Tanto se ribeccamo (speciale crossover): SYSTEM OF A DOWN

I System Of A Down hanno iniziato a starci seriamente sul cazzo, pluralia maiestatis, ai tempi di Steal This Album. Prima di allora li avevamo giudicati grandiosi o quantomeno sopportabili. Per certi versi erano il gruppo giusto al momento giusto: iniziavano ad operare pubblicamente nel ’98 ed erano probabilmente il primo gruppo crossover (o nu-metal o come lo volete chiamare) non-elettronico di quegli anni in cui la componente rap non c’era, o era talmente teorica che potevate tranquillamente taggare tutti gli sproloqui in materia alla voce “fregnacce”. Avevano iniziato a suonare in giro, s’erano fatti una buonissima reputazione ed erano stati presi sotto l’ala di Rick Rubin, geni intoccabili ancor prima che uscisse il disco d’esordio e santi subito una volta uscito il disco. Era un bell’album, d’altra parte: una specie di incrocio tra Faith No More e Dead Kennedys con le chitarre ribassate e un paio di lievissimi accenti zingareschi per confondere le carte. Si diceva che la band scricchiolasse un poco dal vivo, in realtà: una cosa è riuscire a tirar su un bel concerto di fronte a cento/duecento persone, una cosa è venire sbattuti tra i gruppi di punta dell’Ozzfest dalla mattina alla sera. Erano anni di cambiamenti repentini: s’era creata una specie di seconda generazione del nu-metal che guardava con sospetto a gente in attività da anni, tipo Korn o Soulfly, e affidava le chiavi del regno a gruppi tipo Snot, Slipknot, SOAD, (Hed)pe, Puya et similia. Tre anni dopo era –grossomodo- tutto finito. S’era capito che gli (Hed)pe erano un gruppo rapmetal normale, magari un po’ più schizzato della media; il cantante degli Snot era morto e la band era diventata un autentico vivaio di turnisti per una dozzina di gruppi metal di successo; i Puya erano roba per metallari di passaggio con una tossicodipendenza da cocktail con gli ombrellini, gli Slipknot erano in preda a un delirio di onnipotenza tr00 metal che ha allontanato la parte significativa della loro fanbase in favore di gruppi death veri e propri (come era giusto e logico supporre). Al contempo i System of a Down semplicemente ESPLODEVANO: i live s’eran fatti più belli e il gruppo aveva iniziato a girare truccato. Nel 2001 esce Toxicity: quattordici pezzi che sono il risultato di lunghe registrazioni in studio, ancora assieme a Rick Rubin, che hanno fruttato una trentina di canzoni pronte. Il disco contiene tre o quattro ballatone metal che sono probabilmente le cose migliori a cui la band metterà mai mano (Chop Suey, la title-track, Aerials), in mezzo a una scaletta che negli episodi più veloci suona già di seconda mano rispetto alla brutalità dei migliori momenti dell’esordio. Il disco va benissimo, il gruppo diventa la cosa più redditizia del rock pesante d’oltreoceano, nonostante l’immaginario riottoso della band li abbia resi (dopo lo scioglimento dei RATM) la principale voce di protesta per under-16 dell’America neocon di George W Bush. Fino a qui, tuttavia, tutto bene, a parte una parentesi piuttosto comica nella quale Serj Tankian afferma candidamente in sede d’intervista di non avere mai ascoltato i Dead Kennedys prima dell’uscita del loro disco d’esordio. Poco importa, i punk alla fin fine sono una minoranza assoluta tra i loro fan.

Il problema, dicevamo, arriva a brevissimo. I brani scartati delle session di Toxicity finiscono in rete e iniziano a circolare con un successo senza precedenti: non saprei dire se la band avesse in programma una mossa stile Amnesiac, nel caso si vede presa in contropiede e fa buon viso a cattivo gioco pubblicando il disco come se fosse un masterizzato (e la scritta STEAL THIS ALBUM! a pennarello sulla copertina), giustificandolo con la solita scusa dei rough mix (ai tempi andava alla grande: “le versioni in rete non sono finite! qua non ci sono le sovraincisioni di chitarra! questo brano in realtà ha un altro titolo!” etc). Il contenuto sembra una serie di scarti delle session di Toxicity, essendolo: pezzi scrausi, pezzi non all’altezza, un singolino, poco altro. Negli anni in cui esce è in corso la prima e più violenta battaglia delle case discografiche contro il download, quel periodo buio fatto di cd watermarked, cause multimilionarie e triccheballacche assortiti. Fu terribile vedere svilupparsi l’operazione, da cui i SOAD si dissociavano un po’ con la mano sinistra mentre allungavano la mano destra sui contanti. Tre anni dopo la cosa si ripete più o meno identica: il primo singolo BYOB è pauroso (inizia con un riff che sembra uscire da un disco dei Maiden), ma i due album  in uscita (Hypnotize e Mezmerize, realizzati in contemporanea e rilasciati a pochi mesi l’uno dall’altro, tipo l’ultimo film di Harry Potter) sono robetta. Nessuno se ne accorge, ovviamente: a questo punto i System Of A Down sono diventati, non so ben dire a che titolo nè tantomeno quando sia successo, i Metallica della loro epoca. I fan della prima ora se ne sono andati quasi tutti, per motivi sostanzialmente fisiologici. Dopo il tour il gruppo si scioglie, utilizzando la formula fugaziana del cosiddetto indefinite hiatus. Nel frattempo i singoli membri si sono dati alla pazza gioia: etichette, progetti umanitari, dj set, altri gruppi eccetera. Quasi tutta immondizia, ma il primo disco uscito per la EatUrMusic del chitarrista Daron Malakian è Death Before Musick degli Amen, uno dei migliori album degli anni duemila. Quello che sta messo meglio, tra gli ex-SOAD, è il cantante Serj Tankian, vale a dire l’ovvia prosecuzione dell’impresa SOAD (rock zingaresco con proclami a metà tra poesia e rivolta) negli anni del più grande successo: esce fuori nel 2007, un anno dopo lo scioglimento, con un solo-album di cui è anche produttore. La sua backing band si chiama Flying Cunts of Chaos (per un certo periodo ne farà parte anche Larry Lalonde), il disco si chiama Elect the Dead. Si tratta di una violentissima mazzata nei coglioni che impone di rivalutare gli ultimi SOAD. I quali si riformano in pompa magna per un giro dei maggiori festival europei nell’estate del 2011, non abbastanza in fretta da impedire al cantante di fare uscire un secondo disco a suo nome. Naturalmente in Italia NON suonano proprio ad un festival: la data milanese è un concerto dei SOAD punto e basta, con una manciata di gruppi spalla. Il più rilevante è Danzig, seguono i Sick Of It All –in mezzo alla promozione del loro disco più brutto- e altra gente tipo Anti-Flag. La dimensione di un evento a volte è quella monetaria: il concerto dei SOAD costa più del Big Four. Per dire.

Ed è sold out.