Sanremo 2015 serata uno o anche L’ORA DEI VIGLIACCHI (le pagelle politiche)

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L’altro giorno guardavo lo spot del 5 stelle sul ritorno alla lira, e a parte la critica artistica che dovrebbe essere incentrata su questa dimensione normcore che ci dà una misura del successo artistico di cose tipo The Lady, come giustamente puntualizzato da (se non sbaglio) Giulia Blasi, e saltando l’inquietante presenza scenica della tizia deus ex-machina finale che sembrava un po’ il cowboy di Mulholland Drive, mi ha preso malissimo il fatto che fosse così figa-oriented. Ok? C’è proprio questo sottotesto per il quale con la lira si scopava di più, con ragazze più carine e vino che dava meno alla testa. Diosanto, NON è VERO, non è vero coi punti esclamativi e gli 1. Con la lira non si scopava quasi un cazzo e tutto quello che si riusciva a scopare era infetto e triste e aveva il viso di Maria Montessori come nei video di Aphex Twin.

Nei nostri giorni non si riflette mai troppo sulle questioni legate al dibattito politico per due motivi fondamentali: il primo è che in fondo non ci frega un cazzo di nulla, nel senso, non abbiamo questioni ideologiche da cui partire per capire se una cosa è giusta o sbagliata: non abbiamo simpatia per i padroni ma schifiamo i nostri pari grado, i lavoratori, gli impiegati pubblici coi privilegi nei quali vediamo una versione sfigata e semplice di noi stessi e possibili commensali a una tavola sempre più piccola (tipo quando ci si mise a gridare allo scandalo perché a Roma gli sbirri s’eran dati malati a capodanno). La seconda ragione è che siamo comunque troppo impegnati a leccare il culo, salire nel carro dei meno perdenti e scrivere la rece della strategia politica/comunicativa di chi ha vinto, in una serie di corsi e ricorsi che, non si sa bene come, dopo un anno di pantano istituzionale hanno salutato la più geniale manovra politica dell’ultimo decennio ad opera di Matteo Renzi (far eleggere un democristiano come presidente della repubblica a furor di parlamento). Dal punto di vista dei risultati reali, riuscire imporre un presidente della repubblica piuttosto che un altro dovrebbe dare quella sensazione che provi quando la nazionale riesce a sbaragliare il Congo in amichevole, due settimane prima dei mondiali di calcio. Ok? Ok.

È vero che il dibattito politico contemporaneo una scesa continua, sia chiaro, e quindi tanto vale non parlarne o discutere di omosessualità e strategie comunicative. L’alternativa è sedere a un tavolo in cui il 25% dei commensali è a favore dall’uscita dall’Euro, che è come dire, non riesco neanche a spiegarvi il nonsense se non riuscite a capirlo per conto vostro (dovessi usare un’altra similitudine, proverei quella di un congresso di medicina in cui un relatore su quattro è dichiaratamente contrario alla presenza di un intestino nel corpo umano). L’unico momento in cui in Italia s’è vista politica, da Berlusconi in poi, è stata la gestione d’emergenza Mario Monti. Mario Monti, a prescindere dall’idea politica che ha e di cui tanto non vi frega un cazzo, è il capo di governo che ci serve: entra in conferenza stampa, qualcuno gli chiede dell’uscita dall’euro e lui trova il modo più composito per dire “ma di che cazzo parlate, IDIOTI” e passare oltre. Ecco. Vedete, questo è un grande paese fatto di persone che semplicemente dovrebbero smettere di esprimere opinioni e ricominciare a produrre beni e servizi, e il leader politico che ci meritiamo è uncool as fuck, vestito bene, grigio in testa e pronto a sgridarci ogni volta che vogliamo dire la nostra su qualcosa in merito a cui anche lui potrebbe dire la sua.

Il festival di Sanremo invece può essere tutto quello che vogliamo. Fabio Fazio aveva intuito un’occasione e aveva provato un golpe. Era un golpe votato all’instaurazione di un sistema culturale global all’interno della canzone italiano, che spolverasse i FABER e i DEGRER di quelle generazioni là e tentasse di selezionare attivamente gli eredi contemporanei di quella roba lì per poi metterli in mostra in una kermesse fatta apposta per loro. Il fallimento del golpe fazista è dovuto per il settanta per cento alla resistenza delle istituzioni e all’atto eroico di certi singoli rappresentanti dell’ancien regime, tipo Giusy Ferreri e Mengoni, e al trenta per cento è colpa del fatto che la spudorata ricerca di quella gloria nei nostri giorni non avesse espresso niente di meglio di robaccia tipo il CRIBER e i Marta sui Tubi. Curiosamente la rivoluzione renziana si è compiuta gli stessi giorni del Sanremo 2014, e il suo rivelarsi restaurazione (sai che spoiler, poi) ha trovato il suo pieno compimento la settimana prima di Sanremo 2015. Da questo punto di vista l’edizione Carlo Conti spicca per quanto è politicamente schierata: MUSICA a strafottere. MUSICA sopra le polemiche pro-contro omosessuali, MUSICA ad accompagnare l’agghiacciante discesa sul palco di una famiglia calabrese con settecento figli e il padre che s’intasca il premio Claudia Koll 2015 per il più alto numero di ringraziamenti a Cristo in novanta secondi. MUSICA a lenire i dolori della più patetica reunion della storia, Al Bano sul palco che unisce l’evidente stato confusionale e le battute più acide e stronze possibili dirette alla sua ex (che nel confronto sembra una persona equilibrata, e stiamo parlando di una che ha pubblicato una canzone sulle scie chimiche non più di tre mesi fa) all’ugola on fire di cui solo lui è capace, beccandosi un momento È la mia vita che nessuno s’aspettava, o quantomeno io no, spaccando tutto. MUSICA che in mezzo minuto di live trasforma Tiziano Ferro nell’essere umano più gradevole del sistema solare, una specie di Ian MacKaye dell’arenbì perennemente in fotta con LA MUSICA appunto.

MUSICA che, soprattutto, ritorna miracolosamente in forze dentro le canzoni, così a caso. Mi spendo una cosa che ho detto l’anno scorso: nella forma più pura, nella forma che amiamo, Sanremo è soprattutto il Kumité della canzone italiana, un luogo dove ogni anno si incontrano campioni di ogni stile e si menano a vicenda per decretare il più forte di tutti. Cioè il principale pregio di Sanremo ha senso nel momento in cui ognuno tira fuori il meglio che ha e lo butta contro gli altri, e il principale difetto di sanremo sono millecinquecento stitici accreditati che giudicano gli artisti sulla base di concetti stupidi tipo “non ha la canzone”. Evolviamoci, diosanto. Uno guarda a Gianluca Grignani e lo sente cantare così, e il suo pezzo, la sua merda, spinge in un modo che gli altri semplicemente se lo sognano un po’ perché è la sua merda e un po’ perché lui è lì e si sta giocando tutto il giocabile. Poi ci sono casi umani, sicuramente, storie di merda che fanno da contorno al tutto, strani carneadi messi in gara non si sa a che titolo, ma la purezza delle esibizioni e la qualità media dei pezzi mettono comunque in scacco il resto. È la cazzo di MUSICA a rendere irrilevante un contorno tra l’ordinario e il merdoso, le famiglie fondamentaliste di venti elementi, le polemiche infinite su ciccioni e omosessuali, Alessandro Siani e quegli altri scoppiati di Zelig, le vallette appannate e quello che volete. Dite quel che vi pare ma un’edizione più politicamente MUSICA di questa non si vedeva da un pezzo. E ora, il consueto momento-pagelle, ovviamente limitato ai cantanti in gara.

CHIARA

Il personaggio di Chiara è il tipico personaggio x-factor, nel senso, la storia umana di merda dell’impiegata che fa un provino e un talent e cambia la propria vita. È lo stesso personaggio di Giusy Ferreri, con la differenza che Chiara Galiazzo ha quello sgradevole appeal di easiness proletaria, che come interprete è brava ma non personale e meno personale e che diosanto Giusy Ferreri l’anno scorso mi ha fatto a pezzi in mezzo minuto. Ma quantomeno è molto più in botta quest’anno di quando lo era quella volta che si presentò con quel pezzo bruttissimo scritto da Bianconi. 6.3

GRIGGS

Se c’è una cosa per cui Sanremo è rilevante è che puoi accantonare quello che c’era prima, le polemiche e la crisi e le buffonate, e giocarti tutto nei quattro minuti che stai sul palco. Grignani esiste da anni in questa situazione, e in uno stile musicale che s’è evoluto in un modo assolutamente personale, magari opinabile ma totalmente suo. Andare a Sanremo con qualcosa di sanremese o con qualcosa del Grignani primi anni novanta sarebbe stato semplicemente impensabile: si gioca la sua mano e non risparmia un cazzo di niente. Io probabilmente sono un romantico, ma se devo scegliere qualcosa del festival che mi dica qualcosa della mia vita sono gli occhi spiritati di Griggs in botta persa che spinge sul ritornello. 8.2

 

ALEX BRITTI

Britti sembra avere più o meno gli stessi demoni di Grignani ma più stile nel gestirli. La gag della chitarra è stagionatissima ma lui se la suona e se la canta con uno swag eccezionale. Qualcuno nei network lo sfotte per il tasso di riccardonismo e mezz’ora dopo si mette in piedi per commemorare Pino Daniele, perché noi non siamo un cazzo ipocriti. 6.7

 

MALIKA AYANE

Momento classe/momento cultura/momento rottura di coglioni, pezzo per intenditori e premio della critica, il fantasma del sanremo passato, forse in prospettiva sarà la canzone più debole dei suoi Sanremo eccezion fatta per quella dell’edizione condotta dalla Clerici, quando l’orchestra sentì che era stata fatta fuori e iniziò a lanciare gli spartiti. Ma Malika Ayane vola sopra a tutto, ci butta più grazia di quanta cazzo non abbia già di default e porta a casa un momento intimista che va a un passo dallo spaccarmi il culo, brava Malika, fai parte dei bomber dal giorno uno. 7.6

DEAR JACK

Diciamo che a sentirla una volta non ho provato il desiderio di uccidere i membri del gruppo, ma credo che se mi ricapitasse di sentirla lo proverei. Essendo inevitabile di risentirla, 4.3 per pararmi il culo.

LARA FABIANI

Non so un cazzo di Lara Fabiani e stavo meglio quando la persona di cui non sapevo un cazzo era Simona Molinari. Lei è tipo il lato oscuro di tutto quello che ho detto qui e il possibile premio Frankie Hi-Nrg (ricordiamolo: è il premio Bastonate, insignito alla persona che non c’entra palesemente un cazzo e fa quel che è umanamente possibile per toglierci le penne; il premio è intitolato al vincitore dell’anno precedente), sale sul palco sorridente e continua a sorridere mentre canta, fino a dare il sospetto di un’emiparesi al volto. È chiaro comunque che Lara non ha nessuna colpa, è stata messa in gara like sheep led to slaughter, e il premio Frankie Hi-Nrg è comunque una bella soddisfazione per me. 4.5

NECK

A un certo punto, verso il pomeriggio di ieri, si stavano affastellando voci secondo cui il pezzo di Nek detto NECK da qui alla fine del festival sarebbe stata una roba pesantemente EDM. Ho scritto al mio clone che era tra i giornalisti che avevano sentito già i pezzi e lui mi ha detto che in realtà sarebbe stata più una roba tipo quei pezzi cassa dei Coldplay. Doccia fredda ma insomma non sapevo cosa aspettarmi, e poi NECK ha fatto la sua cosa straight in the face con un po’ di cassa ma non molta e tutto il cuore che si può mettere dentro la canzone italiana. Non si può dire che sia un sopravvissuto, forse lo è a se stesso e forse ha schivato tutte le trappole che la sua figura gli aveva messo davanti e ci ha rimediato solo qualche sfottò e i bambinetti di 45 anni che ricantano le sue canzoni al karaoke, ma NECK è dentro a questa gara più di chiunque altro e diosanto SPACCA IL CULO. 9.1

ANNALISA

Kekko dei Modà è una specie di incubo degli alternativi, il signore del cazzo e della merda, per così dire, quello che non c’entra, quello che fa la musica brutta tamarra e pompata che non vale un cazzo se paragonata alla MUSICA VERA ma anche in qualche modo alle altre musiche che percepiamo brutte tamarre e pompate e magari non diciamo, tipo i Sangiorgi o insomma gli autori sanremesi in generale. Detto questo secondo me quell’epica sentimentale alla Kekko Silvestre a Sanremo ci sta da dio, la canzone dei Modà con Emma meritava il secondo posto, la canzone di Emma senza i Modà meritava tutto sommato il primo posto e anche la canzone di Annalisa di quest’anno merita di andare a finire molto molto in alto perché è BELLA, è cantata da dio e ti spacca e questa cosa qualcosa conterà pure. MONDO SCARRONE. 9.4

DI MICHELE/PLATINETTE

Onesta ma tipo nient’altro. 4.0

 

NESLI

Nesli è buono, nel senso, sembra fare parte dei buoni, non è qui a saltare degli squali, è qui a fare la cosa più cazzuta che può e la canta con un fegato grande così. Mi aspettavo la merda e invece lo potrei mettere nella top 5 parziale. 7.2

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E basta, per ora. I miei cavalli per stasera sono Nina Zilli e Masini che sembra essersi fatto un look tipo Bob Mould.

Road to Sanremo 2015 #1 – Amare Satana Amare il Festival Apprezzare Povia Odiare Pasolini di merda

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Sanremo senza una polemica è  come cagare senza una rivista in mano: perciò dovremmo accogliere con favore l’articolo proto-polemico del Fatto Quotidiano, che manco trenta secondi dopo l’annuncio della lista dei partecipanti a 2015 già spargeva il veleno dell’indignazione e della stanchezza di un’Italia migliore, sempre solo potenziale, di fronte all’ennesima, pessima prova della solita Italia, di cui questa selezione fa parte.

Con uno spentissimo stile che cerca di essere brillante senza riuscirci, tipo noi ma pagato, tale Molina ci angoscia facendo la lista dei partecipanti, sottolineando con ironia che lui è ormai vecchio, che però ha l’ipad, poi – nel caso non avessimo colto o avessimo colto ma volessimo ridivertirci – ribadisce che lui è vecchio (ha tipo 45 anni e quindi è detto con ironia moscia e fregnona, non con la cazzutaggine di, metti, un Messner che vecchio in culo com’è scrive un’autobiografia-bomba parlando di spiriti dei monti e nonni altoatesini che davano le sleppe ai ragazzini: ma ne riparleremo nella prossima puntata di LIRBI) e ci rimanda a un suo pezzo credo contro X Factor per sottolineare le distanze che prende da quest’Italia che si inginocchia ai talent show, quest’Italia di Carlo Conti – di Berlusconi, in pratica. Berlusconi, a proposito, arriva qualche riga più tardi, poco dopo l’odiato Vaticano (quello di qualche tempo fa, perché Papa Francesco ha rimesso gli ultimi al centro, ridato la speranza), pretestuosamente citato prima dell’elenco dei partecipanti – tra i quali Manina non salva quasi nessuno, tranne, mi pare, Malika Ayane – che pare un uomo e fa cacare i porci, sia detto questo con l’oggettività dei migliori critici musicali, e che è stata scelta come Musica di Qualità e forse persino De Sinistra per l’unica ragione che Rompe Li Coioni – e Raf. Ma perché?, ma per cosa?, ma stiamo – cioè state – ancora davvero lì col culo in bocca a invocare la Qualità – questo sogno di Qualità del cazzo che, come la febbre gialla, spinge la gente altrettanto di Qualità a formulare deliri e incubi del sonno della ragione, tipo “Un Sanremo con gli Afterhours, un Sanremo coi Marlene” (successe entrambe le cose, a proposito, questo sia detto a loro discapito), oggi potremmo forse spingerci oltre, un Sanremo con Brondi, Dente e Truppi  – ma ci arriveremo, state tranquilli, succederà allo scoccare del Decimo Anno dell’Andata Fuori Moda di questa gente. Io l’ho capito che la televisione è il male, io l’ho capito che loro c’hanno l’angosciosa ed esattissima visione di PPP (anche definita “mania depressiva” dalla scienza moderna), ma per favore BASTA lavorare ai fianchi mamma Rai finché non ceda e non ci consegni un Festival finalmente, totalmente di qualità – un festival, nei loro sogni, dominato dallo spettro del plagiaro Faber. Ma il festival non è quello, il festival non è la farneticazione di chi non s’è mai mosso dallo sparo di Tenco, leggendoci non il grandioso atto festivaliero che era di per sé, ma chi sa quale macchinazione appunto pasoliniana (cioè un omicidio fascista, credo – i fascisti erano i Berlusconi di quando c’erano le ideologie). La verità vera è che il Festival è la consolazione di filosofia, la carezza di febbraio per gli stanchi corpi degli italiani che lavorano, e che la sera non chiedono altro di essere trasportati nella terra delle emozioni sulle note di qualche romanza. Il Festival non è la complessa e cervellotica hipster-music per le masse (non so, Brunori SAS, che aspettiamo però sul palco tra 5 o 6 anni quando sarà passatello a dovere), non è il cantautorato idiota dei piccoli folksinger da Circolo degli Artisti, non è nemmeno, in ultima istanza, il rock scatenato di gentaccia tipo Teatro degli Orrori. Il festival sono i Renga, le Giusy, i Povia e le loro polemiche – sono i pop heroes del momento, e quindi un grande grasso ok ai talent show -, sono i nuovi classici come la Tatangelo (grande Matrona della Canzona con qualche concessione – che le perdoniamo – a un R&B ciociaro, e futura Sora Sposa d’Italia), sono le vecchie scorregge tipo Raf che poi a un certo punto emergono dal regno dei morti e riappaiono sul palco dell’Ariston vecchissimi e con un’aria da Vecchio Saggio ingiustificabile altrove, eppure così esatta lì. Un’edizione del festival, quella 2015, che si preannuncia insomma perfetta. E che l’anno che venga possa portarci tanta serenità e la fine della carta stampata.

BOCELLI CE BLASTA: Sanremo terza serata, senza te o con te.

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Si nota già un generale aumento della qualità delle canzoni, dovuto soprattutto all’incremento di confidence dei cantanti e al fatto che l’altra sera ascoltavamo i pezzi per la prima volta. Il critico musicale italiano, in questo, riesce con un certo genio ad assommare la schizofrenia tra IO SONO SERIO I DISCHI ME LI ASCOLTO VENTOTTO VOLTE E APPROFONDISCO E NON LASCIO NULLA AL CASO senza riuscire ad ammettere di aver sparato cazzate dopo un solo ascolto sul palco con dei fonici opinabili e gli artisti terrorizzati. Noi, per quanto ci riguarda, diamo la colpa di tale e tanta assuefazione alle nostre cazzate pregiudiziali ad una scelta di campo, naturalmente (abbiamo letto Bertrand Russell invece di guardare la TV, quando Bertrand Russell è diventato inevitabile abbiamo iniziato con Grisham, e quando la gente ha iniziato a ripescare il Grisham grande narratore di storie americane ricominceremo a farci massivamente di televisione rivendicando un ritorno alla purezza concettuale e la purga del trash, il che a conti fatti pone quelli che commentano tre programmi televisivi a settimana su twitter una possibilissima avanguardia culturale del paese nell’anno 2015 -dandoci la possibilità di smetterla con le marchettine sui social, puntare a qualche cattedra di prestigio in certe università di periferia, stempiare la nostra capigliatura e circuire le studentesse ventunenni. I dieci che ce la faranno potrebbero venire spernacchiati dagli altri, ma possono sempre accusarli di essere hater. Il che ci mette di fronte al fatto che la rivoluzione digital è destinata a un fallimento programmatico e non dissimile da quello della rivoluzione francese, del movimento hippy e del punk rock (magari fermatemi quando pensate che stia esagerando). Loro avevano la Marsigliese, Hendrix e i Dead Kennedys, noi in pole position abbiamo Renga.

 

Renga in pole position è come il governo Letta o quando c’era Jim Courier in cima al ranking dell’ATP, cioè tipo il segnale di una situazione di stallo in cui -in attesa di tempi migliori o di un colpo di spugna- viene promosso come testa di serie uno sfigato qualunque che dia contemporaneamente l’impressione che il trono sia vacante e occupato. Ci vuole talento, naturalmente, e gli invidio molto la barba e la forma fisica, un po’ meno le doti vocali (quando canto somiglio a Mike Johnson) (scherzo), ancora meno la canzone che ha avuto il fegato di portare. Sulla serata di ieri, fermo restando che alle undici e mezzo ho deciso di anteporre il sonno arretrato alla mia sete di conoscenza, non ho commenti da fare, quando han fatto la gag delle canzoni a cappella ci avevo creduto, poco altro. E ci tengo a precisare che non ho niente contro Jim Courier e non so niente di lui, ma se non metti un gancio sportivo ogni tot scendi nella classifica di Wikio. Seguono giudizi modificati rispetto alla prima serata:

 

IL CRIBER

La magia non poteva durare, naturalmente. O in alternativa il fottuto CRIBER ha dato tutto nella prima serata e questa cosa è un errore tattico abbastanza devastante (tipo usare il NOS troppo tempo prima del traguardo, questo se siete dei fan di Fast&Furious) (ma se avete visto il 4 sapete che la sottile differenza tra errore madornale e strategia vincente dipende dalla tua capacità di improvvisare). Considerate il testo tra parentesi parte integrante di un periodo troppo lungo per il mio cervello e concludetene che probabilmente il fottutissimo CRIBER può giocarsi ancora un paio di bombe, cosa che Arisa sta facendo dal primo giorno (il suo secondo posto è altrimenti inspiegabile, anche se ieri sera mi sono abbioccato prima di sentirla ricantare).

 

GIUSY FERRERI

Settima al parziale di ieri sera, sempre più in cima al mondo.

 

RIFAZI

Abbastanza glorioso Bob Rifo (grossomodo l’unico personaggio esteticamente arrapante e artisticamente inattaccabile che abbia messo piede sul palco dell’Ariston nell’ultimo decennio) non perdere la calma sul palco con Gualazi e sorridere persino un po’ mentre il FAZ lo riempie di gag esilaranti tipo CIAO BLOODY VIENI QUI BLOODY, CHISSà COME SEI SOTTO LA MASCHERINA BLOODY.

 

PERTURBAZIONE

Hanno un testo che è una specie di rip-off di Ex-Girl Collection degli Wrens, questa cosa mi ha imposto di riascoltarla sul tubo dopo l’esibizione, CIAO CER. L’altro video che ho guardato sul tubo a Sanremo ieri è stato quello di Bocciofili mentre Luciana Littizzetto veniva insultata da chiunque su internet per un monologo che per carità, bruttino parecchio ma prima della fondazione di ComedySubs.org avrebbe fatto strage di cuori. Poi il monologo è sfumato e un danzatore maschio superdotato ha fatto un balletto con le stampelle, e questo è il momento più politicamente scorretto di Sanremo da quando Ceccherini lanciò una fiorentina cruda sulle prime file del pubblico.

 

Credo nient’altro: Frankie mantiene intatta la sua dignità anche vestito da gelataio, Sinigallia mantiene intatta la mia voglia di morire durante Sinigallia. Volevo sentire The Niro e Rocco Hunt ma 1 mi sono abbioccato e 2 quando dico che li volevo sentire sto mentendo. Mentre gioivo per l’assenza della canzone napoletana in concorso arriva Renzo Arbore color marrone fosforescente e io mi continuo a chiedere come se la vivono questa cosa quelli di Secondigliano.

LA STRADA NON PRESA // Sanremo 2014 serata due, appunti su Baglioni

I rubini se la cantano alla grande! benji disco dell'anno!!!111
I rubini se la cantano alla grande! benji disco dell’anno!!!111

L’infusione musicale nazista scavò dentro ogni tedesco un piccolo auditorium e ne ingrandì l’anima affinché i suoni si armonizzassero con la musica interiore sincronizzata con le marce dei panzer, poi, trionfò Lili  Marleen*. Cos’è successo ieri a Sanremo, non lo so, non ricordo, perché quello che è certo è che quando è salito sul palco Baglioni, e si è seduto al piano, era come se un usignolo fosse entrato all’Ariston, e dall’Ariston nelle nostre case, riempiendole di gioia e bellezza. Possa il mio cuore essere sempre aperto agli uccellini, che sono il segreto del vivere**: Baglioni, Claudio Baglioni, lo stesso Baglioni che straziava i cuori delle nostre madri, e che per questo forse non abbiamo mai perdonato, autoilludendoci di non apprezzarne i dischi, creando noi stessi metallari e grunge, lo stesso Baglioni, ma senza riccioli, senza completo jeans, ma pur sempre Baglioni, ieri ha infine straziato i nostri, di cuori, ammiccando a noi, proprio a noi alla fine del suo torrenziale solo show, come dicesse, Visto che mamma aveva ragione?, meglio, come dicesse, Vi voglio bene, o forse solo, semplicemente, A regà, ma sti carzoni, li voi o nun li voi?

Ed eccoci così, stupiti e sconvolti, restituiti a una nuova non-vita che ci vedrà forse, domenica mattina a festival finito, trafelati a Porta Portese a rivendere gli inutili dischi accumulati in questi anni, sperando che ce li permutino perlomeno con un 45 giri del Passerotto.

Lo racconterò con un sospiro da qualche parte tra molti anni: due strade divergevano in un bosco ed io – io presi la meno battuta***, e sbagliai ogni cosa.

 

 

 

* Mi piacerebbe spacciarmi per genio, ma i versi sono di Valentino Zeichen
** E questi di E. E. Cummings
*** E questi ancora di Robin Williams

BOCELLI CE RIVEDE!!11!! Sanremo 2014 serata 2, o de li EMOZIONI VERI

noemi

(Questo pezzo sarà fondamentalmente illeggibile e conterà parecchi incisi tra parentesi, ma vi invito a non considerarlo tanto un pezzo di Bastonate su Sanremo quanto piuttosto un viaggio.)

Non so se abbia senso ritirare fuori una volta ogni quattro ore (l’ultima stamattina al bar con una letale commistione tra l’analisi politica di Gramellini sulLa Stampa e l’invettiva di un distinto cinquantenne grillino incazzato che ha commentato il summit Grillo-Renzi urlando VALÀ CHE DIO **IA senza aggiungere altro, mentre cercavo disperatamente di godermi il primo cappuccino al bar da due mesi e mezzo a questa parte, peraltro buonissimo) la cazzo di QUESTIONE MORALE quando due ore di Festival ti fanno a brandelli la pazienza al punto di considerare un grandissimo momento di televisione old skool quando una specie di versione photoshoppata di TAFKAClaudioBaglioni in stop-motion si presenta sul palco e (con la complicità di un FAZ in modalità autocelebrativa spinta) caccia la sua merda dando a bere che ci crede davvero. Ho la distinta sensazione che il magone che mi viene su mentre IL BAG esce una versione bella e senz’anima di Mille giorni di te e di me sia anch’esso realizzato con Photoshop, nondimeno uomo incredibile e leader maximo di una generazione intera di ascoltatori di musica italiana.

 

(La quale generazione non è né quella a cui appartengo né quella degli ascoltatori di musica italiana, ed è triste notare che la l’attuale generazione di ascoltatori di musica italiana è sempre la mia generazione che ha occupato militarmente lo scranno del perdere tempo in cazzate alla cerimonia inaugurale delle olimpiadi invernali di Lillehammer, avvenuta nel febbraio del 1994 (seguirà post di Ashared Apil Ekur a celebrazione del ventennale del nostro non far cose e rincoglionirci di canzonette e dischi dei Mortician), ma ancora la manda)

 

Del resto qual è l’utilità sociale di Sanremo se non il fatto che crea un terreno comune per fare una discussione politica tra me e mia mamma? Mia mamma non ha opinioni su nessun musicista a parte cinque o sei artisti che ama alla follia (Mina, Cocciante, Gianna Nannini, il primo Rufus Wainwright, Giuseppe Verdi) e due artisti che odia come se le avessero scopato un parente, Madonna e Claudio Baglioni. Di Claudio Baglioni diceva finto prima che assumesse le sembianze attuali, per dire, il che la rende in qualche modo un critico musicale rispettabile e rende me in torto quando cercava di sfondare la porta chiusa a chiave della mia cameretta con un’accetta tipo Shining (cito Stephen King, non Kubrick) (scherzo). Sto divagando. Sta di fatto che se la prima serata si apre con Santamaria e le gemelle Kessler (una delle quali è il chitarrista degli Interpol, ricordiamo) e da lì in poi si dispiegano pezzi in gara tra i quali il più memorabile a occhio e croce è scritto da Nina Zilli, alternati da ospitate tipo Franca Valeri e appunto le fottute Kessler e Tatanka Russo che sommate alla serata di ieri mettono insieme una situazione tipo Mostra delle atrocità (cito Ballard, non i Joy Division) (scherzo) in cui IL FAZ continua a intervenire con recensioni in diretta tipo “è stato un momento davvero memorabile”; l’intento manco troppo nascosto, naturalmente, è quello di abbassare il livello della prima parte della serata così da raggiungere un climax inaspettato e sborrare un ottovolante artistico nel culo di ogni indiesnob attaccato a twitter in questo momento (presenti inclusi). Il fottutissimo MAGONE che sale su Baglioni e l’artisticamente inappuntabile rottura di cazzo di Sinigallia in concorso, slavata da Sarcina per darci modo di avere uno sguardo critico sulla cosa (del tutto inutile nel momento in cui il busto s’irrigidisce nel tentativo di essere sciolti e non dire in giro che TUTTI noi l’abbiamo sempre chiamato con l’accento sulla I e non sulla A). E poi Rufus Wainwright che ti entra nel culo già unto spaccandoti a metà con Across the Universe, e a quel punto puoi pure aspettare la morte ideologica che tanto hai la pancia piena. Senza alcun nesso logico a parte la necessità di finire il pezzo, vado con le rece dei pezzi in gara, big e nuove proposte:

 

FRANCESCO RENGA

La più grande qualità di Renga è che fondamentalmente non esiste. Tu stai lì con la sensazione di fissare un palco vuoto, a un certo punto rinvieni, controlli e il palco è vuoto sul serio; Renga te la spara così, sempre addosso con quel modo gentile e democristiano di uno che ha cura di non disturbarti, e a me ricorda sempre molto certe robe norvegesi tipo Alog o Biosphere che stai lì e ti fai cullare da questa musica che se la senti o non la senti ti fa lo stesso effetto, ed è bellissimo perché se lo piazzano primo in scaletta c’è ancora da mettere i piatti in lavastoviglie e scopare il pavimento. Passa il pezzo più scritto da Elisa dei due.

 

GIULIANO PALMA

Arriva sul palco con gli occhiali da sole e capisci che invece di venir qui a insegnare LO STILE s’è presentato per la gag. Ora io mi vergogno un po’ a dire che mi piace Nina Zilli, ma è sempre meglio di un calcio nel culo e il King è comunque impostato a prescindere. Verrà asfaltato più o meno da chiunque, mi dispiacerà, farò spallucce e commenterò che ogni stop è solo un altro start pensando di essere divertente.

 

NOEMI

Prima o poi vincerà anche lei il suo festival. Ha la dignità di presentarsi con dei pezzi da podio, e quest’anno si veste pure tipo Katy Perry ai provini per il reboot di Flash Gordon, rimane il fatto che se quest’anno arriva più alta di Giusy Ferreri capace che pianto un machete nel collo di qualche essere umano a caso che mi sembri avere possibilità di entrare in una giuria demoscopica.

 

RON

Si presenta con un pezzo glorioso alla Ron e con un pezzo indiefolk di merda (cioè pienamente al livello di qualsiasi scarso di cui abbiamo comprato dischi nell’ultimo quinquennio), passa quest’ultimo, siete presi male perché vi pippa il culo. Anche io.

 

RENZO RUBINO

Ogni anno tra i big c’è qualcuno che mi prende male non conoscere prima del festival, e ogni anno decido che non vale la pena. Diciamo che tra Renzo Rubino e Simona Molinari preferisco Simona Molinari sia musicalmente che come estetica generale.

 

RICCARDO SINIGALLIA

Riccardo Sinigallia mi fa vomitare. Comprendo che faccia musica molto più ricercata e personale di chiunque altro in gara ma mi fa comunque vomitare, questioni personali mie, mai sopportato, manco quando ero un fanatico di Blow Up e Zingales lo spingeva come se fosse il De Gregori della nostra epoca. La cosa bella che distingue i blogger musicali dai giornalisti musicali è che si sentono in obbligo di dire che una cosa bella è una cosa bella, mentre io posso tranquillamente passare le giornate a insultare gente contro cui tutto sommato non ho niente per il solo motivo che la loro stessa professionalità senza sbavature mi irrita e mi fa sentire privo di argomenti. Vi invito a considerare comunque che il modo tentacolare in cui i due pezzi di Sinigallia ci rompono i coglioni (pluralone maiestatis) nel disperato tentativo di sovra-intellettualizzare roba intellettualizzabilissima per conto suo, fallito peraltro in un suono liofilizzato e carino all’estremo, un po’ alla Naked City (cito il film del ’48, non il gruppo) (scherzo) sono probabilmente l’unica crepa nell’armatura altrimenti perfetta del FAZISMO imperante dell’attuale edizione: arrivi al secondo pezzo slabbrato di noia che quasi quasi sei pronto per Sarcina. Da questo punto di vista odiare Sinigallia senza alcun motivo diventa un altro punto fisso della nostra resistenza, forse ancora più importante dell’odio cieco e scriteriato verso il fottuto CRIBER (scherzo).

 

SARCINA

Non ho opinioni in proposito.

 

 

GIOVANI

Dei giovani non ho molto da dire: la vecchiaia t’incula nel momento in cui scopri di aver vissuto dei festival in cui  tra le nuove proposte una come Giorgia Todrani (mica ho detto Lighea) arrivava tipo SETTIMA nella classifica finale dietro Bocelli, Danilo Amerio, Irene Grandi e paradossalmente Lighea. Stasera viene scartato il figlio di Ivan Graziani, altro colpo basso alle trame del FAZ (il quale probabilmente l’aveva fatto andare avanti all’apposito scopo di farlo decapitare e dare l’idea che le sue trame si stessero indebolendo), per fare spazio a un buzzurro che non mi ricordo come si chiama e a un altro tizio di nome Deodato e fissatevelo in mente perché non dimenticheremo, NON DIMENTICHEREMO, che questo tale Diodato si è presentato con un pezzo vuoto e triste e la magliettina di Daniel Johnston con scritto sopra HI HOW ARE YOU sotto la giacca, la quale (nonostante io ancora mi sciolga con Daniel Johnston) è diventata ufficialmente dal 2009 circa il simbolo occulto della massoneria degli stronzi. L’unico altro pezzo in gara era tipo avvilente.