tipo senza titolo.

Se l’elemento sul piatto è il disco nuovo di un gruppo che ha dichiarato la dipartita del suo membro principale dopo la fine delle sessions E l’ha sostituito in corsa con “la scelta più logica” (una specie di roadie/cicisbeo di lungo corso della band che somiglia fisicamente al membro dimissionario), il tutto in seno ad una reunion priva di senso e mercato, e questo disco si chiama Rinato nel disprezzo, voglio dire, quello che c’è in ballo NON è più la qualità artistica di una cosa o dell’altra. Quello che c’è in ballo è -tipo- il destino della musica PESA.

I Biohazard esistono in un universo creato all’uopo e mai smantellato. Un universo che funziona con regole ben stabilite che prevedono di alzarsi la mattina, non potersi permettere l’acqua calda per fare la doccia, dare due biscotti al pitbull ed uscire in strada con un coltello per riuscire a difendersi in caso di rapina. Subire le angherie della polizia, non farsi coinvolgere in una gang, stare lontani dalle droghe, lavorare undici ore in fabbrica sotto un capoturno che al confronto Post Office sembra scritto da Fourier. E poi correre in qualche squat a vedere un concerto di gente tatuata più di te, ammazzarsi dentro al circle-pit e tutte quelle robe. Il pubblico dei Biohazard non è composto, manco in minima parte, da persone che hanno questo genere di problemi nel mondo reale. Il pubblico dei Biohazard è composto da ex-ragazzini bianchi viziati sovrappeso che lavorano come idraulici o ragionieri, nel migliore dei casi hanno ereditato la fabbrichetta del padre, e tirano a campare con la vaga paura che s’infili un rumeno dalla finestra della cameretta dietro e provi a incularsi la collana di oro bianco della mamma. Un disco dei Biohazard, intendo la roba figa dei Biohazard, non esiste in funzione di chissà quale dicotomia tra realtà e finzione e sicuramente non ha a che fare con le metafore. È una specie di iperrealismo sportivo che si ammanta dello stesso moralismo compiaciuto alla (boh) Michael Haneke ma che almeno ha il coraggio di essere brutto e deforme dall’inizio alla fine. In altre parole, dal punto di vista degli immaginari il nuovo disco dei Biohazard è così barbaramente sbagliato, vecchio stampo e malcucito ai tempi in cui viviamo che invece de la gigantesca scritta LOAL sembra di stare dentro ad un’opera magnificente.

Succede verso il terzo o quarto pezzo. La sensazione di modernismo accattone con quella produzione triggerata alla Avenged Sevenfold demmerda (nome a caso, sparato senza competenza in materia) sparisce alla fine del primo brano, dopodiché Reborn in Defiance diventa l’opera più drammaticamente priva di trucchi della storia della musica: i Biohazard che escono fuori sono più quelli di Urban Discipline che ogni altra versione del gruppo, gli assoli legnosi di Bobby Hambel sono l’unica cosa che si sente, il tutto suona più indietro di un disco dei Manowar fine anni novanta. Pensare che canzoni intitolate Skullcrusher o Vows of Redemtion le abbia scritte una specie di magnate del porno fa venire la pelle d’oca, ovviamente, ma rimane il fatto che a metà disco ci si ritrova ad ascoltarlo meno distrattamente di quanto si pensi e con uno sguardo corrucciato e incazzoso che per questioni extra-lavorative non ci ricordiamo manco più quando sia successo. Massimo rispetto.

Navigarella #6

escono dalle fottute pareti.

Non ho avuto il tempo di scrivere un pezzo sul ritorno dei Biohazard che Evan Seinfeld esce dal gruppo. I Biohazard senza Evan Seinfeld non sono proprio come i Nirvana senza Kurt Cobain, ma quasi. Bobby Hambel, che s’era tolto dai coglioni già prima di Mata Leao, dichiara “siamo amici ma è ora di andare avanti”. Nessuno mi venga a dire che sono io a portare sfiga.

Tornano i Rapture, quelli con l’articolo davanti, con un pezzo nuovo su DFA. Un tizio che conosco (spoiler: scrive su bastonate) definì Echoesun indigeribile beverone di stimoli e luoghi comuni raffazzonati alla bell’e meglio con un patetico clone di Robert Smith alla voce a rovinare definitivamente quel poco di salvabile.” Claudio Sorge, riferendosi a loro di striscio, parlò di “quel ritmo fighetto in 4/4 tutto uguale e copiato dai PIL”. Verissimo, peraltro. Io continuo ad essere, irragionevolissimamente, un loro fan.

I redattori di Metalsucks hanno finito di compilare la lista dei 25 chitarristi metal più influenti della nostra epoca. Le regole per l’inclusione erano essere un chitarrista, suonare metal e avere pubblicato un disco negli ultimi cinque anni. La lista uscita fuori è piuttosto eterogenea: si divide quasi equamente tra pestone OALD (Alex Skolnick, Petrucci, Frederik Thordendal) e pestone NU (Ben Weinman, quei beccamorti degli Avenged Sevenfold etc) senza scordare un paio di declinazioni RAWK tipo Jerry Cantrell e Adam Jones e la roba weird tipo Buckethead e dio cristo il chitarrista dei Behold The Arctopus. Il vincitore è il chitarrista dei Revocation, che saran pure un gruppo discreto ma anche LOAL. Se pensate che la lista di Metalsucks sia ridicola, in ogni caso, avete due ragioni di ricredervi: la prima è che è sempre meglio della infinita lista rollingstoniana dei cento chitarristi più importanti della storia con Jimi Hendrix ancora al primo posto (D.Boon > Jimi Hendrix, ma anche Mia Mamma > Jimi Hendrix. Zecche demmerda); la seconda è che un paio di giorni dopo il sito ha pubblicato i risultati della poll dei lettori (avevo votato anch’io. King Buzzo, ovvio) e ha parlato di un clamoroso testa a testa tra quel beccamorto di Devin Townsend e il chitarrista dei Between the Buried and Me (l’ha spuntata il secondo).

Sempre su Metalsucks c’è un live dei folliTM Isis in streaming.

Sulla Blogotheque invece il concerto a portar via del giorno/settimana/mese è di Thurston Moore. Non ho ancora sentito il suo disco acustico. Mi dicono sia carino. Non mi fido.

Lady Gaga ha spaccato il culo all’Europride, piano e voce. Born This Way non è Monster (il quale, già si sapeva, rimarrà il suo insuperato capolavoro) ma è molto più bello di come lo dipingono in giro. Il mio pezzo-bolgia del mese comunque è Man Down di Rihanna. Ram-pa-pa-pam.

Abbiamo perso l’occasione di segnalarvi il contest per suonare al MiOdi, ma tanto il vostro gruppo FA CAGARE. Oggi dovrebbe uscire il vincitore del contest.

Domenica è uscito su Repubblica un articolo su The Room, che non so se avete presente (immagino di sì) ma è un cult movie della nostra epoca. A parte il fatto che un articolo su The Room sia di per sé una cosa stagionatissima, Paolo Pontoniere inizia la recensione scrivendo “probabilmente di film peggiori di The Room, se si fa eccezione per il recente The Expendables di Stallone e i vari film interpretati da Ronald Reagan, se ne sono visti raramente”. Cogliamo quindi l’occasione per ribadire che The Expendables è, nelle eterne parole di Giona A.Nazzaro, “un capolavoro che non si discute”. Ecco. The Room invece non l’ho ancora visto. Sostanzialmente in questo periodo sto solo riguardando Fast Five.

Jamie Wreck, cinquanta regole di base per chi studia graphic design. Non sono nemmeno un fruitore ma c’è scritta roba talmente sensata che l’ha ribloggato Glen Friedman.

Tornando a scriver male di Repubblica, c’è un articolo che cerca le ragioni alla base del disastro di pubblico di quella che è indubitabilmente la più brutta patetica e sbagliata edizione dell’Heineken Jammin’ Festival di sempre, titolando “il flop dei festival musicali” e “addio allo spirito di Woodstock”. WOODSTOCK, porca troia. Il pezzo ovviamente va letto, perché contiene cinquanta righe di lamentele generiche dei promotori e delle agenzie di booking che non guastano mai. Nella segreta speranza di venire assunto come consulente artistico, nel qual caso il prossimo anno gli headliner saranno gli Shellac, vado a elencare tre ragioni del flop del festival che sono MOLTO più plausibili di quelle culturali e strutturali srotolate nell’articolo in questione.
1 l’HJF non è un festival. I festival, quantomeno oggi, hanno una ragione alla base, una ventina di gruppi al giorno e una –anche trascurabile- dimensione umana. L’HJF è un concerto organizzato da Heineken in cui la gente che vuol vedersi l’headliner viene disturbata da tre o quattro pessimi gruppi di supporto.
2 il bill di quest’anno era ridicolo.
3 ci sono concerti migliori pochi giorni prima e dopo (tipo il Sonisphere. a proposito: il sabato sono al sonisphere, qualcuno di voi c’è?).
Aggiungo la 4: lo spirito di Woodstock ce l’avrà tua mamma.

Una bella storia a margine, parlando di festival in Italia, è quella del Rock in Idrho –che ovviamente ho considerato, perché è l’unica data dei Social D in Italia. Nel sito del Rock In Idrho era uscito un elenco delle regole da rispettare al festival: Divieto di uscire dall’arena concerti, obbligo di depositare gli zainetti al guardaroba, divieto di portarsi mangiare e bere da casa –in pratica mancava la voce “ad alcuni fortunati sarà tatuato un numero di sei cifre sull’avambraccio”. La gente è sostanzialmente esplosa. Il tutto è parzialmente rientrato. Se andate al Rock In Idrho sappiate comunque che gli Stooges suoneranno prima (e meno) dei Foo Fighters. È anche giusto: i Foo Fighters hanno un repertorio imponente.

Questo fine settimana c’è stato il MiAmi, che contrariamente all’HJF è un festival VERO (per quanto, sospetto, orribile). In qualche fashion blog o fashion magazine o fashion qualcosa italiano sono uscite foto che davano dritte sull’abbigliamento partendo da foto delle annate precedenti ed è uscito allo scoperto L’ORRORE, vedi appunto sopra.

Tanto se ribeccamo (speciale crossover): BIOHAZARD

i cornas

Nel ’96 esce il capolavoro dei Biohazard: si chiama Mata Leao ed è inciso per la prima volta da una formazione a tre. Il disco precedente era poco meno bello, giusto un po’ più figlio dei suoi tempi: State of the World Address, un milione di copie vendute, i video girati in mezzo alla loro ballotta con i membri della band in canotta che urlavano contro la telecamera. I Biohazard per certi versi sono l’acme artistico di una tutta una sottocultura di fetenti in canotta che cantano canzoni sul non farsi mettere i piedi in testa anche se ogni sera i poliziotti ti fermano e cercano una scusa per pestarti. La loro musica è un ibrido rap-metal-hardcore che nel ’96 è già vecchio stampo. Il gruppo ha già subito un grosso trauma: il chitarrista Bobby Hambel ha mollato prima delle sessions, da cui l’esigenza di tornare a un suono più asciutto e scarno. La band assumerà poi Rob Echeverria (Rest In Pieces e persino Helmet, dopo la defezione di Peter Mengede) come secondo chitarrista. Il tour europeo va benissimo: in mezzo c’è una data in Germania: un fonico si offre per registrare la performance e il disco verrà pubblicato senza metterci mano con il titolo No Holds Barred (per Roadrunner, l’etichetta che aveva pubblicato Urban Discipline). Dice che quando uno di questi gruppi pubblica il live significa che è finita: non fanno eccezione i Biohazard. Il disco successivo si chiama New World Disorder ed esce su Mercury nel 1999. Puro pilota automatico: recupera le sonorità più cafone e heavy metal di State of the World Address, le affoga in un bagno di violenza e tira come un treno dall’inizio alla fine. Il crossover in questo periodo vive una fase di stravolgimenti continui e continue ibridazioni che cercano d’incrociare ogni genere musicale esistente quanto più alla cazzo di cane sia possibile (gli scempi più divertenti sono quelli etno-metal di Puya, Soulfly etc e le sedicimila declinazioni tecno, tutte da dare alle fiamme a parte i Pitchshifter): l’opinione comune vuole i Biohazard come una sorta di fascisti sonori, reazionari del rapmetal di dodici anni prima che cercano di tirare a campare; il disco tuttavia ci fa la figura di una ventata d’aria fresca e ancora oggi passa nel lettore che è un piacere. Mentre la band lo incide, tuttavia, Evan Seinfeld è sulla rampa di lancio di una carriera da attore. In realtà l’unico ruolo di rilievo è quello di un carcerato di nome Jayz Hoyt in Oz. Non sono ancora arrivato al suo ingresso, ma credo di aver capito che interpreti il capo di una gang di biker nazisti (Evan Seinfeld è ebreo, c’ha pure una stella di David tatuata addosso). In quel ruolo viene notato da Tera Patrick, che lo contatta e diventa la sua fidanzata. Con lei al fianco diventerà una sorta di celebrità del porno USA: attore, regista e sceneggiatore di film di buon successo sotto lo pseudonimo Spyder Jonez e a nome proprio. Nel frattempo la band è arrivata al capolinea, ma fa finta di no. Mercury li molla a brevissimo e il gruppo firma con Sanctuary (USA) e SPV/Steamhammer (Europa). Le label degli ex-grandi gruppi in disuso per eccellenza, se servissero conferme sullo stato di salute del gruppo. Billy Graziadei e Danny Schuler approfittano della pausa del gruppo per ristrutturare la loro sala prove e renderla uno studio di registrazione professionale, nel quale incideranno il successivo Uncivilization. L’andamento del mercato impone di realizzare il loro disco più “crossover” ed eterogeneo, un pasticciaccio brutto senza identità che in mancanza di materiale su cui lavorare (i Biohazard sono quelli di State of the World Address e Mata Leao, punto e basta) cede alla moda imperante dei guest-starring chiamando a raccolta un artista diverso in ogni pezzo, a partire dall’amico di sempre Peter Steele per arrivare ad Agnostic Front, Phil Anselmo, Jamey Jasta, Skarhead eccetera. Il disco non impressiona nessuno, il gruppo ne esce con le ossa rotte. Si rifarà vivo un paio d’anni dopo con Kill Or Be Killed, roba che solo a vedere la tracklist si capisce come suona (basta il titolo, in effetti, che tra l’altro era stato annunciato essere Never Forgive Never Forget, e magari cambiato per non suggerire ai fan cosa pensare degli ultimi due anni di attività della band). Un mea culpa grande come una casa, totalmente fuori tempo massimo e bruciato dalla prima all’ultima nota (sempre meglio che il disco prima, in ogni caso). A questo punto è davvero finito tutto. La band perde il master di un disco chiamato Means to an End, lo ri-registra e lo fa uscire dichiarando che sarà l’ultimo disco a nome Biohazard. Danny Schuler esce dal gruppo, il quale dichiara lo scioglimento prima di imbarcarsi per il tour. È l’inizio del 2006 e la triste fine di un gruppo che a metà degli anni novanta poteva essere tranquillamente la tua vita.

Due anni dopo c’è un reunion tour per celebrare il ventennale della band, seguito da un giro per i festival estivi l’anno successivo in formazione storica al gran completo (Bobby Hambel alla seconda chitarra). La band ha anche registrato un disco nuovo, che dovrebbe –prima o poi- uscire e di cui per ora sappiamo solo essere dedicato a Peter Steele. Considerato che nel 2007 è uscito un live, la percezione generale è che i Biohazard non si siano mai tolti veramente dalle palle. Evan Seinfeld e Tera Patrick hanno divorziato, ma a quanto pare continuano a lavorare insieme. Che credo si dica scopamici.

NAVIGARELLA #1

via Metalsucks

(rubrica semi-fissa a cadenza semi-rigida di cose che succedono a stare su internet)

IL MIO FEEDREADER
Sono in corso le votazioni per i Sylvester 2011, vale a dire gli Oscar dei 400 Calci -in effetti sono gli Oscar ad essere i Sylvester di Hollywood.
Tra poco debutta una sitcom scritta e interpretata da Carrie Brownstein. Lo scrive Polaroid, il quale non si pone troppi problemi legati al fatto che se la serie avrà successo avremo ancora meno possibilità di vedersi riunire le Sleater Kinney. Oddio, non che una reunion delle SK abbia tutto ‘sto senso, specie dopo il disco di Corin Tucker. Ma se abbiam visto riformarsi gli Earth Crisis tanto vale aspettare anche loro. Tra l’altro avete visto che bolso è diventato Karl Buechner? Ma avete sentito il disco post-reunion? (Chiosa: che poi in realtà tutta ‘sta cosa degli Earth Crisis era patetica già dai tempi di All Out War, mi sono riascoltato tutti i dischi la settimana scorsa, roba su cui ho speso dei bei soldi, e fanno tutti indiscutibilmente CAGARE a parte tipo sei canzoni in tutto, paradossalmente uguali a tutte le altre. Se ci ripenso.)
A proposito di reunion per stronzi, il tour dell’anno colpisce gli Stati Uniti a primavera e consta di Helmet performing Meantime con di spalla Crowbar e St Vitus. Dicono che nel prezzo del biglietto è compreso un pacco di fazzolettini per pulire quando hai finito.
Per gli amici di m.c., Andrea Pomini ha parlato del libro sui Massimo Volume a RadioDue –qua c’è il podcast. via Vitaminic.
Sempre via Vitaminic scopro che Flying Lotus premia chi si fa vedere via webcam con la sua copia di Cosmogramma mettendo in download roba extra. Non so come funzioni esattamente, ma tanto non l’ho comprato. #negrophuturo
Ho letto su Brooklynvegan “Eyehategod hits Europa on February 18th along with Misery Index, Magrudergrind, Strong Intention & Mutilation Rites” e ho sborrato sul monitor prima di rendermi conto che Europa è il nome di un locale di New York.

IL MORTO DELLA SETTIMANA
Gerry Rafferty (Stealers Wheel), l’autore di Stuck In The Middle With You. Quella che passa alla radio mentre mr.Blonde tortura il poliziotto. Mancarone.

IL QUOTE DELLA SETTIMANA
Mogwai’s seventh album Hardcore Will Never Die, But You Will sounds like something Ray Cappo would say.” (Stereogum)

IL LEAK DELLA SETTIMANA
Il nuovo Social Distortion. Ho paura. Aspetto.

LA/LE FOTO DELLA SETTIMANA
Un set uscito fuori su Metalsucks, tra cui quella che vedete sopra e che raffigura Keith Caputo all’apice della forma. Il che è bizzarro, considerato che sono state scattate tipo IN SETTIMANA. Biohazard e Life Of Agony a casa loro. Anche i Biohazard sono impressionanti, sembra li abbian messi dentro una teca. Giunge voce tra l’altro che in apertura ci fossero i Vision of Disorder, i quali sono belli, giovani, riformati e in procinto di registrare roba. FOTTA.

PER IL LOAL
Ci state già passando le giornate tutti quanti: James Van Der Memes. Internet è la cosa più bella che mi sia mai capitata.