che ho posto è che non saltasse il concerto di Arto Lindsay e Paal Nilssen-Love, perchè io sono fatto così, andrei a un festival di elettronica solo per vedere uno che suona la chitarra elettrica senza saperlo fare. Il report parte da qui, in forma di scambio epistolare.
Arto Lindsay è immenso ed è esattamente l’uomo che vorrei sposare. Ok, questo non fa parte del report ma è la persona con quel genere di schizofrenia di intrattenimento improvvisato creativo che ognuno di noi (sono un po’ pretenziosa credo) vorrebbe avere tutto il giorno attorno a casa. Alterna numeri di chitarra atonali (è un eufemismo) che vanno oltre l’orecchio umano a serenate in spagnolo da farti sciogliere sulle poltrone (sì Arto, sono comode, lo dico per rispondere ad Arto che nei suoi intermezzi si è preso bene con la nostra lingua e ci ha anche chiesto “Come si dice “Comfortable”? sono comode le vostre poltrone?”) (E poi giù di distorsioni, urla nervose da mal di pancia e suonate di chitarra che rimbombano e stridono nel Conservatorio). Tra gli altri monologhi in italiano ci ha anche tenuto a precisare di aver visitato il museo egizio nel pomeriggio, mentre Paal Nilssen-Love era al museo dell’anatomia; che in effetti è la perfetta metafora del live, ognuno dentro al suo museo in completo sviaggio con lo strumento musicale che sta suonando, in contorsioni da guinnes dei primati. Credo di aver visto Paal scrivere lettere d’amore, o comunque lettere postali, sui piatti con la sua bacchetta, generando questi fischi acutissimi. E nonostante tutto il suono generato si sposava benissimo, quasi come l’abbigliamento -probabilmente si saranno trovati in cameretta poco prima: camicia della stessa tonalità di blu polveroso quasi come una divisa. Anyway Bravi, immensi, bis. un’ora e mezza di concerto (saranno state 3? chi se ne rende conto?) da commozione.
(poi FF sottopone a Batteri una cosa scritta su facebook durante il concerto degli Autechre, dall’amico e collega Federico Sardo, il quale acconsente alla citazione e alla riproduzione)
“Ho dovuto arrivare in transenna per trovare un posto in cui la gente non parlasse con accento campano dei cazzi suoi ma niente, pure qua hanno di meglio da fare che ascoltare la musica.
In compenso fischiano perché non fanno ballare.
In Italia non ci meritiamo NIENTE”
FF, in modalità ITALIETTA ALERT (spiego: tutte le volte che qualcuno dice “in Italia” parlando del fatto che siamo cafoni ladri o maleducati mi sale il sangue alla testa. Non è che sono un fascista o cosa, ma mi fa girare comunque i coglioni che ci si riferisca agli italiani come a dei minorati e delle teste di cazzo, umanamente valiamo più o meno quanto i belgi e i senegalesi), chiede a Batteri cosa pensi di questa cosa e se il casino fosse in qualche modo insopportabile.
Che poi stupirsi del pubblico che ad un festival parla di tutt’altro rispetto al festival, boh.
Credo di non aver mai esperito il completo silenzio di sala, nemmeno -che ne so- per Charles Cohen a Electronique ‘15 o la Turandot di Puccini a Torre Del Lago (era l’estate del 2015 anche in quel caso mi pare). Il pubblico da fiera della porchetta è abbastanza prevedibile, poi in effetti basta vederli a gruppi correre urlando verso l’ingresso con i biglietti stampati (ok, io non stampo nemmeno più la carta di imbarco, ma forse era parte del regolamento del C2C) per poi farsi la foto davanti alla security. Quindi sì, se vuoi sentir minimamente commenti su ciò che stai realmente vedendo e ascoltando forse hai leggerissimamente più probabilità di farlo nei pressi delle transenne.
Segue un breve stacco e dopo un giorno mi arriva un’email con il report del sabato, intitolato GIRA VS PAGLIE.
(Non me ne vogliate Swans, ma oggi proprio non ho intenzione di dedicarvi l’attenzione quanto feci per le 3 ore alle Officine Ansaldo nel 2013. Però faccio i complimenti a Gira che è pettinato come me ed è sempre in grandissima forma.
Quel ragazzone di Powell decisamente miglioratissimo, ha fatto ballare la sala di gusto -ormai è diventato nazionalpopolare: tiene il palco, fa divertire, mette i pezzi giusti.
Segue esodo verso sala gialla
(Avrebbero potuto prevedere una linea di metro interna)
Dopo la lunghissima attesa finalmente parte Amnesia Scanner, il duo misterioso di Berlino che alla fine misterioso ha continuato ad esserlo. Nel senso che il buio e il fumo hanno confuso le figure umane al punto che la fisicità e identità erano giusto intuibili, e non c’era uno studio della performance o qualsiasi tipo di presenza scenica -se così vogliamo chiamarla. Avevo la curiosità di sentirli e vederli anche per via di certi decantati visual che poi alla fine non c’erano. E insomma mi ha lasciato un po’ così, si perde un po’ il fascino di vedere un progetto del genere, che ci è arrivato comunque con un’allure e un fascino mediatico di un certo tipo, che poi dal vivo non c’è. Comunque ecco, se proprio devo lamentarmi di qualcosa, più che del rumore del pubblico e della scarsa ricettività durante i concerti mi lamenterei più delle cose a cui si assisteva quando toccava cambiar sala. Ad esempio, ok, mettere Amnesia Scanner in sala grande è un po’ audace, ma di fatto il pubblico si sovrapponeva a quello di Powell -per cui alla fine si è rimasti incastrati in un esodo verso la sala gialla con tanto di urla tipo “abbiam pagatooo” o “sfondiamooo”.
Per poi scoprire una volta aver fatto la fila del passaggio da sala a sala (mai vista fila così) che in realtà la sala gialla fosse ancora discretamente vuota. Ecco, magari queste cose conviene cercare di evitarle a livello organizzativo. Vado a cercare del cibo, dopo magari ti scrivo altro e ti mando le foto e il resto.
Attendo le foto e il resto, che arrivano in una mail intitolata ONE CIRCLE FEAT.DARK POLO GANG.
Se incontri dei nani che parlano in Romanaccio per i corridoi dell’AC Hotel con in testa le bandane rosa della Barbie e che vanno dicendo “raga con chi suoniamo stasera?” ottieni sostanzialmente il featuring a sorpresa in chiusura della sala gialla, vale a dire la Dark Polo Gang 777 sul palco di One Circle (trio Torino/Milano composto da Lorenzo Senni, Vaghe Stelle e A:RA). Dark Polo Gang 777 sono un progetto rap legato più a un immaginario estetico che a un discorso musicale o sottoculturale. Parlano della droga dei vestiti e del nulla, poi sul palco indossano la t-shirt The Beatles -un collegamento che non afferro- e arriva su questa impressione che tutto sia molto più a caso di quanto già sembrasse. Il climax del momento tra l’altro è interrotto da uno svenimento in sala, forse non del tutto casuale. Su One Circle niente da dire ma dell’ospitata si faceva anche a meno, divertente eh, ma quanto una pernacchia di un vecchio su un tram.
Alla fine della mail c’è una chiusura che ho deciso essere un po’ il motto del 2016 musicale.
Comunque in breve:
O sei Esotico.
O sei Nazionalpopolare.
SABATO
Il report del sabato mi arriva qualche giorno dopo. Il C2C ha già comunicato il successo di pubblico dell’edizione, che a me da qui sembra pazzesco (si parla di 45000 persone divise nelle varie giornate). Mi fa piacere, e non credo che ci sia moltissimo da aggiungere, quindi insomma ecco la critica artistica. Diciamo così.
Ho ancora gli occhi gonfi dalla stanchezza post-C2C, o è l’abbiocco pomeridiano in ufficio, non so, comunque nei giorni che seguono una settimana di C2C il mio unico pensiero è minestrina in brodo e letargo, minestrina in brodo e letargo. In realtà sotto sotto sono già gasata che Gaika (per un momento l’avevo chiamato Ghalika, l’avevo fuso con il ragazzetto di via Padova, sì) tornerà presto a Milano. Manco te ne avevo parlato a tempo debito, sarà per un’altra volta, ma niente male il ragazzo. Aspetta, devo andare per ordine altrimenti non capisco più un cazzo. Con tanto di rima.
Purtroppo non ho tante foto di sabato e domenica, a Torino quando piove (maledetta sia la pioggia) hai doppiamente bisogno del telefonino per cercare di non finire nel loop viale/controviale/sottopassaggio e alle 00:30 la batteria è già bella che bollita.
Una cosa che secondo me era più bella nelle vecchie edizioni era che durante il C2C ti spostavi effettivamente da club a club, ora questo accade solamente (o specialmente) all’interno del lingotto, tra le due sale e insomma, male. Fanno eccezione Dance Salvario e Astoria la domenica, ma io avevo già detto Adios Torino.
Il Sabato nella Main room inizia con il ragazzetto Giad, supportato da una sala discretamente gremita e dalla sua crew di ragazzi milanesi. La prima volta lo sentii suonare (e mi fece ballare) in quel della fermata Lanza, o LNZ, a una festa di presentazione di un nuovo tipo di sigaretta elettronica, se non erro con Dj Marfox. Le altre volte l’ho visto in giro per serate, festicciole, alla gelateria Orsi etc. E’ giovane sicuramente, fa ballare, anche questo è altrettanto certo. Selezione hip hop, Frank Ocean e altre strizzate d’occhio. Non a caso è fondatore di una serata hip hop a Parma, è resident al We Riddim Milanese (evoluzione della serata milanese Weird Club, che da seapunk è diventata una roba dancehall. Et voilà)
Ghali è proprio l’esatto esempio della Trap Esotico Nazional popolare, al di là della percezione voglio dire, è proprio esattamente quella cosa lì che fa. Rappa un po’ in italiano e un po’ in arabo, anche lui giovanissimo, appartiene alla generazione dei figli del vicino di casa tunisino del palazzone di Cimiano e infatti viene da Via Padova. E’ timido ma chiacchierone allo stesso tempo, ci fa accendere gli accendini, ci cede il microfono su qualche strofa (ancora in realtà il pubblico non risponde proprio in coro), ringrazia di condividere il palco con “artisti fantastici” come dice lui, e mi fa abbastanza ridere che riassuma proprio con la parola “fantastici” tipo come nei cartoni animati. Tenero, genuino, bravo, Si merita di girare cantando Cazzo mene o Questa Pioggia è uno sballo (ma anche no) meglio Marijuana, e si merita i suoi duecentomila ascolti al giorno.
Junun ft Jonny Greenwood, Shye Ben Tzur & The Rajasthan Express.
Vi sfido a ricordarvelo a memoria questo collettivo del chitarrista dei Radiohead con il musicista israeliano Shye. Questo è l’esempio di Esotico all’ennesima potenza, quasi folkloristico/tradizionale. Ma quanti cazzo sono sul palco? Fa tutto po’ Expo, però davvero divertente. Poi abbandono per farmi una passeggiata nel tunnel della morte (verso la Sala Gialla). Non sapevo che stessi andando incontro a un viaggio senza ritorno.
Ahimè, è stato così. Addio Dj Shadow e scaletta mentale (quelle cose stile “prima faccio questo poi questo poi vado qua e torno di là”). COL CAZZO. Una volta diretti nella sala della febbre gialla ci si muore dentro. Non puoi mollare nemmeno per pisciare, altrimenti non ci torni più.
E quindi via di 2 ore di DJ set di Daphni, Caribou. Che è stato a mio parere uno stracciamento di coglioni, non me ne si voglia. Poi finalmente Clams Casino. SIIIIIII
Madonna che bravo Michael che bravooooo
Che atmosfere, che creativo, che sexyyyyy! Ha fatto ballare di brutto. W l’hip hop, alla faccia di Caribou.
Ormai a Gambe e orecchie sbriciolate, disidratati per mancanza di fondi (impossibile bere cocktail a 9 euro a bicchiere fino alle 5 del mattino) arriva il collettivo Janus. Parte Kablam che in pagella è un 9 e mezzo; segue Mesh che è un 8+, poi arriva Total Freedom, e mi spiace me ne vado a letto.