The Long Road to SYRO: gli amici di Aphex pt. 1 – LUKE VIBERT

Disclaimer: quest’articolo fatto per bene, ponderato e limato per mesi in ogni suo angolo andrebbe pagato almeno, e sottolineo almeno, 100 euro. Che poi questo non si realizzi nella realtà di oggi non è affar mio e non cambia la realtà dei fatti: almeno 100 euro e pubblicazione su LIMES nella rubrica LiMaTuRe. Invece ve lo beccate spezzettato su Bastonate sotto forma di sovraccarico (overload overlord) di informazioni, sperando che conquisti ugualmente il vostro cervello invadendolo col mondo musicale creato dai personaggi che vi andrò a descrivere.

Come si è arrivati all’attesissimo e hypato SYRO? Approfittiamone per tuffarci nella musica degli amici di Richard D. James, per sfondare il muro dei soliti Selected Ambient Works/Come To Daddy e goderci un po’ di trappole mentali lontani da ogni chiacchiericcio e moda.

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Luke Vibert (aka Wagon Christ, Plug, Amen Andrews, Kerrier District etc.)

LIVIN LA VIDA PIGRA
LIVIN LA VIDA RELAXO

(tl;dr ovvero troppo lungo, non leggo: salta subito alla musica!!!)

Trovo giusto iniziare questa serie di articoli con Luke Vibert: il compagnone groovoso e ironico, sottovalutato da molti perché è quello che ha il profilo meno avant e meno serioso. Di tutti gli amici musici di Aphex, Luke me lo immagino li tranquillo e cazzone, ma sereno risoluto, che se vuole ne sa a pacchi pure più di te. Guardateli qui nel ’99 insieme nella loro Cornovaglia intervistati da John Peel dentro un cazzo di antico luogo okkvlt erbomuschioso che predice casualmente una delle correnti di questi PazZi anni 2k ovvero NATURALISMO.

I due si conobbero nel 1990 in quel di Redruth (luogo tributato più volte da Aphex: Redruth School; Girl/Boy Song (Redruth Mix)) con Luke già in fissa per le produzioni casalinghe di un Aphex lontano qualche chilometro, produzioni che incoraggiarono Vibert ad abbandonare velleità da band e mettersi a smanettare con atari, synth e samplers. Luke di contro insegnò a Richard armonie e melodie più complesse e jazz, almeno stando ad una delle tante interviste pazzesche/rivelatorie fatte a Vibert. Vero o no, non riesco a non pensare a Luke Vibert come a colui che ha sempre spinto per il lato concreto, di classe e ironico di tutta la faccenda dell’elettronica da cameretta anni ’90 inglese (no, non userò l’etichetta IDM!). Lui è quello che non vuole avere troppi synth, plug-in e macchine attorno a distrarlo con le loro troppe possibilità, che smanetta sui preset e non se ne crea mai uno nuovo da zero, che per praticità dettata da pigrizia ora si campiona tutto (synth drum machine etc.) per poi editare e comporre in tranquillità su un laptop scrauso (e con cose semplicissime tipo Reason). Eppure da amante dell’hiphop, e quindi del collage, e quindi della library music (di cui ha curato ben tre volumi chiamati Nuggets per la Lo-Recordings), Luke ha una sapienza funk ritmica unica che ho sempre immaginato come influenza principale per l’Aphex Twin più shuffloso, che potete ritrovare nel ritmo ciondolante di Alberto Balsam, o in quello sghembo3skazzo2 che sta alla base di ogni destrutturazione operata nella famigerata Windowlicker.

La carriera discografica di Luke iniza nel 1993 sulla Rephlex del compare Richard con Weirs, lp bleep’n’acid pregevole, ma canonico, che mi preme citare solo perché fatto insieme all’amico Jeremy Simmonds aka Voafose, uno che riapparirà nel 2006 con un album omonimo che fosse uscito ora e senza le inutili tracce di cazzeggio per nastro sarebbe osannato da tutti quelli che si riempiono la bocca con parole tipo “synth modulari/sequencer analogici/field recordings/la techno”. Così giusto per dire che anche i minori hanno una loro dignità sonora in questa storia di amicizie rave in cornovaglia. Carino il fatto che la coppia Vibert/Simmonds sia riapparsa nel 2008 con un album di scarti dalle sessioni di Weirs di nome Rodulate. Più strano e meno dritto dell’album madre ci troviamo sopra l’unica traccia RAP di Luke Vibert:

Il vero debutto solista di Luke Vibert avviene nel ’93 con Phat Lab Nightmare a nome Wagon Christ, un album ambient fatto su commissione per Rising High (che l’ambient tirava, inizio ’90, Orb, AFX stesso etc.) e in cui i beat -quando ci sono- servono a puntellare un’atmosfera sinistra da film onirico e misterioso non lontana dalle intuizioni horror-ambient/retrò di certa hauntology uk (ghost box e dintorni). Un Vibert da recuperare, l’unica sua testimonianza “avant” mai più replicata. E’ solo nel 1995, con quel gioiello di nome Throbbing Pouch, che inizia la vera esplorazione del groove dell’epopea Wagon Christ –che dura ancora oggi!– in quella maniera che nel ’90 piaceva chiamare downtempo (e infatti lo troveremo anche su Mo Wax), ma Luke ci metteva molto di più: ci metteva la psichedelia, l’electro, l’acidume, lo scherzo, le soluzioni inattese, evitando sia il salottino easyjazz che la paranoia oscura di bristol.

A un Luke in fissa coi beats non poteva non piacere la drum’n’bass e tra 95/96 si vendicò dei technoni (soliti rompicojoni) che gli dicevano (parole sue) “è stupida hardcore! perché perdi tempo con la drum’n’bass?” creando a nome Plug la vera nUovità nuOva: innestare il suo concetto di sinfonia sampledelica sui turboritmi della jungle per spargerli attorno all’ascoltatore in maniera libera. La musica di Plug sfrutta lo spazio sonoro, è perfetta per l’ascolto casalingo, e forse è primissimo esempio di breaks jungle non più al servizio del rave ma del trip mental, con suoni da spy-movie spaziale più che urbani e futuristici: un ascolto che disorienta anche oggi. Dopo quel capolavoro di Drum’n’Bass For Papa il nome Plug sparisce (tornerà solo recentemente in una raccolta di scarti inediti): troppa fissa da parte di tutti (in primis i suoi amici musici) per l’aspetto ritmi pazzi e complicati del disco, una competizione assurda sull’arzigogolo ritmico da cui Vibert si tira fuori in quanto non si ritiene all’altezza o non gli va. Anche qui, lo scazzo e la praticità al potere a favorire chiarezza e risolutezza del linguaggio, niente spazio per la frustrazione monomaniacale di perder tempo a spezzettare all’infinito un breakbeat. Luke Un-Plugga Plug (ehehEhehH) proprio prima che diventi un affare troppo sperimentale, Luke vuole ritmo e classe phunkona. EKKEKKAZZU !!

Dopo l’esperimento fusion cocktail in collaborazione con il musicista pedal steel BJ Cole (che se non altro ci ha permesso di sentire come suona Vibert in jam con Tom Jenkinson aka Squarepusher al basso: suona troppo prevedibile e manierista) negli anni 2000 abbiamo potuto godere di un Luke Vibert padrone del suo nome senza nickname dietro cui nascondersi. Ora più libero di acidonare e spaziare sui generi senza certe restrizioni imposte da Ninja Tune: “bello, ma non è troppo ninja tune” gli dissero varie volte per robe scartate da Wagon Christ con Luke che giustamente si chiedeva cosa cazzo volesse dire. Ci ha pensato prima la Warp che nel 2003 sciolse menti e culi con lo spettacolare singolo I Love Acid e un album, Yoseph, che mostra un Vibert a tutto tondo tra sperimentazioni a base di acidi-303 su funk, disco, electro e house, con tanto di pezzo astratto ambient. Poi è arrivata la Planet Mu (dell’amico Mike Paradinas a cui dedicheremo il prossimo capitolo di questa serie) che dopo il simpatico (e minore) Lover’s Acid ci ha donato forse il lavoro più classico, ma vario, di Luke: Chicago, Detroit, Redruth. Un riassunto di elettronica/rave che passa dalla drum’n’bass all’acid-house in 7 tracce mantenendo un sound immortale. Cioè per mettervela stile 2k14-clubberini dell’oggi inizia con un gioco drumnsteppo che potrebbe colorare un set Uk Bass e giunge ad un acidume techno che avremmo potuto godere nel ’91 così come in un odierno dj set di un PsYcOdeLico tipo Morphosis:

Se vi piace solo l’acidume lo troverete tutto raccolto in The Ace of Clubs, stesso anno (2007) dell’album su Planet Mu. Non contento di ciò il nostro se ne uscì pure con due album disco-funk a nome Kerrier District, su Rephlex. Raccolte che non sfigurano di fronte a certi coevi revival di metà 2000. Vi consiglio il secondo volume perché è DiVerTenTe, contiene Robotuss che anticipa il nome The Tuss usato dal solito Aphex, ma sopratutto si conclude con l’incredibile Ceephax Mix di Sho-U Rite. Ceephax è il fratellino sciroccato di Squarepusher (sempre giro amici afx) e batte tutti con sette minuti di giostra multicolore che vi porta avanti e indietro dentro rave immaginari mai esistiti:

Sempre a Rephlex dobbiamo la saga junglona drittona (quasi una versione basic-rave di Plug) di singoli 12″ Amen Andrews che su album divenne Amen Andrews vs Spac Hand Luke (la personalità qualcosa-step di Luke) roba che ha anticipato l’unione dubstep/hiphop/jungle, cara a Machinedrum e Om Unit, di almeno 5 anni. Nel frattempo Luke si è pure tolto la soddisfazione di una collaborazione da sogno con Jean-Jaques Perrey concretizzatosi nell’album Moog Acid. Perrey è stato una star della library/cocktail music, ma sopratutto uno dei pionieri dell’elettronica pop e del moog, di cui dovreste tutti guardare questo filmato per capire la portata del personaggio e capire così anche parte dello spirito di Vibert:

E’ al Luke Vibert anni duemila che dobbiamo il nome Analord, apparso per la prima volta sull’ep 95/99 per Planet Mu (nel 2000 proprio) utilizzato da Aphex Twin per la sua famigerata serie di 12″. E forse è sempre un’influenza vibertiana quella per cui Richard si spogliò degli editing digitali forsennati di Druqks dedicandosi solo al caro vecchio analogico della serie Analord dando spazio a semplicità e toni belli limpidi come nel fenomenale tributo a Mr Fingers (Larry Heard) che è Analord 02, in particolare ovviamente nella traccia di nome Laricheard. Quel tono gommoso, chiaro e lussoso (che ovviamente Richard rende fumoso e umorale) è proprio la caratteristica del nostro Vibert. Suono Lush che Luke porta avanti tutt’oggi nel 2014 in pezzi di una straordinaria presa a bene come questo (singolo dell’album Ridmik):

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tldr
State in fissa con quell’assurdo breakbeat iniziale di Minipops67 ?
Eccovi qui un bell’ascolto retrospettivo di Luke Vibert per godervi il lato funk della faccenda. D’altronde è proprio Richard a nominare Luke in un’intervista per SYRO riguardo ad un 500gb di musica nuova che gli deve passare, dicendo che si sono sempre influenzati e ispirati a vicenda.

L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 1-7 ottobre 2012

Palo a portiere battuto, secondo una jella scarogna di tutti i colori.
La difesa del Frosinone è stata fortunata, il portiere… culone.
(Francesco Marcozzi)


Con largo anticipo e decisamente fuori dal tracciato della vostra rubrica preferita, ma per una volta sticazzi della territorialità: l’uomo al cui confronto il suono dei bombardamenti a tappeto diventa una serie di melodiose canzoncine di Natale porterà per la prima volta in Italia il suo progetto più colossale, inaudito, indicibile. Qui tutte le informazioni e i prossimi aggiornamenti, mancare questa data significherebbe mancare l’appuntamento con la vita. Di nuovo nel qui e ora: martedì 2 al Modo Infoshop electro-visual-analog fattanza al femminile coi viaggioni di Jasmina Maschina e Golden Diskò Ship, dalle 19.30… Riprendono le serate MeryXM, mercoledì la prima della stagione… Ancora mercoledì e a pochi passi di distanza, Linterno + Cadela Maldita +  Stagewar, al Gran Bistrot dalle 21.30… Che trip giovedì 4 all’Elastico con gli Expo ’70, e chi saranno mai questi Tangerine Dream… Legnate hardcore venerdì 5 all’Atlantide, Qui il flyer… Sabato 6 la migliore gita fuori porta che possiate immaginare, tutte le info nel flyer qui sotto… Domenica 7 botte da orbi al Chet’s Club con Rippers, Be-Ones e Donald Thompson, dalle 21… Reclami? Segnalazioni? Buste all’antrace? lagendinadeiconcerti(at)gmail(dot)com

MATTONI issue #10: LESBIAN

 
Vincono già dal nome, soprattutto in tempi in cui per non finire immediatamente nei peer-to-peer l’alternativa è tra stupidissimi termini di uso comune ricontestualizzati (tipo The Music, Girls, Tombs, ecc.) o sigle illeggibili piene di simboli criptici tipo triangolini e altre merdate a incasinare il tutto (tipo l’intero fenomeno witch house, che poi tra l’altro mica ho ancora capito di che cazzo si tratti, ma comunque). Loro scelgono una terza via: nome ultracomune e ultrabeota “perché quelli belli, tipo Black Sabbath o Venom, erano già presi“. Sono in quattro, hanno inciso per Holy Mountain (che già di per sè stessa è una bella garanzia di alterazione mentale) e a guardare la foto sul sito dell’etichetta sembrano, nell’ordine: un ciccione che ama i Neurosis, un professore ex-hippie col cervello fritto dai troppi acidi ai tempi dei fiori nei capelli, un immigrato clandestino e un buzzurro rissaiolo coi tatuaggi anche nel buco del culo. Insieme suonano uno strano incrocio tra sludge, doom old school e progressive metal, fangosissimo e lisergico eppure cronometrico e intricato al tempo stesso; immaginatevi, se riuscite, una sintesi tossica tra Dream Theater, Grief, Lake of Tears e Facedowninshit, sarete comunque piuttosto lontani da un’idea anche lontanamente esaustiva. Uno di loro, Dan La Rochelle, ha suonato la chitarra negli ASVA per un paio d’anni, magari questo dettaglio può essere di aiuto. Il primo album è del 2007; Power Hor, un gioiellino di psichedelia malata e deviante che con un buon cilotto sdruso di bella (o un paio di cartoni) a supporto è la morte sua. I numeri già dicono tutto: quattro pezzi per sessantadue minuti di durata. C’è già un bestione di quasi 25 minuti, Loadbath, ma non è il pezzo migliore del disco, e comunque a quei tempi Bastonate (con annessa la vostra rubrica preferita) ancora non esisteva. Sempre del 2007 è un ‘Tour EP” con un pezzo di quarantasette minuti (dal temibilissimo titolo, Fungal Abyss), che purtroppo non sono ancora riuscito ad ascoltare; ho invece mandato a memoria lo split del 2008 con gli Ocean americani (altro gruppo per cui vale la legge dei grandi numeri), ma purtroppo entrambe le compagini in quell’occasione mordevano decisamente i freni: ‘soltanto’ dodici e quattordici minuti le durate dei rispettivi pezzi.
Tornano ora con un nuovo disco fuori, Stratospheria Cubensis, titolo delirantemente pseudointellettuale, produzione paludosa del paludato Randall Dunn e artwork sideral-tentacolare del funghesco Seldon Hunt. Un disco che è un po’ il loro The Age of Adz: smodato, incontenibile, eccessivo, irraccontabile, radicalmente altro da sè e da tutto, con il brano più lungo posto alla fine a riassumere e a tirare le fila e a fornire il senso ultimo di un suono e un metodo compositivo che non asc0lterete altrove. Black Stygian è il nome del mattone finale, ventidue minuti di delirio psych-sludge-prog-doom da far precipitare dal cielo gli arcangeli con le trombe e schizzare dalle viscere della terra i diavoli coi tromboni, un’ininterrotta, sfrenata cavalcata della Morte ma con un cannone grosso come un carciofo incastrato tra le arcate dentarie; se esistesse un ipotetico mash-up tra Jerusalem degli Sleep ma con il tiro e senza la narcosi chimica, e A Change of Seasons dei Dream Theater ma senza i barocchismi e le leziosità e le tastiere d’avorio e la suddivisione in capitoli, magari reinterpretata dagli Eyehategod in jam alcolica con Fates Warning e (Men of) Porn, forse quel pezzo avrebbe il suono di Black Stygian. Veramente devastante.

 
 
PS STREAMO: http://lesbian.bandcamp.com/album/stratospheria-cubensis

PITCHFORKIANA: Swans, Blonde Redhead, Black Mountain, Iron Maiden

zezelj (a caso)

BLONDE REDHEAD – PENNY SPARKLE (4AD)
…il cui valore oggettivo scaturisce da una scaletta che presenta titoli come Not getting there, my plants are dead o anche everything is wrong. 2.2

BLACK MOUNTAIN – WILDERNESS HEART (JAGJAGUWAR)
Si sviaggia di meno, ma era la loro caratteristica meno caratteristica. Comunque un disco la cui traccia iniziale si chiama THE HAIR SONG parte da 7.9. Se c’è anche un pezzo intitolato BURIED BY THE BLUES arriviamo tranquilli a 8.4, e Radiant Hearts è probabilmente il miglior pezzo di Bowie dai tempi di Herpes (sarebbe Heroes, ma l’autocorrezione di word fornisce significati tutt’altro che trascurabili). 8.6

SWANS – MY FATHER WILL GUIDE ME UP A ROPE TO THE SKY (YOUNG GOD)
La nuova formazione degli Swans è composta da gente del giro Angels Of Light, il quale è composto da gente del giro ultimi Swans più qualche ospite. Il disco sarebbe appena sufficiente -sotto tutti i dischi a nome Swans ivi compresa l’ultima parte della carriera- se visto dall’ottica Swans, ma è un buonissimo disco se visto in ottica Angels Of Light. E lo si può vedere nell’ottica che si preferisce, tenendo tuttavia conto del fatto che la musica e la vita sono due cose diverse -e anche del fatto che il disco è comunque licenziato a nome Swans. 5.2

IRON MAIDEN – THE FINAL FRONTIER (EMI)
Speriamo. 3.4

Nota: alcuni di questi dischi non sono ancora usciti, quindi le recensioni sono frutto di mera immaginazione.