O.L.D. è soltanto una delle incarnazioni del multiforme James Plotkin, personaggio di cui già abbiamo accennato (e su cui sicuramente torneremo), probabilmente la più radicale. Nati nella seconda metà degli anni ottanta per mano di Plotkin e dell’indemoniato singer Alan Dubin (unico membro stabile della formazione, che per un nanosecondo accoglierà pure Jason Everman, senz’altro il Carneade più sfortunato del mondo), gli O.L.D. (acronimo di Old LadyDrivers) licenzieranno tra il 1988 e il 1995 quattro album, uno split con gli Assück e una raccolta di remix in chiave gabber/speedcore, quasi tutti per Earache (all’epoca l’etichetta più coraggiosa e lungimirante sul mercato), ognuno dei quali degno di una trattazione a parte. Formula, sigillo conclusivo del marchio, si spinge comunque oltre, entrando insindacabilmente e fin da subito a far parte di quella ristrettissima cerchia di dischi “alieni”, episodi che non conoscono precedenti, influenze esterne o numi tutelari di alcun tipo, genere o maniera; lavori capaci di delineare un intero universo perfettamente chiuso in sé stesso e a sé stesso totalmente bastante, musica atemporale, del tutto priva di punti di riferimento di sorta, musica che – letteralmente – ti chiedi da dove cazzo sia potuta uscire. Roba impossibile da pensare, figuriamoci da imitare. In un gioco raffinato di alterazione mentale e atrocità psicologica, la coppia Plotkin/Dubin costruisce, attraverso sette movimenti della durata variabile da cinque a undici minuti, tramite sventagliate di maligni synth, deraglianti architetture sonore tra lo space rock più manicomiale e la psichedelia traslata in un contesto da romanzo di William Gibson (il tutto punteggiato dalla terrificante voce da androide malato di Dubin, costantemente effettata e trasformata in un agghiacciante lamento da cyborg), una spirale delirante di allucinazione e orrore priva di vie d’uscita, uno dei momenti più visionari e brutali di tutta la musica recente.
Formula avvicina idealmente Plotkin e Dubin ai Nick Blinko, agli Alan Vega, ai Robin Crutchfield, ai Jandek, a tutti quei pochi che dal niente hanno creato un mondo a sé stante il cui ingresso resta precluso ai più. Disco indescrivibile se mai ne sia esistito uno, Formula attraversa come un UFO la produzione discografica del 1995; a riascoltarlo oggi suona ancora completamente fuor di contesto, del tutto inafferrabile, orgogliosamente altro: come veder sfrecciare una galassia davanti agli occhi, o un troglodita che ascolta i Chrome in un’astronave, come un’orchestra in una stazione orbitale che si eccita con le Frippertronics. Probabilmente conscio dell’irripetibilità dell’atto, Plotkin scioglierà gli O.L.D. di lì a poco; il disco, colpa anche di una Earache allora allo sbando più totale, affannosamente in cerca di un’identità per tenersi al passo coi tempi, non vende nemmeno una copia. Bisognerebbe davvero poterne riparlare tra duecento anni.