Pikkio Music Awards 2k14 (parte 3)

L’intro è nella prima parte e i premi minori nella seconda leggetevele se volete capire il 2k14 in musica!!!

E ora ecco i  Pikkio Music Awards presentano i DISCHI DIO DELL’ANNO 2k14 IN ORDINE ALFABETICO ANON !!! perché la classifica è un’illusione del diavolo (i titoli sono cliccabili in quanto full streaming ascoltabili!).

Aphex Twin – Syro

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E’ ovviamente l’unico vero disco DIO.

 

Actress – Ghettoville

ghettoville

Actress (al secolo Darren Cunningham) venne a Roma l’estate 2k14 per suonare ad un festival, ma poi non si presentò. La colpa fu mia perché lo bloccai sulla metro b per intervistarlo su Ghettoville in quanto DISCO DIO, va bene?
“Ghettoville nasce da un sogno speciale che feci, in questo sogno dopo aver fumato un botto avevo l’illusione di far parte di una certa Voodoo Posse. Ecco il disco parla di Balotelli se fosse povero a Bergamo. No anzi è come se mi rappassi me stesso attorno a me.”
A Darren ma che cazzo stai a di? Nun c’ho capito un cazzo e hai pisciato un live solo per dirmi kuesto? 6 1 grande!!! Tornando a noi Ghettoville è DISCO DIO perché il suo sgrakkio, i suoi rallentati sciolti groove fatti di polvere di mp3, trasportano in menti altrui di gente che popola lo sprawl urbano. La musica e l’ambiente di Ghettoville è quello dello speaker dello smartphone o delle cuffione rotte di sto sfattone mentre si va a prendere uno skrokkio di fango al distributore della metro dietro casa, mentre balla con la sua posse, mentre fa il romantico con la ragazza del ponte, mentre ragiona su se stesso, per poi tornare in mezzo alle enormi catapecchie di foratini e acciaio degli gnomi spacciatori. Così facendo ti fai un viaggio cyberpsychunk 20k0 particolarissimo che mostra cosa c’è sotto l’HD dei grandi agglomerati urbani: un gran casotto di scarti prodotti dal risukkio dell’instikkio; tanto pure loro (gli scarti) finiranno li nel crystal universe 049b. I HAD A SPECIAL DREAM VOODOO POSSE CHRONIC ILLUSION.

D’Angelo and The Vanguard – Black Messiah

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A fine 2k14 è arrivato, risukkiato a stekka nel mese di dicembre, sto disco MAESTOSO così: BAM!, tipo una minkia in faccia!!! D’angelo, eroe del “nu-soul” fine ’90, sbroccò dopo aver creato il riassunto delle canzoni e musica black tramite astrazione del groove in quel MONOLITE di Voodoo. D’altronde chi tocca i monoliti sbrocca sempre, figuriamoci chi li crea! Per nostra fortuna non so come (un mix di incredibile forza di volontà e gente preziosa tipo ?uestlove dei Roots) D’Angelo si è ripreso e incoronandosi giustamente come Black Messiah ci ha donato la sua visione più aperta, meno astratta, ma non meno sorprendente, de LA STORIA (pisello) RIDDIM. Ci stan sempre Sly Stone/Miles Davis/James Brown/Prince/P-Funk e mille altri, ma c’è sopratutto D’Angelo stesso e la sua voglia di riappropiarsi, a sto giro, anche del rock. Ma sopratutto c’è tanta voglia de suonà de cristo, con suoni de cristo re (il suo produttore è uno dei pochi da cui posso sorbirmi i pipponi sull’analogico visto come usa bassi a mitraglia scaturiti da non si sa quale ragionamento malato di D’Angelo e che paiono triplette footwork ma so fatti col classico metodo del nastro dei pacchi regalo), con gente de cristo re, e con pezzi de cristo re. Tutto ciò rende Black Messiah il mio disco TOTAL preferito degli ultimi 10 anni credo. Il che lo fa anche mio disco rock preferito degli ultimi 10 anni. Con buona pace dei vari ripoff total rock che ci sono in giro tipo gli …………………….. (riempite voi i puntini con qualche band di quelle tipo Arcade Fire etc.) Ogni battuta su Nino D’Angelo (e quell’altro comico cretino) verrà punita con violenza inaudita quando meno ve l’aspettate.

Fhloston Paradigm – The Phoenix

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IL disco DIO PHUTURO dell’anno e miglior disco Hyperdub mai fatto (insieme a quelli di Kode9, Burial e DVA). Questo è l’ASTROBLACK 2k14 pari merito con Afrikan Sciences di cui dicevo nel precedente PMA. Sviaggi di arpeggi cyber acidoni, ritmi techno che si scontrano con spazi bass/step come se le macchine volessero liberarsi in jam funk/jazz, tappetoni di pad tra Blade Runner e Ghost In The Shell. Ci sono persino pezzi soul/lirici di future dive pop da spazioporto. Il tutto fluisce perfettamente grazie alla colla del groove (dietro il nome Fhloston Paradigm c’è un king dei beat come King Britt) e al concept dichiaratamente sci-fi: ogni brano nasce come sonorizzazione immaginaria di film di fantascienza amati da King Britt, con vari portali a introdurci in differenti scene. Ecco immaginatevi la tradizione afrofuturista applicata come colonna sonora dei film sci-fi della vostra vita! Vero e proprio NEGROPHUTURO.

Flying Lotus – You’re Dead

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Dopo l’asfalto lo sciolto di Los Angeles, lo spazio tondo di Cosmogramma, e la meditazione interiore di When the Quiet Comes la nostra Lotulla Volante non poteva non esprimersi in un vero instikkio-concept. Ricordiamo come l’anno scorso i Boards Of Canada abbiano tentato l’instikkio tramite antichi rituali egizi. Giusto quindi che Flying Lotus recuperi tradizioni dei propri antichi antenati egizi! Per l’occasione il nostro ha comprato un turbocompressore dell’anima e ci ha buttato dentro tutta la sua esistenza (dall’amata free spjazz fusion agli amati videogiochi, dall’astroblack al dillatude, dallo sgrakkio rap al warpismo) per instikkiarla in una piccola puntina sonora. Quando noi andiamo a ripodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in faccia, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni live perfettamente morte dentro un’organizzazione da slittamento digitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a richiudere proprio li dietro la vostra nuca, in una piccola puntina sonora. Quando andiamo a riprodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in faccia, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni ilvz perfettamente morte dentro un’organizzazione da skrikkiamento digitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a instikkiare proprio li dietro la vostra nuca, in una piccola puntina sonora. Quando andiamo a riprodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in lfacc, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni kazz perfettamente morte dentro un’organizzazione da skroitamento zenitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a riinstikkiare proprio li dietro la vostra nuca, in una puntina sonora.

Golden Retriever – Seer

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Synth modulare, clarinetto basso e lezioni di giovani montagne in just intonation. Ma pure pianoforti monofischi tagliaincollini. Ma anche cani fluffosi che guardano in estasi la valle che devono controllare spandersi attorno a loro, quei cani son dorati. Quel doro dei cani è materia sopraffina con cui il duo americano Golden Retriver ha creato il capolavoro di pura e cristallina eufonia che mancava alla recente generazione VIAGGIO/SVIAGGIO americana, di quelli che “er modulare/er drone”. Pare che infatti in Seer i Golden Retriever siano riusciti, attraverso particolari accorgimenti scientifici al limite dell’esoterico/alchemico, a sintetizzare in musica proprio il doro dei cani dorati. In realtà Seer è semplicemente un disco di psichedelia NaTuRaLiStA e minimalismo americano, per farci scrutare oltre al risukkio ed espandare la nostra mente verso nuovi universi.

Luke Abbott – Wysing Forest

luke

“Avete mai sentito il suono di una foresta che vive?” Me lo ripeteva sempre Guinnevere, la mia maestra dell’elementari. Noi bimbi tendevamo le orecchie verso la magica foresta che si affacciava fuori la finestra della nostra classe e rispondevamo convinti “si maestra lo stiamo sentendo proprio ora!” e lei “no quelli sono gli uccelli! la sentite la foresta che vive?” e noi ci rimanevamo male perché ‘sto phaNtoMaTico suono proprio non lo sentivamo. Finalmente a 32 anni posso ascoltare questo suono e se volete potrete ascoltarlo anche voi! E’ il suono della musica di questo DISCO DIO che Luke Abbot (druido inglese) ha creato in un ritiro nella Wysing Forest portandosi appresso il suo armamentario di sintetizzatori modulari allacciandoli al suo cervello e alle radici degli alberi per poi cavarne ritmi, melodie e magike armonie. Se il compare (e boss) James Holden aveva creato l’anno scorso (in The Inheritors) il suono dei rituali magici del moderno druido matemago, qui potrete ascoltare il risultato di uno di questi rituali: il rituale della foresta che parla, che lentamente si muove, balla persino, e che fa ovviamente sviaggiare. Wysing Forest ricrea vita di foresta anche in luoghi privi di significative foreste. Ricordo quel momento magico d’una notte di mezza estate, sull’ardeatina: Amphis (reprise) veniva riprodotta dallo scatolo dei suoni avvolgendomi mentre scivolavo nel caldo stagno blu, li in profondità la musica di Luke Abbot era in armonia con i riverberi di luce subacquea dei coleotteri notturni. Lentamente riemersi a galla a pancia in su e mi si rivelarono le stelle sopra di me mentre Wysing Forest sfumava via sentendomi parte del TUTTO. NATURALISMO.

Nastro – Terzo Mondo

nastro

I Nastro sono una delle mie band italiane preferite di sempre, proprio ever and evah 3000. Prima forse avevo dei motivi personali essendo band formata da due artisti, geni della vita, che conosco di persona (Manuel Cascone e Francesco Petricca) e che tanto, a loro insaputa, hanno contribuito alla mia pikkiomania. Ora però con questo disco i Nastro mi si sono instikkiati nella mente come tra i pochissimi ad affrontare e riportare la realtà odierna in musica, in maniera non codificata, estremamente personale, eppure saldamente ancorata a degli archetipi ben riconoscibili (di base tribalità ossessiva ritmica). O vi giuro che per me i Nastro battono i Black Dice sull’argomento asfalto traffic riddim, forse sarà perché hanno fatto il disco più SGRAKKIO SECCO SGRAKKIO TRAKEA che esista. Registrato con un telefonino, pentole e dark energy (e pifferi ed effetti etc.) il Terzo Mondo creato dai Nastro è un trip skrotomaniaco nell’esteso confusionario agglomerato umano/urbano di oggi. Un Terzo Mondo nato nel caos tra Roma (e i suoi trenini arruginiti ancora esistenti) e Latina (e le sue inedite campagne con immigrati che zappano il gombo) che in realtà pur non c’entrando nulla con techno/il clubbing/er cazzo uk è più vicino a Ghettoville di Actress che ad altro, condividendo entrambi un’amore per l’attuale strada che stiamo vivendo. Se in Actress però si sogna in maniera esistenziale nell’odierno sprawl, coi Nastro ci si vive per davvero senza schermi, senza scazzi, anzi partecipando e divertendocisi pure. Cellulari che rimbalzano da una parte all’altra informazioni di un tram affollato, persone che rimbalzano dentro a un camioncino scassato, il min amp portatile di un suonatore rompicojoni, pezzi di cassette di frutta, persone che si urtano perché hanno gli occhi sullo schermo, un motorino, echi di qualche musica truzza, etc. Tutto un globale incastro d’umanità sintetizzato alla perfezione in incastri ritmici, come moderno voodoo concreto delle vite 2k1x underground di tutto il mondo. E poi viene tutto risukkiato nel cesso.

Panoram – Everyone is a Door

panoram

Grazie agli esperimenti del coso che rotea particelle in svizzera si è scoperto che tutti quanti gli esseri umani sono una porta e ogni porta è un mondo. Panoram si è dunque munito della sua famigerata panoramica de gristo (che in musica si traduce in caldi tappeti melodici/sonori di synth super espressivi, e in accorti geometrici funk astrali) per documentare le viste più curiose e poetiche di alcune di queste porte. Il risultato è meraviglioso, dei bozzetti visionari che non superano mai i 3 minuti e mezzo, come un vero e proprio moderno disco di library music (no retromanie, no nostalgie) atto a trasformare le pareti della vostra stanza (o del vostro cortile, o del vostro kuore) in diversi scenari in cui perdersi. Il paragone più vicino potrebbe essere un eventuale raccolta degli skit dei Boards Of Canada, ma Everyone is a Door ha modalità e suoni diversi, c’è un personalità particolare nella trama sonora che risulta sempre lucida scintillante a volte skrokkiante, mai sfocata memoria. Il trucco è che Panoram dosa alla perfezione gli elementi nello spazio sonoro, ma questa perfezione è piena di particolari sfasature spaziali atte a mostrare cosa potrebbe esserci al di la di una certa vista, allargando l’ascolto verso ipotetiche altre porte sonore, in un risukkio continuo verso diverse dimensioni. Praticamente un compatto DISCO DIO per tutti i giorni, ma che può generare altri DISCHI DIO a seconda del vostro grado di attenzione. Un risultato più unico che raro!!! (erano anni che volevo usare quest’espressione)

Theo Parrish – American Intelligence

theo

Per questo disco la leggenda della Detroit House Theo Parrish ha deciso di chiamare tutta l’intelligence americana e dargli la seguente missione, nome in codice: Tutto Groove. No non è vero, in realtà Theo ha deciso di rappresentare l’intelligenza americana tramite un solo imperativo: Tutto Groove. No è na cazzata. Missione di sta intelligence di due ore (su 2cd) è usare house e techno come strumenti per riassumer tutta la cultura groovosa americana (facciamo che il groove è questo). La stessa black music narrata pure nel disco di D’Angelo, solo che Theo non ci fa le canzoni ma ci si arrovella mente, anima e zervello. I più rompicazzo direbbero “ce se fa le pippe co sti ridmy theo! sto disco nun parte maiii!” io invece che sono piccolo e indifeso dico “no no vi ripeto qui vedi proprio la sfida, a volte sofferta, a volte giocosa, a volte meditativa, dell’uomo nel conquistare il groove del popolo senza imporgli dittature fasulle!!”. Potrei scrivere quindi che Theo costruisce jam con drum machine, sampler, synth in maniera cruda e diretta come certa house di origine chicagoana, ma con uno spirito proprio della techno di Detroit di spingere in avanti ritmi o andare verso giustapposizioni rischiose. Per capirci non è lo spirito techno de ste mongoplettiche ritmiche pestone con due droni preset demmerda che mo i darke der nu-millennium hanno scoperto la techno, non è nemmeno il “futurismo” a buffo (per cui io ho un debole), e nonostante le fisse di Theo per l’analogico/l’old skool non è nemmeno la house retromaniaca “er vinile ahò!” (per quello basta vederlo dietro ai piatti dare anima e corpo per sette ore facendoti godere come non mai). Volendo in certe robe di American Intelligence ci si può vedere persino un’interpretazione particolare della footwork (ovviamente rallentata a battito umano) come spazio caciara ritmica nuovo, da cui titolo del miglior pezzo del 2k14, ma non del disco, facciamo che quello invece è il brodo de polpa di cazzo fica e cervello che corrisponde al nome di Be In Yo Self. tl;dr American Intelligence è DISCO DIO di convogliare e unire recuperando lo spirito progresskrotista della storia del groove.

FOTTA! – Sanremo 2011 meno cazzo di uno!

Antichrist
Caps lock alla fotta: tomorrow is the day, le cinquantuno inutili settimane dell’anno senza festival di Sanremo sono finalmente passate e, in un tripudio orgiastico che prelude al ritorno della primavera, ci ritroviamo come Benandanti in volo notturno al seguito della dea – chiaramente Belen, o un’altra bagascia del genere – a combattere a colpi di finocchio le streghe cattive radunatesi ieri in piazza.

Non che il Festival, o l’atto di vederlo, abbiano qualcosa a che fare con il ruolo della donna, ma io qualcosa di antipatico da qualche parte dovevo pur scriverla, e se quello che ho scritto finora vi sembra fuori di testa (anche se tratto dalla lettura superficiale di seriosi testi di medievistica), aspettate di sentirmi domani a mezzanotte.

Tricarico

La mezzanotte di domani! Non posso aspettare fino ad allora, fino al sacro momento in cui le quattordici tracce infernali avranno mostrato la loro anima più nera, e – sorprendendoci tutti – Al Bano sarà già estromesso dal Festival. Domani! Domani, quando tutta l’Europa (più Israele e Turchia) si collegherà con Raiuno in Eurovisione – tutta l’Unione trasmette il Festival a reti unificate: facciamo eccezione noi, per colpa di quel porco di Berlusconi con le sue reti e dei comunisti sul tre – e si unirà focosa al televoto che porterà, sabato prossimo, all’incoronazione del Sessantesimo Erede di Nilla Pizzi.

Non che i Vincitori siano sempre stati degni: tutti ricordano che Berlusconi, che già ha portato via tutto quanto a noi italiani fuorché la Chiesa cattolica – che purtroppo sta lì lì – , minaccia sempre più concretamente di toglierci anche il Festival, manovrando nell’ombra perché i suoi ragazzotti effemminati e arroganti trionfino all’Ariston. Ma Carta e Scanu, con un po’ di fortuna, non avranno seguito, e in attesa del trionfo elettorale di Vendola (la Franca Raimondi della politica internazionale), Giannone Morandone, da bravo rosso, ha approntato un set di cantanti che permette qualche speranza di restaurazione.

RESTAURAZIONE, questa è la parola. Andasse affanculo la cazzo di modernizzazione. Il rinnovamento, la freschezza. Cosa cazzo ci ha portato la modernità, così in generale? La democrazia (così i fregnoni votano, e l’effetto è non più irrazionale e povero di risultati di situazioni tipo I re taumaturghi), la disgregazione della famiglia, l’alfabeto che ha permesso a tutti di leggere e scrivere, la stampa che ha permesso a tutti di avere dei libri, l’internet che ha distrutto i cazzo di dischi e, restando a Sanremo e alla musica italiana, Carmen Consoli, Tricarico e la voce ingolata di Malika Ayane.

Se cerchi Via Merulana su Google esce questo, mio Dio, che mai potrà voler dire? Antichrist

E sebbene questa edizione non sia priva di sciocche istanze di rinnovamento (con robaccia tipo i La Crus – dopo vent’anni pronti al grande pubblico e ad eccitare con brividi d’avanguardismo i vari Fegiz e Castaldo -, Van De Sfroos, Tricarico che rende indie i centocinquant’anni d’Italia), è al tempo stesso piena di tali tombe, di tanti catafalchi che rischia a buon diritto di essere la più bella e retrograda dal 2006, anno del trionfo della metaforica Vorrei avere il cazzo di Povia (grande assente del 2011), del piazzamento di pièces del calibro di Dove si va affanculo dei Nomadi, dello sfolgorante esordio della Tatangelo (con le worst Festival lyrics ever di Essere una donna) e delle struggenti testimonianze dei superclassici Zarrillo (L’alfabeto degli amanti della cocaina) e Oxa (con Processo a me stessa, scritta a quattro mani con Panella, nel senso del norcino di Trastevere).

Che schifo le tettine di Scanu

Il 2011 prevede i seguenti pezzi forti: Oxa, imperdibile e peccaminosa con La mia anima d’uomo (uno schiaffo alla femminiltà comunemente intesa, una carezza alle donne “spezzate” dalla vita di tutti i giorni e da certi presidenti del consiglio: già piango); Al Bano, con Amanda è libera (evidente sfruttamento della cronaca nera per vendere quelle due copie in più. Alone Banone prenota un posto tra i due esclusi della prima sera, cosa che lo farebbe entrare nella leggenda); Patty Pravo, Il vento e le rose (praticamente già mi sembra di non capire un cazzo del testo per via della pronuncia impastata, dovuta a sua volta dall’eccessiva chirurgia plastica); Luke Redbeard con tale Raquel Del Rosario (con la mestamente intitolata Fino in fondo: praticamente la visione di una zona mesta di Roma centro –tipo Via Merulana- nel 1986); Anna Tatangelo, la più credibile erede della romanza italiana, la scommessa di Bastonate per questo Festival e la più seria candidata al Premio Bastonate; gli Arcade Fire, freschi del Grammy Award, che in coppia con Andrea Mirò propongono il loro primo pezzo in italiano (‘O Funerale); e infine, perché no, Max Pezzali con l’ennesima, spenta metafora calcistica.

Basta, basta, tempus fugit e non me ne frega un cazzo di nient’altro. Cominciate ad accendere il televisore fin d’ora, pagate il canone, collegatevi in Eurovisione. Ci siamo, FOTTA!

Panella

Sanremo is the shit! Countdown to festival #1

L’italiano

E insomma, non si può lasciare il paese per una quindicina di giorni senza tornare e trovare che il prossimo festival (letto festivàl) di Sanremo avrà il miglior cast della storia del festival (festivàl) stesso, oltre – ma questo era noto – al miglior conduttore, “Big hands I know you’re the one”, Giannone Morandone.
Per il resto è tutto uguale: Vanity Fair prova commossa e mammesca compassione per un tizio morto sparato in Afghanistan (Taliban. The few. The proud) a cui a noi, come di Cocciolone a suo tempo, non frega un cazzo, perché VOGLIAMO LA PACE e che quei simpatici berretti afghani – ne comprai uno a Porta Portese anni fa, segnalandomi subito come Diverso – vengano liberalizzati e resi fichi e intellettuali. La Palombelli – che bassezza gli insulti sessuali alle donne eh? Meno male che loro sono forti e fiere e studiate e se ne fottono di noialtri volgaroni che gli diamo delle zoccole a ogni piè sospinto (pià nderculo) – sullo stesso Vanity Fair (mia unica lettura oltre ai manuali di auto-aiuto, se non si vuole contare Imperial Bedrooms che ho iniziato ormai 148 patetici giorni fa – adesso sono a pagina 122 e non ci ho capito un cazzo, ma per marzo conto di consegnare in segreteria) e insomma, senza tanti incisi, la Palombelli sullo stesso Vanity Fair segnala che non ha pietà dei viziatissimi giovani d’oggi che c’hanno l’iphone con cui accedere ai siti di Harvard e Yale e perciò, nella sua mente ricca e bacata, hanno LE OPPORTUNITA’ che loro, formidabili quegli anni, dovevano dare il culo a Pannella per avere. It’s heavy fucking metal! Comunque, il richiamo ai bamboccioni mi è servito se non altro a ricordarmi della vera buona novella dell’ultimo orrido annaccio, che dopo averci portato via Solomon Burke, Vic Chesnutt, Mark Linkous, Peter Steele, il bassista degli Slipknot, l’avvocato Kobayashi, Sugar Minott, Eddie Fisher, Dennis Hopper, Don Van Vliet, Captain Beefheart, Zecharia Sitchin, Ronnie James Dio, Ari Up, Malcom McLaren (vi rendete conto?!), Bruno S., Alex Chilton e TARICONE (davvero troppo, questa), ha avuto un inatteso colpo di coda di simpatia stroncando – sotto Natale e in pubblico – Tommaso Padoa Schioppa. Jingle bells! E ora veniamo a Sanremo.

Essere una donna

Avete mai avuto una disperata urgenza di andare in bagno (big one, bright lights) e vi siete trovati allo stesso tempo che erano le tre di notte (full dark, no stars) e voi eravate non a casa (home is where you hang yourself) ma in un albergo (psycho!) a Città del Messico (Frida Kahlo che si autoritrae su uno sfondo desolato coperta di chiodi che la fanno sanguinare e lei piange mentre uno squarcio nel suo petto rivela una colonna ionica spezzata in più punti, che non può più sostenerla), dove le maledette tazze del cesso non funzionano (quetzalcoatl!) e comunque c’è qualcuno che sta dormendo, e allora voi uscite dalla stanza, scalzi, cercando con disperazione un altro bagno ma il bagno non c’è (Zapata vive, la lucha sigue), e i corridoi coperti di moquette (vieni a giocare con noi per sempre per sempre per sempre?) sono lunghi chilometri perché voi siete piegati in due e non riuscite a camminare (Frida Kahlo che si autoritrae come un cerbiatto in lacrime, trafitto da mille frecce) e allora accarezzate per un attimo l’idea di arrivare all’ascensore (Angel Heart) per andare al quinto piano – quello della colazione – dove di sicuro un bagno c’è, ma poi semplicemente non ce la fate (Diego Rivera che tradisce Frida Kahlo con la sorella di lei) e tornate in stanza e mandate affanculo tutto e che venga la notte, scocchi l’ora, che la tazza si otturi e domani ci pensino i camerieri (una propina de un pesito por favor?)? Have you ever felt like that? Do you know what I’m talking about? I’m talking about shit, e questo, come i più accorti avranno già capito, è il più banale collegamento che io potessi trovare per introdurre un discorso su Gianni Morandi (sì, perché non ho ancora iniziato).

E’ almeno dal 1997, anno-monstre in cui Noi compimmo la maggiore età, uscirono l’ultimo bel numero di Dylan Dog e l’ultimo bel disco rock della storia (Perfect From Now On dei Built To Spill. Nello stesso anno, vennero pubblicati anche Strange Warmings dei Laddio Bolocko, il penultimo bel disco dei Mogwai e un grandioso disco di John Fahey. I Red Hot Chili Peppers si rivelarono per la prima volta al mondo con la loro vera faccia – cacate che manco Morandi -, e il mondo presentava i primi gravi sintomi della peste-indie: Ok Computer e If You’re Feeling Sinister) e soprattutto i Jalisse vinsero il Festival, che la seconda più grande domanda che ci poniamo dopo: -“Ma John Zorn e John Giorno sono la stessa persona detta con la zeppola o senza?” è: ma perché i conduttori di Sanremo, uno dopo l’altro, dicono di voler insistere sulla qualità e alla fine hanno paura di farlo? Ma ecco che arriva l’uomo-Morandi, che, senza timore alcuno, freudianamente mette in atto: la lista dei BIG del prossimo Sarèmo mette pajura, perché essendo composta all’88,9% da roba che normale gentaglia del calibro di Morandi considera appunto “di qualità” e meritevole di un Auditorium affollato (il Battiato d’oggi ormai consunto dalle droghe in coppia con il numero due dei Denovo; quel pedofilo di Vecchioni; Patty Travo; Davide An Der Cool; quell’inconsistente Tricarico, che però ha almeno il merito di aver inciso il peggior disco della storia del pop, tale Frescobaldo nel recinto; due vincitrici di X Factor, ossia la Ferreri che tutti ci siamo illusi per disperazione che sia “brava” e quella nuova; tale Emma Marrone chiamata da Morandi solo per il cognome) rischia di rendere questa edizione, Signori, la peggiore della storia.

Fiumi di parole

E se pure potremmo trovare consolatoria la presenza di Maxone Pezzali con la consueta metafora calcistica (“Il mio secondo tempo” – a proposito, metti Zarate, porco cazzo!. Ma Max da anni non è lui), Anna Tatangelo (ma la popolarità indie non l’avrà raffinata troppo?), il grande Al Bano (sicuro ultimo in classifica e in serie B come Lecce e Bari) e soprattutto Anna Oxa e Barbarossa (questi sì dei gran colpi), a falciare ogni potenziale entusiasmo ci pensa l’esiziale nome dimenticato nella lista di prima: i tremendi LA CRUS che, riemersi dalla tomba di noia in cui giacevano ormai da un decennio e influenzatissimi da Tenco e Ciampi (ma pare che Giovanardi ultimamente abbia scoperto Endrigo), sono tornati per esigere il PREMIO DELLA CRITICA che spetta loro dai primi, pulsanti e tediosi vagiti del morboso secondo album del – guarda un po’ – 1997 (Tuttooo è dentroo meeee, ricordate? E quella che “viene un angelo a cercarvi, d’oro e carico di sogni”? A una festa al liceo – non so come sia possibile, ma è vero -. a un certo punto si sentì nell’aria Dentro me, forse era la radio, non so. Un tizio disse: “Che è sta merda?” e io dissi “A me piacciono!” e lui “Non fartene una colpa!”. Che poi non che mi piacessero davvero: è che ero indie e influenzato dalla lettura di Rumore. Ecco perché sono un fallito, oggi).

Manca ancora un mese, ma c’è già da leccarsi i baffi. L’espressione “leccarsi i baffi” è tra le dieci frasi idiomatiche italiane che odio di più, l’ho usata in modo espressionistico per rendere questo post il più brutto possibile. Peraltro ho i baffi al momento e all’idea di leccarmeli (con conseguente sensazione pungina sulla lingua) mi vengono i brividoni come all’ascolto di un acuto di Al Bano.

Fari puntati sulla terza serata, dedicata all’Unità d’Italia, la più grande montatura di tutti i tempi, e certo di parlare a nome di tutti gli italiani, dichiaro che NON CI FREGA UN CAZZO di Mazzini, Cavour, la carboneria, Brescia leonessa d’Italia, Giorgio Napolitano, i Borboni (Beasts of?), Milo Manara e tutta quella marea di psicoballe che ci fanno studiare a scuola e che orgogliosamente ho dimenticato. Italia merda, per Dio, la odio, e so che anche voi la odiate. E poi: vi piacciono forse gli italiani? PUSSA VIA. Milano in fiamme. Vesuvio erutta per noi. Una volta, da adolescente, andai a vedere Lazio-Fiorentina e vidi dei tifosi toscani, uno dei quali aveva una maglietta con scritto: “El unico romano bueno es aquel muerto”. Sono d’accordo, ma PERCHE’ in spagnolo? Bè, insomma, in onore all’Unità del peggior paese del mondo, la terza serata del Festival sarà dedicata ai BIG che canteranno dei classici della canzone italiana (come se ce ne fossero), e pare già di vedere Patty Pravo con le mani un po’ alzate, da vecchia, che rende inutilmente trombona (“elegantissima!”) Mille lire al mese; Vecchioni che gigioneggia come un pazzo su ‘O sordato ‘nnammurato; la mongoloid-version de Il cielo in una stanza a cura della Ferreri; Anna Tatangelo super-SophiaLoren vaiassissima e troneggiante con Mamma (clima di allegria generale, il pubblico batte le mani a tempo); Tricarico che sparge mestizia su L’Italiano (credevate impossibile che si potesse peggiorare, eh?); O Sole Mio cantata da una Oxa tutta intensa e più travona che mai. E nonostante il Va Pensiero di Al Bano – vero schiaffo in faccia alla Lega: attese dichiarazioni di fuoco di Calderoli il mattino seguente -, ecco arrivare agguerriti i La Crus, che con PARLAMI D’AMORE MARIU’ ancora una volta strapperanno applausi, lacrime e belle parole (“una lezione per tutti. 8”) da Gino Castaldo. Almeno ci risparmiano un commosso tributo a De Andrè, con una cantantona a caso (tipo la Ruggiero) che allucca La canzone di Marinella mentre sullo sfondo del palco, e poi sui nostri teleschermi, viene proiettato il faccione deforme di FABER, e poi parte la presentazione fatta con Windows Visualizzatore d’Immagini in cui si vedono diapositive pisciose e fuori fuoco di De Andrè con De Gregori, De Andrè con Dori Ghezzi, De Andrè intenso sul palco, De Andrè con Gaber (applausissimo!), De Andrè col piccolo Cristiano prima che diventasse un alcolizzato, cocainomane e violento picchiatore di donne, e infine fallitone clamoroso, imitatore del padre per serate sold-out all’Auditorium e cd doppi di Natale. Oddio, ce lo risparmiano il tributo a De Andrè, VERO?

In ogni caso, i titoli dei classici reinterpretati sono autentici: TREMATE, c’è da aver paura. E per non rischiare di perdere il festival, mi raccomando: pagate il canone!