La rubrica pop di Bastonate: la recensione degli H-Blockx AKA considera che l’aragosta ha le sue ragioni perché ha avuto un caciucco incident dopo aver ascoltato ‘sto disco

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Chiariamo subito una cosa (prima che io perda inesorabilmente il filo del discorso): nel 2012 un nuovo disco degli H-Blockx è come Biagio Antonacci col tamburello in mano che viene pagato dalla regione Puglia di Nichi Vendola per girare un video in Salento d’estate dopo essere stato ricoverato a Forlì con un salame nel culo a capodanno. Anzi no, è come Giorgio Panariello che, ospite a Che Tempo Che Fa di Fabio Valium Fazio, sfodera una spilla con falce e martello al bavero della giacca dopo aver lavorato a Mediaset di Berlusconi appena l’inverno prima (tra l’altro Giorgio Panariello son quindici anni che non fa più ridere, più o meno come gli H-Blockx – che almeno si erano sciolti o ben più probabilmente erano spariti in Italia pur continuando come se nulla fosse in Germania, ma questo è un discorso che approfondirò i seguito o forse non approfondirò mai perché di Panariello me ne frega poco o nulla). Un tentativo di rifarsi una qualsivoglia verginità, sfruttando successo avuto anni prima contando sul fatto che il pubblico nel frattempo abbia dimenticato o magari per via del cosiddetto ricambio generazionale ci sia un pubblico nuovo che non sia a conoscenza di cosa sei stato e da dove sei venuto. Ah, la tauromachia! Ah, gli anni novanta che quindici/vent’anni dopo ritornano a galla come una pietanza digerita male (magari un risotto al curry dell’indiano take-away)!

Ma (dico io, che nel frattempo ho già perso il filo del discorso e sto scrivendo col pilota automatico come Otto in L’aereo più pazzo del mondo)(tra l’altro in quel film faceva una comparsata pure Flea dei Red Hot Chili Peppers, dunque si torna inevitabilmente agli anni novanta che ritornano a galla come una pietanza digerita male – magari un Chinese Take Away come cantava Mao post-sbornia da successo feat. Andrea Pezzi, praticamente anni novanta digeriti male come se piovesse), che senso hanno oggi gli H-Blockx? Avevano un senso allora? Ma, soprattutto, erano così famosi allora da giustificare una loro reunion oggi, considerando che in realtà non si sono mai sciolti ed hanno continuato a fare cose nel disinteresse generale? Un disco che in Italia ha avuto un buon successo nel 94/95 trainato da una copertina con uno squalo (ci arriverò) e da un singolo come Risin’ High con un video che neanche i Green Jelly, ospitate a Videomusic in programmi pomeridiani condotti da Paola Gennaro Maugeri con i capelli blu e dal Kaimano e null’altro (tra l’altro a quel programma si presentarono senza cantante perché si era fatto malissimo dopo aver fatto stage diving, altra cosa veramente so 90’s). Dunque, non erano così famosi e non hanno fatto nulla di così memorabile da giustificare una reunion/riapparizione in un’epoca in cui si riuniscono Smashing Pumpins e Soundgarden in nome del botto commerciale avuto con due dischi usciti più o meno contemporaneamente a quello degli H-Blockx (del quale tra l’altro non ricordo il nome, ma non perdo nemmeno tempo a fare ricerche su Wikipedia perché di Panariello me ne frega poco o nulla – per la cronaca si chiamava Time To Move ed era un disco minore se visto in prospettiva e confrontato con ciò che girava all’epoca, però ci piaceva assai). Magari in Germania erano così famosi e lo sono stati pure dopo Rising High, ma in Germania è riuscito ad entrare in classifica pure un mio compagno di università con un pezzo techno-hardcore (con tanto di imbarazzanti ospitate nei programmi dance di Viva, of course), dunque il mercato tedesco non fa poi così tanto testo e quasi quasi ha ragione Berlusconi quando dice che la Germania dovrebbe uscire dall’euro perché la Merkel è una culona inchiavabile e gli H-Blockx sono stati nient’altro che una one hit wonder figlia di anni in cui ci siamo bevuti di tutto, perfino Biohazard, Dog Eat Dog e Giorgio Panariello (che erano ben altra cosa rispetto ai nostri), senza renderci conto che guardando le cose in prospettiva ci avremmo riso su (mi ripeto tanto per incasinare le cose e far saltare definitivamente i nervi all’eventuale lettore: tra l’altro Giorgio Panariello son quindici anni che non fa più ridere, più o meno come gli H-Blockx – che almeno si erano sciolti o ben più probabilmente erano spariti in Italia pur continuando come se nulla fosse in Germania, ma questo è un discorso che approfondirò i seguito o forse non approfondirò mai perché di Panariello me ne frega poco o nulla).

Torniamo a bomba al disco e smettiamo di farci seghe mentali: come suona HBLX? Suona come se una cover band da birreria – una di quelle tristissime che fanno cover dei Led Zeppelin tra una birra ed un panino, per intenderci – decidesse di svoltare iniziando a cercare di suonare disperatamente anni novanta, con tutti i cliché del caso: chitarre aggressive ma non troppo, pezzi strofa-ritornello-strofa, rappato alla terza traccia, basso che pompa, sei alla sesta traccia ti sei già scordato delle precedenti, alla ottava vorresti spegnere ma devi pur finire la recensione, il disco finisce ma ci riprovi, inizi da capo ma dopo il rappato della terza traccia esci e vai a fare spesa, ascoltando tra l’altro cose completamente diverse durante il tragitto in auto. Zero originalità, tutto è ai limiti del plagio dei Red Hot Chili Peppers (ed in misura minore e/o estemporanea anche Rage Against The Machine, Faith No More, Sugar Ray e –  la butto lì – Ugly Kid Joe) ed i suoni sono proprio quelli di una cover band dei Led Zeppelin (e dunque più vicini a Biagio Antonacci che alla storica band inglese), il che rappresenta un’aggravante dato che i Led Zeppelin hanno utilizzato uno squaletto appena pescato per sollazzare una groupie dopo un concerto mentre Biagio Antonacci l’hanno ricoverato a Forlì quella sera anche se la gente comune non ci crede; il fatto che gli H-Blockx avessero guarda caso messo uno squalo sulla copertina di Time To Move forse non significa nulla ma almeno serve a chiudere il ragionamento che avevo aperto due capoversi (o capiverso) fa e ciò mi rende estremamente felice (tra l’altro l’episodio del ricovero a Forlì con un salame nel culo è un po’ il jumping the shark della carriera di Biagio Antonacci, ma a questo punto mi fermo perché mi gira la testa – qualunque cosa possa voler dire l’espressione “jumping the shark” nel 2012, qualunque cosa possa voler dire il fatto che gli Extrema erano la backing band di Biagio Antonacci 1998 circa ma non l’hanno mai dichiarato a Metal Shock o a Metal Hammer perché il fatto di essere stati la backing band di Biagio Antonacci è un po’ il loro jumping the shark).

Chissà se sono felici anche gli H-Blockx. Chissà se ci credono o se stanno semplicemente cercando di rimanere a galla (potrebbe tornare minaccioso il discorso dello squalo e del salame nel culo, ma cerco di soprassedere perché il tempo a disposizione sta scadendo). Chissà se si rendono conto che nel 2012 se ne sono usciti con un disco che probabilmente non vale manco la pena di scaricare, perché se lo scarichi poi lo cestini senza manco scaricarlo o ben più probabilmente lo conservi in nome di un (tuo, ma anche della band) passato che purtroppo mai più ritornerà – figuriamoci acquistarlo. Poi, per carità, ognuno faccia ciò che vuole, ma vedendo come si trascinano band come gli H-Blockx a distanza di quindici anni dal botto vien quasi da pensare che all’epoca avesse molto più senso seguire il Deejay Time di Albertino con tanto di sparajingle piaac – cosa che tra l’altro io facevo con gran gusto nel caldo rifugio della mia cameretta, negandolo però in pubblico per non avere ripercussioni sul mio grado di prestigio socio-politico. Il fatto che dopo Time To Move gli H-Blockx se ne siano usciti addirittura con una cover di The Power degli Snap (con relativo, prestigiosissimo featuring di Turbo B in carne e minchia) sta giusto lì a confermarlo implicitamente, anche se mi dicono dalla regia che all’epoca gli H-Blockx stavano agli Sugar Ray come i Blur stavano agli Oasis ed io devo per forza essermi perso qualcosa.

(Ill Bill Laimbeer takes the m/f keyboard, surgela e vi vende il pezzo di Accento Svedese a tranci al mercato ittico di Natale, come fosse una cernia pescata da una paranza di Torre Lucia Annunziata o come il colonello Nunziatella Cacarello di Spaceballs)

Chiariamo subito una cosa: ogni pezzo deve iniziare che io riprendo quello di Accento Svedese e non c’è vià di scampo, è una scelta di campo che ritorna scelta di campo, o scelta di campus alla mela verde, anzi ancora una scelta di scampo che è quella di parlare di salami e voglio essere come Biagio Antonacci che si è giustificato dicendo che voleva omaggiare il salame di Jacovitti ma non ci crede nessuno, se lo ha detto yahoo answer! Deve essere per forza così che stanno le cose.

Il disco nuovo degli H-Blockx non l’ho ascoltato, avevo quelli vecchi nel freezeer da dieci anni e li ho scongelati perchè mi son reso conto che la chiave per capire certi fenomeni kulturali (con la k come Kossiga o meglio Klu-Klux Cozza, il mitilo razzista che è una sopresa kinder della serie delle cozze che è stata ritirata dal mercato e ora su ebray si trova a tantissimo: e io mi chiedo, perchè non hanno ritirato dal mercato Kozza Nostra, il mitilo mafioso?). Ho capito che la chiave di tutti i dischi pop come quello post-reunion dei Litifiba e questo degli H-black box (inteso come il gruppo italiano dei black box ride on time) sono o i pesci o i crostacei, lo disse Kurt Cobain e lo ribadisce Paola Maugeri che potete vedere nella foto che è ok mangiare il pesce e i crostacei anche se sei vegetariano e il salame ti piace gustarlo come Biagio Antonacci (che era assieme alla figlia di Gianni Morandi e si son lasciati in seguito ad una diatriba se sia meglio il caviale alla Morandi o il salame o i crostacei) godendo così della stima dei miei simili e per quanto sia nostalgico non sono stato mai da Paolo Limiti I limiti che ho li riconosco, sono cappuccetto rosso perso in questi sottoboschi artistici: perchè lo so mi vuole bene questo pubblico di nicchia, ma io mi sento piccolo come una lenticchia.

Insomma dicevamo: per parlare anzi scrivere dell’ultimo degli Eis Skank Block Bologna basta scongelare i dischi usciti fra il ’94 e il ’98 e sei già apposto, basta vedere il video di Risin High dove c’è (e ancora una volta qui torniamo) una aragosta che fa turntablism e gli scratch su un riff di chitarra per capire tutto non solo del disco nuovo e per cogliere al volo l’occasione manco fossimo ai grandi magazzini. Che poi non è solo questione di crostacei ma anche di pesci (o erano mammiferi) come delfini, tonni e sopratutto squali: gli h-blockx se li ricordano tutti per la copertina con lo squalo e allora non è un caso se sono stati copiati, anzi non copiati ma omaggiati, citati, plagiati ma situazionisticamente parlando da Elio e Le Storie tese e appunto dai Litfiba che non a caso hanno dichiarato di “essere lo Squalo” nel loro grandioso ritorno dell’anno scorso (e noi di Spadrillas torniamo solo quando si tratta di tornare col botto, anzi di tornare con la salma in salmì di Gianni Budget Bozzo, che ovviamente surgeleremo dopo averlo scongelato per venderlo a tranci al mercato di Natale, anzi al mercato Pasquale inteso come Pasquale Bruno detto ‘o animale: vaglia postale, fistola anale etc etc). E’ non è un caso che l’album dei Litifbia sia uscito in versione deluxe per le edizioni Lo Squalo. E visto che ci siamo è chiaro che c’entra la poderosa influenza dei film italiani di Enzo G. Castellari e di Sergio Martino e pure di Bruno Mattei: parliamo di film come Il fiume del grande Kaimano (poi ripreso appunto da Claudio Kaiamano Cingoli e pure da Nanni Moretti che però non ha accreditato questa influenza culturale pop): c’entra perchè non si può non rimanere influenzati da Franco Nero che con una parrucca bionda si getta da un elicottero per ammazzare un fake squalo (e infatti come si chiama il leader dei Pixies? Frank Black…), infatti ecco il perchè degli squali in copertina, ecco il perchè ora le uscite musicali più nnuove e rivoluzionarie si ispirano a film fatti come se il produttore del disco fosse Bruno Mattei con la supervisione di Claudio Fragasso: perchè quella è la chiave non solo delle reunion in campo musicale ma è l’essenza della musica vista come diffusore di cultura pop. Perchè soprattutto il caciucco è una specialità toscana e tutto torna: Giorgio Panariello e i comici toscani che non hanno mai fatto ridere tutti riuniti in quel programma là, Vernice Fresca dove c’erano Leonardo Pieraccioni che comunque aveva già fatto delle gags a Deejay Television e Giorgio Ariani indimenticato fake Pierino e Cecchierin. Ecco, l’essenda dei dischi pop è come il caciucco: piatto, realizzato con gli “scarti”, ovvero con ipesci meno pregiati preparato nelle galere cinquecentesche per sfamare i vogatori alla catene. In Toscana, il cacciucco, era inizialmente il pasto dei poveri e il termine ha assunto il significato di “mescolanza”: ecco insomma il perchè stiamo parlando di un disco che non ho ascoltato ma che è la quintaessenza (o anche i quintorigo, inteso come raglia ma non l’asino che raglia, la raglia quella che sembra talco ma non è e serve a darti l’allegria) del pop.

Ecco perchè per parlare di questo disco bisogna non parlarne ma parlare attraverso di esso facnedolo diventare come il caciucco pezzo talmente pop che è pirotecnico essendo piromane (perchè ricordiamolo: petomani si muore, ricordiamo anche il film il Petomane): è un salto con l’astice fatto usando come asta l’astio che abbiamo verso quella vacca di Paola Maugeri e il suo accento mangia cock(ney) reject e verso la sua vita a impatto zero. Il nostro invece è un impatto sottozero, come il film di Jerry Calà del 1987 e come Subzero di Mortal Kombat che c’aveva la meglio fatality secondo me, perchè bene rappresentava l’essenza del pop e anche quella del minculpop, di Pol Pot, di Pot Op (inteso come potere operaio) e delle purpette di mmerda di Diego Abbattantuono che ha fatto successo plagiando e copiando Giorgio Porcaro indimenticata star di SI RINGRAZIA LA REGIONE PUGLIA PER AVERCI FORNITO I MILANESI). Diego poi è noto che fa sesso coi pesci come Troy McLure dei Simpson però la fine di Troy McLure l’ha fatta fare a Giorgio Porcaro

E tutto torna al fatto che dopo Time To Move gli H-Blockx se ne siano usciti addirittura con una cover di The Power degli Snap (con relativo, prestigiosissimo featuring di Turbo B in carne e minchia) sta giusto lì a confermarlo implicitamente, anche se mi dicono dalla regia che all’epoca gli H-Blockx stavano agli Sugar Ray come i Litfiba stavano ai Diaframma ed io devo per forza essermi perso qualcosa ma giassapete che ho dovuto scrivere questa cosa perchè ogni pezzo pop inizia e termina con quello che è già stato scritto.

Bon, vado a mangiare che sono le 12.13, il pezzo è finito e poi devo andare a un mercatino dell’usato. E non è un caso che la pubblicità del caciucco Buitoni la faceva Abatantuono e la Buitoni era lo sponsor del Napoli di Maradona. Sono le 12.36 e vado davvero a mangiare, stavolta il pezzo è finito qui davvero, non ci penso nemmeno a rileggerlo e a editarlo.

http://spadrillasindamist.blogspot.com

Tanto se ribeccamo: KAOS


Per Dargen D’Amico il rap è fare finta che domani muori; per Kaos invece è morire ADESSO, in ogni istante, e per davvero. Capisci? È sempre stata questa la differenza. Non avere alternative, giocarsela fino in fondo, fino alla fine, senza un altro posto dove andare, senza un piano B. Poi certo è anche una questione di stile, ma quando sono le tue stesse budella che metti sul piatto senza ripensamenti è raro che sbagli, e se non altro puoi riuscire a sostenere lo sguardo quando vedi la tua immagine riflessa allo specchio – per quanto sia un modo di vivere che spesso possa portare e abbia portato a contraccolpi psichici devastanti. Ritrovarsi nei testi di Kaos significa rivivere ogni mazzata presa, ogni momento brutto, ogni rospo ingoiato, ogni volta che i secondi diventano millenni e fino all’ultimo degli attimi in cui si è stati nudi e inermi di fronte all’immane crudeltà dell’universo, il tutto amplificato per svariati miliardi di megatoni. Difficile pensare a qualcosa di altrettanto vero, non solo in ambito hip hop; forse giusto il sangue quando esce ad altezza polsi, a volte nemmeno quello. Doveva essere il suo ultimo disco Karma, l’album dell’addio alle scene, un estremo contributo alla scienza doppia h e poi levarsi dal cazzo con dignità immutata, lasciare infine che il microfono se lo litighino i vari intercambiabili turisti del flow e dell’umano, lavarsene pilatescamente le mani dopo oltre vent’anni di lotte contro i mulini a vento, perle ai porci e lacrime amare. Ma non si può negare la propria stessa natura e pretendere di sfangarla, sarebbe come dire da domani smetto di respirare: impossibile. E infatti Kaos non se n’è mai realmente andato, continuando negli anni a portare in giro il suo show, un irriferibile stream of consciousness di introspezione brutale dove si intersecano senza soluzione di continuità pezzi che sono chiodi nella carne per chiunque abbia saputo confrontarsi con la vita senza riserve, ogni tanto alternando ai live anche qualche djset confidenziale, lui comunque un faro per chi con la musica intrattenga rapporti che vadano un minimo oltre la semplice conoscenza. Nella seconda metà del 2010 le ristampe in CD di Fastidio e L’Attesa, entrambi introvabili da anni, sono qualcosa di più di un atto dovuto; oltre a dare a Cesare parte di quel che è sempre stato di Cesare, innescano un processo di storicizzazione del personaggio indispensabile soprattutto per chi quegli anni non aveva potuto o voluto viverli, per limiti anagrafici o chissà che altro – certo altri pilastri importanti mancano ancora all’appello (Merda & Melma, Neo Ex, per non dire dei featuring che sono parte del discorso almeno quanto la discografia ufficiale) – di fatto alimentando le speranze di una futura rentrée dell’uomo anche alla luce dei vari inediti proposti di volta in volta nei live più recenti, sorta di work-in-progress di pezzi che già si intuivano almeno di pari livello quando non superiori alle vecchie cose. Dottor K e Le 2 Metà le pugnalate più ferali, il primo una sorta di seguito apocrifo di Cose Preziose (“A 16 anni stavo messo male/ Vent’anni dopo: messo uguale/ Stesso antisociale“), la seconda qualcosa di molto vicino al concetto di canzone d’amore definitiva, in entrambi i casi materiale pericolosissimo, roba che ridurrebbe a brandelli una mandria di bisonti se solo i bisonti sapessero l’italiano. Lo scorso 11 novembre ecco dunque Post Scripta, titolo e copertina che nuovamente giocano con il messaggio di addio alle scene in maniera sempre più insistita e funereamente esplicita, in pratica un ‘al lupo’ a cui si spera nemmeno Kaos stesso creda più; otto pezzi per poco meno di venticinque minuti di pugni al cuore che per la prima volta in una carriera che ha da poco oltrepassato il quarto di secolo potrebbero effettivamente raggiungere più orecchie del necessario, grazie anche a un’esposizione mediatica esorbitante per gli standard a cui l’uomo ci aveva abituato (cioè niente di niente o quasi). Fa strano vederlo gesticolare nel primo videoclip della sua storia (non si contano i Radical Stuff e le partecipazioni ai video di Neffa e OTR), o ascoltarlo aprirsi ai microfoni di Carlo Pastore su Radio2, e non certo per improponibili baggianate “noi vs loro” in questo caso mai altrettanto inappropriate, di fatto il Don non deve dimostrare nulla a nessuno, quanto perché, citando alla lettera un commento apparso su youtube: Non è fatto per luci e telecamere, lui non se fotte veramente un cazzo di convincerti, lui non vuole piacerti, a differenza di tutto il resto dei burattini stereotipati con cui è costretto ad essere messo a confronto lui sta da n’altra parte, è n’altra pasta, n’altra stoffa, n’altra musica, non cambia identità in balia di mode e canoni, lui sta lì e ti racconta le sue storie, con i suoi tempi e il suo modo freddo e perforante di farlo.

Non è maestro di nulla, ma può insegnare molto a tutti.


Ascolta Post Scripta

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 6-12- giugno 2011

OI OI OI OI OI

 
E se un posto non ce l’hai 
Sono solo cazzi tuoi
Non vogliamo carità
Che nel culo te lo dà
(Steno)

 
La settimana comincia mercoledì  con il ritorno dei Luther Blissett in assetto jazzcore molesto all’XM24 per MeryXM (gratis dalle 20.30, con presentazione di libro, aperitivo, cena, ricchi premi e cotillon); per le teste metal in vena di black più o meno gelido più o meno sinfonico al Blogos arrivano gli stregoneschi Abigail Williams, i Dissection-cloni Thulcandra, gli allegrissimi Iskald e i nostrani Funera Edo (black metal dalla Romagna) e Inner (black metal dalla bassa emiliana). Dalle 19, quindici euro. Giovedì nella suggestiva cornice dell’ex night ed ex cinema porno L’Italico, ora riconvertito nello sciccosissimo Teatrino degli Illusi, arriva l’ex Birthday Party ed ex ‘Bad Seed’ Mick Harvey per una legnata di spleen australiano tra capo e collo (dalle 22, diciotto euro). Venerdì la scissione: all’Atlantide la Don’t Need Fest! con Social Circkle (hardcore punk zozzo e scostante in the vein of i soliti noti; non hanno un sito Internet), Citizens Patrol, i bandana thrashers delle due torri ED, Santa Banana e il supergruppo We’re Right! (dalle 21, quattro/cinque euro a discrezione di chi sta alla cassa), all’XM24 megafestival Circus of Sin con delirio ultradoom (Choriachi, Maya Mountains, Gum) + mangiafuoco, sputafuoco, gente che si appende ai ganci e dj-set molestissimi fino a pomeriggio del giorno dopo inoltrato (dalle 22, tre euro), prima serata del NODE Festival a Modena con Erik Deaf Center Skodvin (gratis), Crystal Stilts al bagno Hana-Bi a Marina di Ravenna (gratis), e last but manco per il cazzo least nientemeno che Kaos a Villa Serena (GRATIS pure questo). Mi sento male.
E sabato pure: primo concerto dei NABAT nella bassa (tutte le informazioni sul flyer più sopra), megafestival Spore a Granarolo Emilia 12 ore (dalle 18 alle 6) con Ittioidi, Luther Blissett, Life Out of Balance, ZEUS!, Travellers, a seguire dj-set per tutta la notte, a Villa Serena Joe Lally (gratis dalle 22), infine al Nuovo Lazzaretto mazzata ultramegadoom con Nux Vomica, Howling Machines e Black Temple Below (dalle 22, cinque euro). E può essere pure che in tutto questo delirio mi stia dimenticando qualcosa.
Domenica si va a votare, fanculo il mare.

 

bella sbra’

Cosa resta dell’hip hop in Italia dopo Merda & Melma (ancora oggi e per sempre l’ultimo disco di hip hop italiano)? Il disco dei Cammelli (che comunque è NIENTE rispetto alle jam dove umiliavano chiunque con una scioltezza di cui mai più rivedrò l’eguale), Karma di Kaos, gli scratch dell’Alien Army, DJ Gruff. In tutti i casi gente che c’era fin dall’inizio, il resto solo macerie o quasi; certo il Colle è ancora in giro, certo Assalti continua a cantare e non mandare in letargo le menti ma con tutto il rispetto (infinito) e la stima (immutata) Mi sa che stanotte… non è Terra di nessuno e Un’intesa perfetta non è Conflitto, e comunque sempre stiamo a parlare dei soliti sospetti, di istituzioni che nascono negli anni novanta e il meglio l’hanno dato negli anni novanta. Della merda che passa ora il convento è meglio ignorare l’esistenza per non farsi venire il sangue amaro. Il rischio di ridurre l’intera faccenda a poco meno di una riserva naturale della mente dove dimorano tutti i bei ricordi di tempi aurei che non torneranno mai più diventa ad ogni nuovo giorno una certezza. Meno male che poi Rockit mette in streaming l’ultimo album di DJ Gruff: uscito ufficialmente nel novembre scorso, di fatto praticamente irrintracciabile (a parte poche copie su Vibra, subito bruciate, la sola prova dell’esistenza “fisica” del disco), Phonogruff è un capolavoro assoluto ad ogni livello. Nella qualità delle basi e degli scratch (di cui da sempre Gruff è maestro indiscusso), nella superiorità genetica delle rime (“ho gli stili che v’erano e verranno, ho più versi di quelli che saranno, con più amaro di Saronno, in storie che capirete forse quando sarò nonno“), soprattutto, nella scelta dei sample che in maniera agghiacciante e ineccepibile raccontano della crisi profondissima che stiamo attraversando (in Condividere i valori viene campionato anche quel maiale di Prosperini, per chi non avesse avuto il piacere, un pezzo di merda che predica male e razzola peggio, che manco è riuscito a farla finita quando stava al gabbio). Un disco raggelante, cupissimo (a parte rare aperture come Tinnila a tutti o la rendition di UUU – di cui comunque, per quel che vale, continuo a preferire l’originale), carpenteriano; un disco che dice dell’Italia molto più e molto meglio di chiunque altro, che proietta l’hip hop italiano al livello successivo. Se ce ne sarà uno: dice che questo sarà il suo addio al rap, speriamo che ci ripensi.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 7-13 febbraio 2011

 

"Ah, se soltanto potessi incontrare Karol Wojtyla adesso, gli chiederei: 'Scusi, sa che ore sono?'"

 

Stasera dubbio amletico e kierkegaardiano: i Gay Beast gratis al Clandestino (dalle 22) o Giovanni Sollima al Manzoni? Da una parte il miglior gruppo Skin Graft degli ultimi tempi, dall’altra il violoncellista più viscerale e violentemente geniale dopo Mstislav Rostropovič, alle prese peraltro con un repertorio da paura; scelte impegnative. In compenso martedì a parte i Darkest Hour (più altri bulletti palestrati a random) al Sottotetto (dalle 20, venticinque euro) non credo ci sia altro. Mercoledì prosegue la rassegna MeryXM con la presentazione di un libro e un documentario sullo sport più bello del mondo, e a seguire concerto pestone degli spinellosi Fuzz Orchestra, il tutto come sempre assolutamente gratis da orario aperitivo in poi; parallelamente, al Bartleby per mercoledì jazz suonano i Life out of Balance (Miguel Martins – chitarra, Marcelo Araùjo – batteria, Alphonso Romeo – basso, più Guglielmo Pagnozzi al sax). Gratis, dalle 21.
Giovedì mi sa un cazzo, almeno per ora (c’è Morgan da qualche parte, però non so voi ma io le basi preferisco farmele con qualcuno meno aggressivo). Venerdì si skippa in scioltezza tanto Band of Horses all’Estragon (dalle 22, diciotto euro e se portate la barba più corta di 10 centimetri non potete entrare) quanto Perturbazione al TPO (dalle 22, prezzo ignoto. E, per la cronaca: Agosto è un pezzo dei Diaframma) per Kaos al Garage (dalle 22.30, dieci euro, il problema è che prima di lui ci sono sette crew e vai un po’ a sapere chi vale qualcosa lì in mezzo…): smiroldi e giaccaloni alla larga.
Sabato se avete mal digerito la svolta baciapile-coccolapreti-leghista del Lindo probabilmente non sarete all’Estragon a sentirlo cantare con gli Üstmamò come backing band: cazzi vostri. L’importante è che poi tutti all’XM24 per la serata di autofinanziamento della palestra con concerti, djset molesti a oltranza e tante altre simpatiche attrazioni: maggiori informazioni in settimana. Domenica Ojm al Nuovo Lazzaretto (dalle 22, prezzo ancora da stabilire): cannoni. (Per i fessi e gli amanti dell’orrido – e devono essere tanti visto che la data è sold-out – all’Estragon suonano i Sum 41. Dieci anni fa a questa gente gli tiravano le pietre…)