Continuo a non capire come mai Matt Elliott abbia voluto rispolverare l’antica ragione sociale Third Eye Foundation, dal momento che poco o nulla è cambiato rispetto alla più recente fase nel segno delle ‘Songs‘: la materia sonora di The Dark è infatti praticamente la stessa di prima, strati su strati di dolentissime note di chitarra piano violini tzigani il tutto poi riprocessato elettronicamente e mandato in loop sopra un coro di “oooh oooh” fantasmatici da qualche parte lontano nella nebbia, giusto con qualche spippolamento in più di manopole sul campionatore (ad opera dell’amico Manyfingers e di un tizio francese che si fa chiamare “Cappellaio Matto“). L’unica vera differenza è che questa volta non ci sono più i testi, sostituiti da lamenti senza parole che racchiudono in sè tutta la rabbia e l’impotenza e la frustrazione e la disperazione del mondo; ma il mood da guerra armata, da resistenza silenziosa, da ingiustizie incassate e soprusi mandati giù con la sola forza della speranza in un riscatto che tarda a manifestarsi, quel mood è lo stesso di sempre. Ogni suono, ogni movimento, ogni passaggio di un album letteralmente commovente per ispirazione e rigore non è altro che la resa in musica del furore dei vinti, dello sdegno dei milioni di umiliati ogni giorno dai maiali che ci circondano. Fin troppo emblematici in questo senso i titoli: Anhedonia (termine psichiatrico che descrive l’incapacità del paziente a provare piacere), Pareidolia (da wikipedia, la tendenza istintiva e automatica a trovare forme familiari in immagini disordinate; questo è il secondo risultato che compare digitando “pareidolia” su Google Immagini), fino alla conclusiva If You Treat Us All Like Terrorists We Will Become Terrorists, che se ci pensate bene è l’esatta condizione in cui viviamo attualmente. The Dark è probabilmente il disco “politico” tout-court del decennio, secondo solo a Omega di Robert Hood, pilastro assoluto di radicalità e visceralità morale pressochè impossibile da eguagliare; emblematico che in entrambi i dischi non venga pronunciata una sola parola.
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Affanculo i Pixies.
Andare ad adorare quella palla di merda sudata di Frank Black, il filippino, Kim Deal che ora è diventata una strega orribile e Quell’Altro alla batteria lo lasciamo agli scemi senza fantasia, con tanti soldi da buttare e la passione per il karaoke. Chi sta in zona e ha voglia di massacrarsi i timpani con una scarica di gruppi crust alla vecchia può dirigersi all’Atlantide dalle 18 in poi – meglio se opportunamente bardato di maglia degli Impact senza maniche, calzoncini sbrindellati, scarpe sfondate e giubbotto di jeans senza maniche con tante tante toppe marce e loghi improponibili. Nella ricchissima scaletta che potete ammirare qui sotto ci sono anche i leggendari Death From Above, coloro che, in tempi recenti, fecero innervosire quel fighetto di James Murphy costringendolo a cambiare il nome della sua etichetta in DFA, e misero i bastoni fra le ruote agli insulsi Death From Above 1979 (che dovettero aggiungere, per l’appunto, il “1979” alla ragione sociale) – e anche soltanto per questo meritano rispetto infinito. Ricordiamo ancora una volta che domenica in tutto il mondo è il National Day of Slayer.
P.S.: chi indovina a chi assomiglia in maniera scandalosa il logo dei Discarded vince un pasto vegano o un trattamento antipulci per pitbull.