La musica viene meno. Bastonate sponsor ufficiale CESENA CALCIO 2010-2011. Il patto è o scudetto o il presidente Attila Csihar ci dovrà restituire i miliardi investiti per far indossare ai calciatori quei pantaloncini neri che a noi ricordano la fogna da cui veniamo (l’heavy metal). Sebastiano Rossi, Amarildo e il Condor Agostini. Ebbri di gioia, tutti in riviera.
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Ulver @ Teatro Rasi, Ravenna (19/02/2010)
La maggior parte delle persone con cui parli è, sai, gente con cui non vuoi avere niente a che fare. Al lavoro ci vai avanti per due ore, poi torni a casa e magari ti chiama qualche amico per un film che non hai voglia di vederti o la ragazza con cui esci ti vuole assolutamente raccontare del vicino che è stato beccato con la collega di chi. Magari ti chiudi in casa e ti metti a cazzeggiare su internet e trovi il a un qualche funblog tematico, tipo quelli con le foto degli elettrodomestici che somigliano ai divi di Hollywood. Oppure ci sono cene di lavoro, riunioni di parenti, altri film ugualmente brutti, concerti, libri da leggere sempre più simili l’uno all’altro, pezzi da scrivere, partite, profili facebook da guardare o lurkare o stalkare, parole del genere da cercare su google. Non vorrei fare il depresso con la puzza sotto al naso, ma diciamo che ad un certo punto qualcuno può fiutarla e decidere di chiudersi a riccio sulla sua cosa e dare di sè meno informazioni possibili. Come dire, insomma, che posso capire sia perchè gli Ulver hanno deciso di smettere di fare la musica che facevano e di farne altra, sia perchè hanno deciso di non suonare più dal vivo e iniziare a lavorare ad altro. Gli Ulver sono nati con una scopa su per il culo in mezzo a un giro di gruppi con una scopa su per il culo. Hanno fatto quel che potevano con il materiale che si trovavano sottomano -e ne sono venuti fuori dei dischi incredibili. Poi si sono semplicemente rotti i coglioni e hanno iniziato a suonare altro. Il disco dopo l’han chiamato Metamorphosis, giusto per non dare adito alla gente di pensare che dopo le tastierine di Burzum e tutte le quintalate di merda dei dischi di un Mortiis ci toccava sentire un altro pezzente che spostava l’asse non si sa bene di cosa. Hanno tirato fuori un disco più bello dell’altro, a partire da Perdition City ed arrivando all’ultimo Shadows Of The Sun.
La cosa figa degli Ulver è che hanno mantenuto un atteggiamento talmente elitario ed austero da riuscire a mantenere una parte del loro pubblico anche suonando simil-triphop (non rompere il cazzo, ho detto simil). L’anno scorso hanno suonato dal vivo a non so che festival del cinema norvegese e hanno fatto il pieno di gente. Sembrava una cosa estemporanea, così all’appuntamento si sono presentati -ovviamente- soltanto blackmetallari avanguardisti della prima ora. E poi invece hanno deciso di allungare il brodo e ricominciare un intero tour.
Così mentre quello sotto continuava a drogarsi di festival di Sanremo ho deciso di prendermi un day-off e provare la scalata ai miei ventun anni andandomi a vedere gli Ulver dal vivo. Non è quello che dici il concerto che più aspetto di vedere da tutta la mia vita di ascoltatore (un triste e inutile primo posto che purtroppo va ancora ad un’ipotetica reunion degli Husker Du), è più come quando fai la playlist dei gruppi che non riuscirai mai a vedere e invece -sorpresa- te li spari dal vivo. Come quella volta che ho visto gli Smegma, metti caso.
La sorpresa più sorprendente è che il giorno stesso viene annunciato un live-spalla di Attila Csihar. Il tempo di accomodarsi dentro al teatro (fuori c’è il banchetto degli Ulver con qualcosa come venti magliette diverse e abbastanza vinili e CD da tirar su il PIL della Norvegia di un punto percentuale, considerata la gente che s’affolla davanti) e inizia. Il progetto solista di Attila Csihar, se ve lo chiedeste mai, è lui che usa un microfono, qualche macchinetta e una decina di candele. Bofonchia cose a caso (magari sono i testi più belli del mondo, ma sono in ungherese) e alterna sussurri a voci gracchianti, filastrocche per bambini dementi, canto armonico e un paio di urla, tutto luppato con le distorsioni che capitano. Attila può essere capace di grandi momenti di musica, ma non stasera e non da solo. Ci piace come guest-star a caso in qualche progetto figo -come del resto è stato il suo ingresso nel pantheon del metal estremo- ma in questa sede sembra quasi una condanna a guardare il me stesso diciannovenne che adorava tutto purchè fosse sinistro e imperscrutabile, a maggior ragione se fatto col culo e/o salvato da qualche miracolo del tecnico del suono dietro al mixer. Un sacco di gente comunque mostra di apprezzare.
Poi gli Ulver. Iniziano col brano che apre Shadows Of The Sun (e del quale non ho voglia di controllare il titolo) e vanno avanti. La gente si raccoglie subito in uno strano silenzio raccolto e rispettoso, dico strano perchè il pubblico è composto per il novanta per cento da metallari con i capelli lunghi fino al culo e per il nove per cento da metallari che se avessero ancora i capelli li porterebbero lunghi fino al culo. Il silenzio la band se lo merita, comunque: partono incerti ma iniziano ad ingranare dopo metà. Su un telone gigantesco scorrono dei visual inaspettatamente fighetti e sicuramente fighi: tette, culi, nazisti, lupi, alberi, tramonti, pianeti e parti del corpo umano in sequenza più o meno casuale (o no): copre l’abside della chiesa in cui è scavato il palco, ma non ne senti la mancanza (se qualcuno degli oltranzisti presenti l’avesse visto magari sarebbe stato tentato di dar fuoco al teatro). Una metà secca di concerto se ne va via su aperture di stampo prog, che è brutto da dire ma è comunque il modo migliore per spiegarsi. Formazione a sei o sette elementi, un sacco di strumenti musicali, voci calibrate, suggestioni nordiche come se nevicasse. Il limite principale del gruppo è la scarsa esperienza dal vivo: non passano la vita a suonare in giro per i posti, il che è figo per creare l’evento ma se vuoi spaccare DAVVERO su un palco non è la scelta giusta. Funziona molto meglio quando si ributtano sulle cose ambient, con il cantante che sussurra con la voce pulita più bassa che sia dato conoscere e il piano che scandisce tempi rilassati e sempre minacciosi. Niente bis e tutti a casa. In qualche modo l’unicità della musica che fanno li salva da ogni giudizio di valore, e la loro scelta di far pesare il meno possibile una presenza ingombrante e maestosa è qualcosa a cui oggi domani e dopodomani mi piacerebbe aderire incondizionatamente. E poco ma sicuro, gli Ulver sono davvero la musica che suonano. In positivo e in negativo.