Piccoli fans: ANTEMASQUE

The new band from The Mars Volta’s Omar Rodriguez-Lopez and Cedric Bixler Zavala. Self-titled debut album out November 10.

Una roba imbarazzante a tratti sublime. Praticamente i Boston con le chitarre degli At The Drive-In. In ritardo di tredici/quattordici anni, cercando disperatamente di recuperare il tempo perduto cancelllando i Mars Volta dalla memoria collettiva. Un recupero consapevole dei Mars Volta, togliendo gli assoli ed aggiungendo le chitarre taglienti e l’AOR. Steroidi anabolizzanti. Quando ti cade il chewing gum sul sedile dell’auto e te lo ritrovi sotto le chiappe perché non te ne sei accorto. Guidare a forte velocità in pieno inverno tenendo i finestrini abbassati e il riscaldamento a palla. Devo ancora decidere se mi piace oppure no, ma mi sa che gli ANTEMASQUE (mi raccomando scritto così) si salvano perché la concorrenza non è che sia poi tanto meglio.

piccoli fans: ROYAL BLOOD

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Penso spesso al fatto che non so quale musica piaccia a chi ha quindici anni in meno di me. Non ho cognizione di causa per quanto riguarda un sacco di generi (che so, il reggaeton); quella di cui so qualcosa, non la capisco. Quando dico che non la capisco sottintendo che il problema sia mio e non della musica, ovviamente: posso continuare a lamentarmi per decenni, cosa che tutto sommato non ho intenzione di fare, ma non la capisco comunque. Si applica a qualsiasi campo dello scibile musicale, in un modo abbastanza orizzontale e democratico: non capisco il rap italiano degli ultimi anni, a parte qualche sporadica eccezione costruita più o meno ad arte per quelli come me; non capisco l’IDM contemporanea a parte certi rimastoni di cui ho semplicemente passato troppo tempo ad ascoltare i dischi; non capisco l’indie-pop tra il catecumenale e l’inesistente dei vari Alt-J, non capisco il power metal anabolizzato dei gruppi alla Protest the Hero, non capisco questo sentore generale secondo il quale nel doom metal e nello sludge stia succedendo qualcosa di interessante, e via di questo passo. O meglio, in fondo credo di capirla, ma credo anche che sia musica di merda senza spina dorsale.

Un meccanismo c’è ma l’hanno messo ben nascosto (cit.)

Voglio dire, il mercato su cui la maggior parte di queste musiche si sviluppa è un mercato sostenuto dalla ricerca. Qual è la molla che ti spinge (ideo/logicamente)ad ascoltare la roba che non passa per la radio e la TV? Chi è che si sveglia un giorno alla ricerca di roba meno impegnativa di quella che passa su Virgin o su Radio2? Ci perdo la testa. I Royal Blood me li sono trovati dentro l’hard disk da qualche parte mentre ragionavo su tutto questo. I Royal Blood sono un duo di Worthing (Inghilterra meridionale), hanno probabilmente 25 anni e suonano IL ROCK. IL ROCK, maiuscolo e senza nessuna aggiunta dopo, è un genere molto preciso e puntuale di musica rock. È quello che viene suonato nelle discoteche rock in serate che si chiamano con nomi tipo “a tutto rock” o “rockarolla”, nelle birrerie riempite a cover band in cui tutti hanno il portafogli con la catena, sulla già citata Virgin Radio o luoghi culturali affini. IL ROCK è uno sconclusionato miscuglio di sottogeneri messo insieme da vent’anni di ricerca della canzone perfetta, una domanda che nessuna persona intelligente ha mai posto ma per la quale un sacco di persone perlopiù idiote hanno una risposta (Smells Like Teen Spirit, Fortunate Son, Blitzkrieg Bop, Stairway to Heaven, Boys Don’t Cry eccetera). Me compreso, ovviamente, ché IL ROCK forse non è il mio genere preferito ma è quello con cui siamo tutti partiti e quindi quantomeno un linguaggio comune. IL ROCK è una musica molto maschia ed egualitaria, nel senso che se guardiamo al consumo finale non c’è moltissima differenza tra Ligabue e i Depeche Mode (se invece guardiamo al valore artistico, all’interno del paradigma critico contemporaneo la differenza tra Ligabue e i Depeche Mode è davvero l’ultimo dei problemi). IL ROCK è quella cosa di cui su base semestrale si intona il funerale e si canta la rinascita, perché in fin dei conti basta il flop di un dinosauro per parlare di morte e un video con due milioni di hit per parlare di risurrezione. IL ROCK si nutre del sangue di milioni di fedeli, radunati perlopiù in arene stracolme, riconoscibili dal fatto che nelle prime file sventola una bandiera dei quattro mori, luoghi in cui la birra scorre copiosa ed annaffiata e per pisciare in un cesso chimico devi fare trentacinque minuti di fila. Come quel numero di Lazarus Ledd che forse si chiamava METALLICA e un artista di nome BELIAL invocava Satana facendo recitare una preghiera collettiva a settantamila persone in uno stadio. Ecco, la principale differenza tra BELIAL e i Royal Blood è che i Royal Blood alle primarie del PD avrebbero votato Matteo Renzi. Suonano basso e batteria come i Lightning Bolt, ma più che Load etichetta somigliano a Load disco dei Metallica, nella fattispecie il primo minuto della prima canzone di Load, quello SBRANG SBRANG anabolizzato, non so se avete presente. Il principale valore narrativo aggiunto è che souonano in due, scuola white stripes/minimalismo rock/essenzialità. Il pezzo tipico che viene scritto sui Royal Blood è “sono due ma sembrano cinque”. Si sottintende che nonostante una formazione che sulla carta è handicappata, il gruppo ha un suono più o meno completo.

(il fatto di essere in due e sembrare un gruppo completo è interessante fino al terzo gruppo che si presenta in formazione a due. Cinque per i fanatici del minimalismo, toh. Poi capisci che tutto sommato i gruppi di due elementi con un disco su un’etichetta di cui qualcuno ricorda il nome suonano tutti completi in qualche misura. Gruppi con un senso musicale preciso e un valore artistico variabile.)

I Royal Blood si inseriscono grossomodo su questa linea di pensiero: il loro senso musicale è sicuramente compiuto, il loro valore artistico è inesistente o, uhm, non colto da me. Alle mie orecchie suonano come il gruppo perfetto per chi si massacra il corpo di tatuaggi maori senza avere la minima idea di cosa significhi quel che ci si è tatuati. Non è un male assoluto, e non è un bene massacrarsi di tatuaggi maori sapendo cosa ci si è effettivamente tatuati (a pensarci l’unica risposta sensata che si può dare a uno che passa venti minuti a spiegarti cosa significa il suo tatuaggio è “ikr”); viene comunque da chiedersi quanto abbia senso perdere venticinque minuti dietro a musica che nella migliore delle ipotesi tra cinque anni avrà prodotto una hit minore stile Lonely Boy, e nella più ragionevole delle ipotesi nemmeno quella. Volendo essere ragionevole mi conviene liquidare il tutto sussurrando tra me e me che non la capisco e che è un bene che sia così. se avete diciott’anni, magari, scrivetemi una mail e spiegatemeli. Se ne avete trentacinque rimettete sul piatto gli Orthrelm e vaffanculo.

IO E LA TIGRE

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I primi di marzo del 2014 un amico mi chiede se sono disposto a scrivere un pezzo per un magazine femminile online, roba per ragazzine. Vorrebbero realizzare una cosa per la festa della donna, blogger ospiti eccetera, c’è qualche soldo. Gli dico “beh sì certo” (sono una puttana) e inizio a pensare a cosa cazzo potrei scrivere io per una rivista tipo Cioè. Lui mi dice “ok, ti do conferma se puoi partire”. Una volta Peter Steele fece un servizio fotografico col cazzo fuori. Lascio fuori stupri omicidi ed Entombed, inizio a pensare a una cosa tipo “il grindgore spiegato alle ragazzine”, mi sento gesù cristo per un secondo, abbandono e decido di mettere insieme una lista delle dieci batteriste donna che preferisco. Dopo quattro ore il mio amico mi chiama per dirmi che la cosa non si farà, ma io ho già il pezzo sostanzialmente pronto. Il fatto che tutti nel 2014 stiano facendo liste mi impedisce di fare una lista delle mie batteriste preferite e metterla su Bastonate, quindi il pezzo non vedrà mai la luce.

Le mie batteriste preferite? Al primo posto, sorpresone, Katherina Bornefeld. Poi ci sono Yoshimi, Amy Farina, Meg White e tutta questa gente qui. Non sono un fan dei o degli White Stripes, è che mi piace il modo in cui suona dritta e composta ed essenziale. Dicevo, tra le dieci batteriste ne infilo anche una di qua vicino a dove vivo. Si chiama Barbara e suonava in un gruppo punk-pop chiamato Lemeleagre, quella roba teenage-esistenzialista in italiano da cui in linea di principio sto lontano un chilometro e mezzo. Anche nel loro caso starei stato felice di stare lontano, ma quando suonavano dal vivo lei menava come uno di quelli che fanno i ferri ai cavalli.

(“menare come un maniscalco” fa un po’ troppo Ondarock, “menare come un fabbro” lo uso troppo spesso)

(suonava molto forte)

Non la conosco ma è tra i miei contatti Facebook, ha lo stesso cognome di mia mamma ma dubito che sia mia parente. Ho sentito che Lemeleagre non suonano più, le chiedo se suona con qualcun altro, sai, sto facendo un pezzo. Mentre glielo chiedo non so ancora che il pezzo è già morto e sepolto. Lei mi dice che sì, suona ancora, s’è ritrovata con una ragazza che suonava nelLemeleagre o nelle Lemeleagre o nei Lemeleagre, ma non mi può dire molto perché per ora non stanno ancora facendo concerti o cose, in realtà non hanno nemmeno un nome.

Qualche tempo dopo Barbara è LA TIGRE, cioè la batterista di un gruppo chitarra/batteria che si chiama IO E LA TIGRE. IO è la tizia che suona la chitarra, anche lei ex-Lemeleagre. Non la conosco. Hanno registrato cinque pezzi con Andrea Cola, un tizio di Cesena di cui non s’è quasi mai sentito parlare e che se i giornalisti musicali avessero un briciolo di competenza musicale avrebbero annoverato da anni tra i migliori autori pop italiani in attività

(non sto rosicando, è una cosa vera che sto dicendo, andatevelo a cercare)

 

e basta, ho perso il filo. Il disco è in streaming su Rockit, cinque pezzi facili facili, probabilmente scritti per suonare come una versione scarna di cose quasi-rock femminili tipo Maria Antonietta o Carmen Consoli. Ogni tanto entrano dei violini, poi la chitarra s’ingrossa e li caccia via e la cassa fa BAM BAM BAM BAM e suona come quando batte un cuore e quando cantano il ritornello la voce che non infila tutte le note alla perfezione. In quei momenti lì uno come me s’innamora e pensa “sleater kinney”. Viene spontaneo.

Barbara suona con una maschera da tigre, hanno fatto anche un video. Ogni tanto mi scrive e mi invita a vederle a qualche concerto a cui, quasi sicuramente, non andrò. La vita, delle volte. Il disco è in streaming su Rockit, e in questi giorni non sto ascoltando altro. Grossomodo.

STASH RAIDERS

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Sacha Tilotta, batteria per Three Second Kiss e santiddio Shannon Wright, e un sacco di altre cose così. Sacha Tilotta ha un progetto nuovo che si chiama Stash Raiders in cui canta e suona la chitarra. Pop rock, fondamentalmente, ma anche no. Vi ricordate cosa avete provato la prima volta che avete sentito gli Evens? E la seconda? Oddio, conosco gente che è ancora incazzata per via del fatto che gli Evens esistono e i Fugazi non più. Sta di fatto che esiste anche un modo per prendere degli strumenti, una chitarra elettrica una batteria e tutta quella roba lì, e mettersi a suonare cose tranquille senza necessariamente voler essere questo o quello. Ne viene fuori un disco che per ogni ragionevole standard critico attuale non è interessante: poco epico, pochi crescendo, niente smash hit, niente gioventù andata via in fiamme, niente meta. Il fatto è che in giro per il disco capita di incappare in certi momenti in cui la musica ti entra dentro, in un modo molto tranquillo e rilassato, senza spingere: una cosa che piace ascoltare guidando dentro i limiti di velocità come i Minutemen, finestrini abbassati, macchina scassata, lo stereo con le cassette, il fumo imboscato dentro al cruscotto, pomeriggio libero, un ristorante di pesce low-cost.

Una settimana a cercare gruppi nuovi

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Questa cosa inizia domenica 16 marzo: Elena chiede a me ed altri suoi amici su facebook cosa pensiamo del disco dei Big Ups, del quale lei è entusiasta. I Big Ups sono un gruppo di quelli che avrebbero spopolato (o meglio voluto spopolare) nell’immediato post-Relationship of Command: musica basata su un misto tra Fugazi, Jesus Lizard, post-hardcore di ritorno e via di questo passo. Dico post-Relationship of Command sapendo che è musica sempre esistita senza problemi, ma sottintendendo un certo tipo di attenzione in provetta dedicata alla stessa. È un’idea che mi faccio la prima volta che sento il disco, lunedì 17: di questi Big Ups ho sentito meraviglie, ma il disco è poco più che robetta celebrativa, senza spunti, con una botta piuttosto modesta anche solo per gli standard del genere e tutto sommato dispensabile nonostante si stia parlando di qualcosa tipo il mio genere musicale preferito. Se cerchi il disco su google, il primo risultato è la recensione di Ondarock, firmata da Claudio Lancia che vola bassissimo: “i Big Ups hanno inciso il manifesto di una nuova stagione hardcore”. Claudio Lancia è tra le penne migliori in forza a Ondarock. Penso “boh” e passo oltre. Decido che limitare la mia opinione in merito a “robetta celebrativa senza spunti” non è particolarmente costruttivo e che passerò qualche giorno a cercare dischi punk/indie, o in generale di musica rock di quel genere, che mi sembra abbia un senso ascoltare oggi. L’onestà intellettuale mi impone di considerare l’idea che, anche se tutto sommato continuo ad ascoltare musica pesa, sono fuori dal giro da un bel pezzo. Se prendo due appunti mentre faccio la ricerca, rischia di venire fuori un pezzo decente. Inizio.

 

METODOLOGIA

Per prima cosa io non cerco musica da qualcosa come dieci anni. Nessun tipo di musica. la musica che ascolto mi arriva tutta addosso, che sia sludge metal o EDM o quel che è. Non sono abbonato a riviste allo scopo di avere dritte, non frequento forum specializzati, ho smesso coi feed da quando è morto google reader. La musica che ascolto è il risultato di un sistema che forse ho contribuito a creare nel quale viene dato per scontato che qualsiasi cosa vagamente degna di nota mi capita tra capo e collo prima che io senta il bisogno di ascoltarlo: amici, parenti, blog amici, segnalazioni, comunicati stampa e tutto il resto. Musica un tanto al chilo. L’idea da cui volevo fuggire era quella degli amici che ti incontrano dopo sei anni e ti dicono “sai, mi dovresti fare una lista di musica figa da ascoltare oggi, io sono fermo ai Blood Brothers”. Non so se avete presente. La metodologia, pertanto, non esiste: è tutta in fieri. Decido di sfruttare i canali di cui sono a conoscenza: etichette, social di condivisione, roba di cui mi hanno parlato gli amici, tag cloud e tutto quello che mi passa per la testa. Della maggior parte dei gruppi che ascolterò, limiterò il mio interesse a una o due canzoni e approfondirò solo nel caso in cui mi interessi davvero. Tutte le idee che verranno fuori per trovare musica verranno annotate.

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