WEIRD WIVES – piccoli fans, mattoni, download illegale della settimana, true believers e pure un po’ DISCONE.

Avete mai sentito parlare di tali Surfer Blood? Parlando del loro ultimo disco, Nunziata di OndaRock scrive “è un piccolo, delizioso compendio di noise-pop impreziosito da qualche eccentrica soluzione in fase di arrangiamento e da una scrittura che, se raramente tenta la sorte, pur riesce mediamente fresca e accattivante”. Sarò un classista e un pezzo di merda, ma ho pensato che non fosse necessario ascoltarlo per decidere che era un disco del cazzo. Googlando alla ricerca di altri pareri in materia mi imbatto su indie-rock.it e scopro che le recensioni sono tutte impostate rispondendo a una decina di tag (tra cui spicca densità di qualità), perdo interesse nella faccenda Surfer Blood e inizio a leggermi le rece tanto per capire il punto.  Comunque poi il disco me lo son sentito, e ovviamente tutti i paroloni di ‘sta terra non tolgono il fatto che sia una robetta paracula blurgh-fi che mischia Pet Sounds, gli Weezer e due quintali di shoegaze d’accatto -fosse uscito in qualsiasi anno precedente al 2008 probabilmente sarebbe stato persino un buon disco pop. Stamattina invece mi alzo presto e vado a cacare col macbook sulle ginocchia, decido di dare la mia occhiata mensile a Stereogum e scopro conto che esiste una side-band non ufficiale dei Surfer-Blood (tre musicisti su cinque) che si chiama Weird Wives e spacca il culo alle vigogne. Ci sono pezzi in streaming, e sono una specie di antipasto ad un paio di EP messi in download gratuito dalla band. File under COSE A CASO: un pastone vintage-noise* devastante tra Jesus Lizard ed ubriachezza molesta, con un sacco di accenti garage che ricordano vagamente certe cose di Hunches o Hospitals. Le canzoni rispettano quasi tutte i dettami delle band sopracitate, AKA pezzi punk sconvolti di due minuti, ma il CLIMAX è senza dubbio una traccia di nove minuti intitolata Bulldozer Puppet Fucker. Che in realtà è una canzone di tre minuti più sei minuti di feedback di chitarra a buffo, roba davvero MOLTO gratuita ed esaltante. Il fatto che il cantante sia un obeso sudatissimo à la Pink Eyes e faccia il trick di sputar fuoco ai concerti li farà probabilmente finire in mezzo alle cronache accanto alla lunga et insidiosa schiera di sodali-barra-imitatori dei Fucked Up, ma sono davvero un gruppo noise di quelli che Dio ne caga fuori uno ogni sei mesi al massimo. E vi danno pure i dischi gratis da scaricare. RISPETTO.

*vintage-noise per me significa AmRep più qualche disco T&G/Skin Graft basato su coordinate AmRep. Giusto per chiarire, sia mai che mi prendete per un fan degli Scratch Acid. Beh ok, gli Scratch Acid spaccano il culo.

Elegia – Peter Steele, + 15 aprile 2010

La premessa a tutto è che sono consapevole, anzi spero, che i corsari della rete che utilizzano social network che io manco conosco (a dire la verità, non ho neanche mai capito cosa sia Twitter) siano in realtà già tutti a conoscenza del fatto che la notizia della morte di Peter Steele sia un altro macabro scherzo, facendo fare a me e all’amico heavymetal che stamattina mi ha dato la notizia la figura dei cippirimerli.

In caso contrario, se come temo questo non succederà, la tragedia vera, profonda e monocorde delle morti rock ha colpito un’altra volta, e stavolta molto vicino al cuore di noi tristoni amanti delle chitarre distorte: a troppo poco tempo dalla drammatica notizia del suicidio di Mark Linkous, sappiamo oggi che ci lascia anche Peter Steele, nostro eroe, nostro capitano, oscenamente ironico e ferocemente intelligente come spesso capita alle persone malate di depressione; Peter Steele idealizzato e messo sul piedistallo da gente (noi) che in realtà non lo conosceva affatto ma che oggi sente reale e concreta la sua mancanza. Adolescentissimo e romanticissimo autore di provocazioni divertenti e dolci come quelle dei pre-teenager di Monteverde che nel millenovecentonovanta e qualcosa erano (eravamo) francamente costernati, scandalizzati, ammirati e del tutto in suo potere di fronte a quelle copertine osé (che risate!) e ai testi “razzisti”. Oh ma che davero, hanno fatto la canzone contro i bianchi, so’ comunisti, so’ nazisti, Type O Negative è un tipo di sangue!! Che poi io in realtà ero di Trastevere, ero perché non sono più e come tutti gli adulti non ho nessuna appartenenza a niente e non indosso più magliette dei gruppi – chi l’avrebbe mai detto! – e a ragion veduta so che se ne è andato solo un altro “ragazzo” depresso, stanotte. Non lo conoscevamo, che mancanza tremenda.

Liars – Sisterworld (non-recensione)

Non ho ascoltato neanche una nota del nuovo album dei Liars, o perlomeno molte poche (un solo pezzo, una sola volta, due mesi fa, zero attenzione), ma ho appena effettuato il pre-order purchase VAT non included + postage (Postgate) e secondo la proprietà transitoria degli oggetti di scialo (libri, dischi, musicassette e dvd – ma questi ultimi solo nel caso di film noiosi) possedere un oggetto equivale a conoscerlo approfonditamente, dunque posso partire con la mia recensione pregiudiziale, che resterà peraltro la più autorevole su piazza a meno che non ci si decida a fermare un passante e chiedergli due parole a proposito.

Una recensione è peraltro inutile, dal momento che i Liars, come tutti i gruppi che “ce la fanno” partendo dal piccolo (ossia: dalla ficaggine vera e per pochi alla ficaggine pallosa comunemente accettata come tale, spesso chiamata Genio dagli sprovveduti), sono già destinati a essere album dell’anno. Questo perché tali band, di norma, fanno un disco-vabbè (il primo dei Liars/Von), un disco fichissimo che conquista i cuori degli Ascoltatori di fascia A (il secondo dei Liars/Agagaetis Burin), un disco bello ma levigato che si insinua nelle menti degli ascoltatori di fascia B, i B-scoltatori (Drums/Disco bianco co’ le parentesi intagliate), e a questo punto conquistano il mondo mandando tutto in merda con Takk, consegnandosi pienamente agli ascoltatori delle serie inferiori (usando la cavea dell’Auditorium di Roma come cavallo di troia), e dopo un altro disco o due i fan della prima ora li hanno totalmente rimossi, cioè neanche si preoccupano più se la band pubblica qualcosa (diciamo che dopo Takk, per quanto mi riguarda, i Sigur-Ròs avrebbero anche potuto fare cinquanta dischi, e forse l’hanno fatto, io non lo saprei in ogni caso perché li odio in pianta stabile e in pianta stabile mi occupo ormai di roots-folk e riscoperta dei Sepultura), e loro arrivano a Sanremo e quindi anche ai nostri nonni che apprezzano lo stacchetto dimostrando che la nostra famosa Musica Complessa Che Noi Amiamo è in realtà POPPETTONE FACILE che qualunque vecchio capisce in scioltezza, tale e quale a Poopaw e al Principe.

Nel caso dei Liars, già tre anni fa li avevamo lasciati lì lì per produrre il loro Takk, e proprio mentre noi soloni – cioè grandi sòle – del pop-rock eravamo pronti al massacro, e proprio mentre voi faciloni – cioè gente normale – del pop-rock eravate pronti a fare le file presso il miglior negozio di dischi della città (www.slsknet.org, o quei cazzo di distillati moderni che io non conosco tipo i torrent o lo scambio-file telepatico attraverso quelle piccole porte spazio-temporali che vi portate sempre dietro), ecco che tac!, i Liars se ne escono con un disco raw-rock (rawk) anni ’90, demodéissimo, con inserti di indie-hop malfatto e swingate basse e numeri di vecchio stampo hard-bop che a raccontarlo oggi non sembra neanche vero tanto era spiazzante nella sua semplicità, guadagnandosi in un colpo solo la medaglia d’argento di essere accolti con tiepidità (“Sette” e faccetta un po’ schifata e bigia) dai soloni, e quella d’oro di mantenere un pubblico ampio e schifoso ma senza che la genericità indie-moda si trasformasse in genericità e basta. Che poi io rabbrividirei se il mio pubblico fosse solo indie-moda o anche solo indie-indie o solone-solone, e sì, chiaro che anche il pubblico Feltrinelli mi farebbe schifo ma questo è un problema di per sé della razza umana: è bello avere un pubblico di per sé, poi il pubblico è disprezzabile per antonevrosi, quindi a quel punto tanto meglio che il pubblico sia tanto e pagante. Ma questo è un altro discorso.

Venendo a noi, cioè a Loro (intesi come Liars come si capisce dalla L maiuscola), il tempo è passato e pian piano si è riformata (almeno nella mia mente già infondata di per sé) la sensazione che il loro prossimo album, ormai imminente, sarà il famigerato Primo Disco dopo il Botto, ossia la Cacata-Alpha. Questo è chiaro da tanti piccoli indizi: innanzitutto lo penso io; poi il disco è stato promozionato tramite un sito tutto brillante yé-yé interattivo che sembra una di quelle trovate giovanilistiche che vengono usate per promuovere le iscrizioni alla Luiss; infine due mesi fa sentii per sbaglio mezzo pezzo ed era di quella subdola orecchiabilità geniale, cioè si insinuava a poco a poco e già dal terzo ascolto (cui mai sono arrivato) ecco che te lo stai cantilenando tra te e te, e certo che te lo cantileni tra te e te e non tra te e un altro perché sei talmente solo che il tuo stato è scritto con la zeta iniziale: zolo. Ma a poco a poco, col passare dei giorni e con gli ascolti che restavano a zero – dove sono ancora oggi perché io amo finanziare le lobby acquistando i supporti e il disco deve ancora uscire – ho capito che era appunto la zolitudine a farmi fare tali pensieri oscuri, è tutto un magna-magna e una paura di esporsi e di aprirsi al prossimo cedendo così parte della propria ricchezza solipsistica infantile, e se Freud fosse qui direbbe probabilmente YYYYAAAAAAAARGH e poi entrerebbero le percussioni a sostenerne il ballo folle per quarantacinque minuti di concerto. Insomma, cosa resta alla fine della giornata, o meglio all’inizio visto che ho passato tutta la notte a fare un collage di foto dei Miei Eroi? C’è che non ho ascoltato neanche una nota dell’ultimo disco dei Liars e ne ho parlato tuttavia per alcune migliaia di battute e ora sono certo che l’ultimo disco dei Liars sarà il miglior album dei Liars e bè, potrei anche averlo sentito questo benedetto disco, e poi guardo le tende che nascondono le porte e sulle tende c’è un cartello che nello stesso colore delle tende dice QUESTA NON E’ L’USCITA.

Ashared Apil Ekur

Bocelli ce vede // Coperti sotto al mare

Niente, inutile, nessuna intelligenza, neanche quella posticcia di chi si è costruito una credibilità, una cultura e tutto un mondo interiore comprando musicaccia e parlandone seriosamente può alcunché contro l’evidenza che, sul più bello, arrivano i Bambini a buttare tutto drammaticamente in merda. I Bambini con le loro Vocine e le loro Testine di cazzo che arrivano sempre a rovinare tutto, unioni felici e parrocchie serene, e festival di musica per adulti fino a quel momento disturbati al massimo da Dita Von Teese, la Befana Cadente – che almeno era tardi e avevano cantato tutti -, Rania Di Giordania (o Rana la Giordana) cui solo un islam ormai rammollito permette di girare il mondo elegante magra e vuota, e Le Du Bucione (la Clerici e Jennifer Lopez) che parlano di minchiate dopo che Jennifer Lopez è stata farsescamente annunciata come “la regina del pop” che io mi aspettavo Lady Gaga e per un attimo ci ho creduto e invece alla fine era solo Jennifer Lopez, porca merda; e insomma, dicevo prima di perdere il filo, che i festival sereni, già messi in guarda e sotto schiaffo dal fatto che nella serata di venerdì l’esibizione del mio beniamino Powia era stata disturbata da una piccola ballerina – certo molestata nel backstage da Bocelli che passava di lì e prima l’ha stordita con un acuto: MIO PICCOLO FIOOOOOR – e dalla presenza di Mas0ni, definitiva gufata sulla possibile vittoria finale di Povia (nota: per portarmi avanti col lavoro, scrivo parte di queste righe prima della fine del festival, quindi se so già che Povia non ha vinto è che sono un grande mago del cazzo, oltre ad averne l’aspetto fisico), questi benedetti festival sereni (e tre) oggi sono stati finiti dalla raffica di bambini-mostri, genia malvagia e deforme dei Tre Tenorini, che si è esibita con le loro voci bianche ed effemminate (i maschi) o da donna fatta ma vecchia e brutta (le femmine), e finendo in un micidiale coro che ha intonato tanto pe’ cantà (e l’Italia ha cantato con loro!), capeggiato da due bambini guappi e astuti che hanno fatto pure la scenetta prima di iniziare.

Bustenay Oded lo diceva chiaro nella sua opera sulle deportazioni di massa assire: tu dai in mano la macchina del festival a una donna di casa, e questo è quello che ti ritrovi, bambini, nani, portoghesi e cristicchi che insiste con quei maledetti minatori che cantano canzoni romane, ma così come non esistono negri italiani non possono esserci certo minatori romani perché a Roma non ci sono certo miniere, se non quelle di pasta alla gricia che però non miniamo direttamente, ma ce la facciamo portare da ristoratori indiani perché er culo CE PESA.

E infatti a me me pesa e ora sento il dovere di fare una vignetta, che farò male e stancamente per il motivo di cui sopra, ma dedicatemi un altro po’ di pazienza e da simbolo del male muterò fino ad essere lupo e rondine per gli occhi vostri. Parliamo di Musica! La cosa peggiore nella prevista vittoria di Skanoo è nella retorica puzzapiedi di Castaldo e della sua banda di furfanti che domani parleranno di come i talent show hanno ormai preso possesso del festival di Sanremo, come se questa fosse una cosa tremenda e scandalosa ed era veramente tutto bello e buono quando vinceva la loro Cinquetti (a proposito: grandissima versione di Non ho l’età l’altra sera da parte di quel fico di Miguel Bosé, gay pop every day in every way). La verità, oltre ovviamente al fatto che tutto il ’68 è una grossa bugia (come testimoniato da film di merda come Cosmonauta) e che Castaldo è prezzolato dalla Caselli, che in questo momento sta licenziando i collaboratori più stretti a causa della sconfitta della Ayane e sotto un cielo di tregenda in cui campeggiano gli occhi da serpente lesbico della De Filippi (giusto prima della fine del festival ha anche mandato Costanzo ad accertarsi con mezzi mafiosi che Scanu vincesse) grida vendetta puntando il dito al cielo e lunedì si sfogherà con gli stagisti, la verità, dicevo è che Ora posso amare, ora.. e che oggi pomeriggio uscendo da Ricordi, dove ingrugnito e inferocito, dopo aver valutato l’acquisto di un cd doppio di Bruno Lauzi sulla cui copertina campeggiava lui giovane come un coglione (Lauzi peraltro viveva vicino casa dei miei genitori, e spesso lo incontravo la mattina sul 64 quando andavo a scuola. Che tristezza. L’unica altra cosa che so di lui è che suo figlio anni fa partecipò a Sanremo con una canzone intitolata “Il re dei giocattoli”, che arrivò forse ultima, e che da allora uso per definire tutti i barboni un po’ industriosi che trafficano con vecchie ferraglie) e anche, inspiegabilmente, un cd di hit di Peter Gabriel intitolato hit, alla fine ho comprato senza un vero motivo The Filth and the Fury, mentre fuori dal negozio un gruppo di ragazzini scartava avido Re Nudo di Marco Mengoni e nel gesto di togliere la plastica dal cd c’era un po’ lo scartarsi di dosso tutta l’inutilità di quanti provano a dire qualcosa di intelligente su Sanremo, perché sprecarsi quando si può parlare in vinile degli Alternative TV, e la grandezza di Valerio Scanu che ha appena vinto il festival e, intervistato da Mollica, mostra di avere il passo dei geni ostentando che, in fondo in fondo, non gliene può fregare di meno.

(Straight to Hell dei Clash, a sfumare)

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