DISCONE: Black Sun – Twilight of the Gods (Future Noise)

I dischi che spaccano il culo senza essere niente di speciale ormai sembrano venire tutti da un’altra epoca. Credo siano stati gli anni novanta: la musica rock, specie quella molto pesante, doveva essere sempre molto nuova o molto tradizionalista. Il rock normale ha smesso di esistere più o meno ai tempi in cui AmRep ha chiuso i battenti, lasciandosi trasportare all’interno di un gioco di specchi più o meno infinito in cui quasi tutto quello che musicalmente non è, ehm, niente di che non vale manco la pena di, etc etc. OK, smettiamo di traccheggiare e ci leghiamo all’oggetto: i Black Sun  sono un gruppo di rock normale, persino anonimo. Twilight of the Gods è un disco di metal sabbathiano e vagamente blues che cita più o meno apertamente Melvins, gli Entombed di Wolverine Blues, gli Eyehategod di ogni pezzo in carriera e certo blues-core. Roba aggro, per capirci, musica che neanche tanto tempo fa usciva tranquillamente su base settimanale e non creava sconvolgimenti d’animo. Un tizio su Audiodrome s’è ascoltato il disco e ha concluso ciò che segue:  “sono all’esordio con questo Twilight Of The Gods, ma, visti i presupposti, difficilmente lasceranno un segno nella scena pesante contemporanea. Il loro stile è una miscela di doom, sludge-core e oscurità gotiche che più impersonale non si può, con riffing fiacco che non mette mai a segno un colpo come si deve: in alcuni frangenti i giri si susseguono senza convinzione, generando un’accozzaglia che non trasmette niente. (…) La performance vocale di Russell McEwan, che è anche batterista di questo terzetto, non è niente di che, un po’ hardcore, un po’ death, ma senza la giusta dose di preparazione tecnica che aiuta ad interpretare bene la parte.” Rispondiamo nell’unico modo in cui abbia senso:

beccati questa kotekino

Twilight of the Gods è un disco di puro INCAZZO. Non parla nessun linguaggio dell’estremo, o quantomeno non uno che sia preponderante rispetto agli altri. Sono una decina di pezzi, quasi tutti intorno ai sei minuti, buttati lì apposta per dare a chi canta il modo di sfogarsi, con le parti vocali più scorticate della storia e testi indecifrabili (sono di Glasgow) che dicono cose tipo fuck you love songs, fuck you hate songs. è un disco di INCAZZO come poteva esserlo un disco dei Void, o i Suicide che venivano presi a calci dai punk nella New York di fine settanta o gli Unsane di This Plan: esci dal lavoro, vuoi farti una birra e un dischetto metal cazzone e ti senti vomitare addosso un camion di angoscia paranoica che ti fa tornare in fabbrica per altri quaranta minuti. è un disco così lacerato e preso male che tutto sommato i momenti in cui si respira un po’ sono quelli in cui al microfono c’è il negro degli Oxbow, per dire. Il quale comunque dà una performance enorme: Baby Don’t Cry sarà pure mestiere, ma tocca Life Time con un dito. Non è propriamente roba di quella che infiamma gli m-blog intrippati con l’apocalisse ad ogni costo con quell’attitudine alla stare male meno/stare male tutti, ma se dovessi uscire di testa per un album e fare uno di quegli sbrocchi alla Claudio Sorge sul destino del rock, tra quelli usciti di recente non mi verrebbe in mente nessun altro titolo.

Piccoli fans: BLACK BREATH

Il mio amico Gilberto (non ho amici di nome Gilberto, ovviamente) mi chiama esaltato e mi dice che deve TROPPO farmi sentire un gruppo. Gilberto è un fighetto impenitente che ha ascoltato death metal fino all’anno prima, poi ha scoperto il rock anni sessanta/settanta e infine è caduto dentro al postrock, abbandonando in toto le cose che ascoltava in precedenza. Mi ha chiamato perchè gli hanno passato il primo disco degli Haunted e sta pensando di tornare al metal. Siamo nel ’98. La mia trippa non è ancora così terribilmente debordante. Ho una vita sessuale regolare per la prima volta da quando sono nato. Li ascolto e penso di tornarci pure io, al metal, anche se non credo di essermene mai andato.

La cosa va avanti per una mezz’oretta, poi il metal torna dove stava. Gli Haunted continuano ad essere un buon gruppo, ma non sono gli At The Gates, e probabilmente non sono mai riusciti a superare il problema fondamentale dei loro dischi -cioè che nessuno dei pezzi venuti dopo la traccia 1 del primo disco (Hate Song) riesce a superare la perfezione della traccia 1 del primo disco.

Black Breath è la nuova novità nuova di casa Southern Lord. La musica di casa Southern Lord sta smettendo le proprie inclinazioni avant e cercando una propria innocenza di secondo grado, declinandosi in recuperi vintage di rara bellezza ed in nuove band con un tasso di aggro che quasi quasi a Greg Anderson non glielo sospettavi più (con tutto che cercare di ricostruire chirurgicamente il filo della cappella è davvero qualcosa di molto andersoniano). Da questo punto di vista Black Breath è davvero un acquistone, e piazzare il loro primo disco sul lettore ci porta in territori che la maggior parte della gente che ci siamo auto-venduti come importante se li può giusto immaginare mentre se le tira. Non che Black Breath lo sia, importante: piuttosto è un buon modo per ripescare certi dischi che hai lasciato nello scaffale dei non li ascolto più, non si sa bene su quale base, tipo la seconda fase degli Entombed o -appunto- Haunted et similia. Che diocristo scusa se è poco, e aggiungeteci pure che sono di Seattle e che come prima influenza su myspace citano i Poison Idea. E parimenti, ovvio, si abbeverano a quel genere di immaginario del cazzo da cafoni che ultimamente sta tornando in auge -stile 3 Inches Of Blood o Valient Thorr, per capirci: fate conto che il primo pezzo si chiama Black Sin (roba da quarta elementare) ed è sottotitolato Spit On The Cross (roba da terza media). Sono talmente dritti e dozzinali che a metà del disco viene voglia di rileggere Musil per compensare. Probabilmente nemmeno loro andranno mai oltre la traccia 1 di Heavy Breathing -o quantomeno la prima metà della traccia 1, dopo diventa pure un po’ palloso- ma visto quanto vi costa scaricarvi i dischi ultimamente vi conviene dargli una possibilità. Probabilmente il primo disco di Black Breath è DAVVERO la cosa che state cercando di questi tempi per far tornare al metal il vostro amico Gilberto per un paio d’ore. No scranno no party.

E comunque il miglior gruppo Black-qualcosa su Southern Lord continua ad essere Black Cobra. Sai che notizia.