EARTH – Primitive And Deadly

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Dylan Carlson assomiglia a Rasputin. Fisicamente intendo: è dimagrito molto, niente barba in compenso un paio di baffi a manubrio da far sembrare sobrio e elegante il motociclista dei Village People, al posto dello sguardo spiritato due cavità grigie e liquide che racchiudono tutta quanta la tristezza dell’universo, per il resto siamo lì. Da un punto di vista musicale è un Don Chisciotte cattivo e infinitamente più scentrato che sta ancora combattendo la sua guerra. forse stavolta la vince. Primitive and Deadly mantiene esattamente quel che promette. Mai come in questo caso il titolo del disco è la recensione.
Appena parte il cantato l’associazione mentale con Pentastar viene su spontanea, è inevitabile. Sulle prime sembra davvero il seguito mai uscito di Pentastar (in assoluto il disco stoner più difficile, problematico e deragliato di sempre), ma più ferale e registrato adesso, con suoni di adesso. Fermarsi alla prima impressione sarebbe un errore: Primitive And Deadly non assomiglia a nient’altro gli Earth abbiano prodotto fino ad oggi e suona come nessun altro loro disco abbia suonato mai. Malvagio, ostile, perversamente ipnotico, lucidissimo (strano usare questo termine in relazione al soggetto), spietato. Terrorizza. Incorpora elementi da ognuna delle tante mutazioni succedutesi negli anni, qualcuno nuovo (voce femminile in un pezzo, perfettamente in linea col resto), sostanzialmente fa storia a sé. Un pianeta a parte disperso in una galassia sconosciuta. Magari qualche relitto psichedelico da epoche remote lo ricorda pure, ma alla lontana e soltanto a chi abbia intrattenuto con l’eroina rapporti che andassero oltre la semplice confidenza. È roba respingente, malsana, profondamente deleteria per qualsiasi sistema nervoso già messo in difficoltà anche solo in minima parte, anche solo tangenzialmente sfiorato da agenti esterni che sappiano rivelarsi distruttivi sulla lunga distanza. Roba che disgrega ogni equilibrio una volta abbassata la guardia, a cui è impegnativo far fronte. Spalanca buchi neri insondabili, voragini nel subconscio dalle ricadute imprevedibili; un incrocio tra l’abisso nietzschiano e gli effetti dell’allucinogeno più potente mai sintetizzato, iniettato direttamente in vena nel cervello. Entrambi settati oltre il parossismo. Impossibile uscirne intoccati, gli effetti sono immediati e irreversibili, in qualsiasi caso. Come attraversare un’autostrada deserta in piena notte, l’impressione di avere imboccato una tangente sbagliata trasformarsi in certezza metro dopo metro, dilatata ed espansa oltre il limite di sopportazione. Il secondo pezzo con Lanegan (ce n’è un altro prima, non buono quanto questo) che chiude la versione CD – il doppio vinile bronzeo ha un pezzo in più che non ho ascoltato – è l’ultimo chiodo nella bara. La mia.