dischi stupidi: MUSE – THE 2ND LAW (Warner)

La cosa peggiore dei Muse, qualcuno di voialtri si piglierà male a leggerlo, non è la musica. La cosa peggiore dei Muse è l’esistenza del gruppo. La seconda cosa peggiore dei Muse è che l’esistenza del gruppo non può essere ignorata. Se i Muse non esistessero o se fossero dei Darkness qualsiasi, la musica dei Muse non sarebbe un problema o sarebbe comunque normalissima musica di merda fatta più o meno apposta per segnare a mo’ di bandierina rossa la gente che possiede loro dischi come noti ascoltatori di musica di merda, una categoria di cui tra l’altro fa parte un sacco di gente simpatica e bravissima a fare il proprio lavoro, quindi insomma, senza rancore. Non è così.

I Muse sono con te ogni momento. Anche quando il loro ultimo disco non è uscito di recente e non senti le radio passare i loro pezzi al posto di qualsiasi altra cosa passi per radio, c’è un sentore nell’aria che non accenna a sparire, s’infila tra le scapole come un coltello e rende noioso e senza senso qualunque discorso sulla musica in cui ti trovi coinvolto durante la giornata (da internet in poi passare tutto il tempo libero a parlare di cretinate sulla musica non vuol più dire che sei un idiota totale).

Prendiamo, più o meno a caso, il nuovo disco dei Grizzly Bear. Ora, io non odio i Grizzly Bear, sono bravissimi nel genere che fanno e sono dei buoni autori di canzoni, caratteristica che di per sè (specie in questo periodo storico) li rende molto più fighi della media dei gruppi del nostro tempo. Però i Grizzly Bear hanno un’attitudine troppo al centro delle correnti e/o il fatto che siano così gentili e perfetti nel loro essere occasionalmente sporchi dà alla loro musica un fastidioso gusto da giro nei bassifondi, come se l’indie-folk fosse una condizione transitoria dell’esistenza sulla strada per diventare Yusuf Islam, quindi per certi versi una cosa sbagliata e sospetta dal punto di vista politico, come se in realtà i Grizzly Bear non avessero voluto fare davvero i dischi che stanno facendo e stiano sfregandosi le mani alla Bruno Vespa sussurrando a mezza bocca vedrai tra cinque anni col singolo alla fine del nuovo film di Wes Anderson. Per farsi quest’opinione uno come me passa diverso tempo sui loro dischi, li riascolta continuando a trovarli tutto-sommato-carini e registrando il fatto che non scatta quel fatidico click che ti mette in perfetta sintonia con un artista/gruppo, e poi magari si infila in una discussione su Friendfeed o su FB o su qualche forum e la spiattella a tutti preparandosi ad argomentare e non farsi dare del troll mentre continua a sentirsi il disco. Poi il disco dei Grizzly Bear finisce e magari inizia il nuovo disco dei Muse, il peggior coacervo di puttanate messe in musica dai tempi del disco precedente dei Muse, un buco nero culturale in cui Matt Bellamy e soci ripescano a cazzo qualsiasi brutta cosa sia mai stata messa in musica (Jean Michel Jarre, i Queen, i peggiori U2, il glam-metal e tutto il resto) e lo frullano in un contenitore nuovo di musica ancora più priva di gusto, senso e vergogna. Qualsiasi altro esempio recente di musica sbagliata semplicemente non può competere. E nello stesso momento io sto lì a dire cose brutte dei Grizzly Bear, sentendomi come uno che va a fare una vacanza in Congo e si lamenta perchè nel bagno della sua camera il bidè non butta acqua calda.

Il punto è che i Muse possono tutto sommato stare in una discografia come la mia e la vostra. Hanno suonato di spalla ai Deftones e ai RATM in festival italiani, lo so perchè c’ero, e la gente faceva sì con la testa immaginandoseli più avanti in scaletta l’anno successivo. E hanno continuato un processo di plastificazione della musica che ha qualcosa di sublime e fascinoso nel suo andare contro qualsiasi buon senso legato al gusto musicale di chiunque io conosca, lasciando volentieri ai Coldplay (altro gruppo di cui ti viene da dire tutto il male possibile e poi ti ricordi dei Muse) l’ingombrante ruolo di nuovi Radiohead/U2, diventando un concetto bruttissimo che riesce a far coesistere pomp rock di merda e pop di merda nello stesso format in cui tutto è gigantesco e luminoso e pieno di visual per la gioia dei settantamila che si dirigono verso San Siro col cartoncino di sangiovese del Ronco e la maglia del tour precedente dei Muse. E nel contempo ogni nuovo disco di Bellamy & Co. mette in piedi un nuovo dibattito tra quelli pro e quelli contro, nel quale pesi da una parte l’oggettiva bruttezza della loro musica e dall’altra il fatto che suonino bene dal vivo e/o abbiano un passato rispettabile. Che tra l’altro non è: uno si ascolta Showbiz e anche se non sono ancora presenti i pezzi plagiati da una Another One Bites the Dust è già tutto lì dentro, in nuce, manco troppo nascosto nei riffoni cock rock delle varie Muscle Museum a battere il tempo di un britpop dopatissimo stile ecco i figli di OK Computer (voglio dire, guardando ai Muse i Radiohead di Kid A assumono davvero un senso). E sì, la griglia dei sostenitori tra chi ha un’idea anche solo vaga di musica si sta assottigliando, ma continuano a essercene, vivono tra noi e li sostengono in quanto gruppo in continua mutazione che non siede sugli allori. Questa cosa con i Maroon5 non succede, nemmeno a fronte dell’occupazione militare di Radio Deejay all’uscita di ogni nuovo singolo. Perchè? A che pro? Continuo a non capire. Continuo ad ascoltare ogni nuovo disco dei Muse per rendermi conto quanto e come sia possibile SBAGLIARE un disco con a disposizione un budget potenzialmente illimitato e un personale che ti permetta di fare qualsiasi cosa tu voglia, di quanto il gruppo tocchi nuove frontiere del cattivo gusto e della vergogna. Mi ritrovo con le mani in mano e la morte nel culo, e credo che davvero The Second Law sia il punto di arrivo, l’esperienza limite, il disco più cafone in senso sbagliato della storia della musica. E poi mi rendo conto che prima o poi lo dimenticherò, passerò ad altre battaglie e darò un senso al tempo che perdo ad aggiornare Bastonate. E poi i Muse faranno un altro disco e lo metteranno in streaming sul Guardian e ci ritroveremo tutti daccapo, tutti dalla stessa parte della barricata a darci di gomito e offrirci birre sfottendo chi si fa la notte in bianco per comprare il biglietto in prevendita a 80 euro.

Rock geriatrico – collezione autunno 2011.

Bardiel.

Il disco dei Metallica con Lou Reed, minacciato da mesi a furia di mezze parole e anticipazioni di copertine brutte e tutto il resto, è triste noioso e brutto in culo. È una cattiva notizia non tanto per chi si aspettava qualcosa dagli uni e dall’altro (l’unico tratto in comune tra i due sembra poter essere che il loro unico contributo al pop dell’ultimo ventennio non sia venuto dai loro dischi: i Metallica hanno iniziato la guerra contro il file-sharing, Lou Reed ha scoperto Antony per caso e l’ha aiutato a diventare una popstar); è triste soprattutto per chi si aspettava, tipo io, un momento di svacco assoluto e/o un nuovo standard del peggio, tipo la versione metal obeso del disco di William Shatner o che. Qualcosa di incredibilmente kitsch e vaneggiante, qualcosa che facesse a pugni con qualsiasi idea di contemporaneità. Così non è. LULU sta a metà tra l’ambizione di ributtar fuori un disco dei Velvet Underground a caso in versione doom metal classico e la speranza di tirar su qualche soldo tra quelli che nei primi anni duemila avevano ascoltato il primo Audioslave e avevano iniziato a gridare al ritorno dell’american rawk. Nessuno dei cinque elementi coinvolti, e mettiamoci pure nel conto lo staff produttivo e la gente che ha lavorato alla promozione, sembra avere il minimo dubbio sul fatto che questa cosa dei Metallica con Lou Reed sia serissima e normalissima. Fatte le dovute distinzioni, i soldi e il tempo investiti in questa faccenda hanno qualcosa di agghiacciante. Il disco ha già meritato il titolo di album da deridere dell’anno in corso, ma non è affatto meritevole di scherno. È solo triste noioso e brutto in culo, e fa cagare addosso dal ridere a quelli che si mangiano TUTTA l’altra merda solo perché gente più influente dell’ascoltatore medio aveva già scongelato il parere e non voleva buttarlo, per così dire. Possibile recensione al seguente link.

Il titolo di opera da deridere dell’anno in corso immagino vada invece al disco di un altro gruppo che nonostante si chiami SUPERHEAVY (credo maiuscolo) non c’entra un cazzaccio di nientaccio con bastonate punto wordpress punto com: è il nome di un gruppo che sta girando adesso e che comprende nientepopodimeno che Mick Jagger (il cui unico contributo alla musica pop degli ultimi vent’anni è stato quello di ricordarci che nella disputa tra Beatles e Rolling Stones hanno sempre vinto gli Slayer, figurarsi contro i Metallica e Lou Reed) assieme a Joss Stone e un figlio di Bob Marley a caso, anch’esso destinato (non lo so, lo immagino solo) come gli altri figli di Bob Marley e/o i figli di altri artisti morti a rimpinguare le fila di chi dovrebbe suonare un aratro invece che una chitarra. Insomma, c’è un singolone dubbettone in giro per le radio che grida vendetta e automobili rigate, e non avete ancora visto il video. Il resto del disco non l’ho sentito e non credo lo farò entro la fine del mese. Ho già altri conti da pagare, e.g. la Telecom mi tartassa di chiamate.

Una gallina vecchia che fa ancora il brodo buono invece si chiama Noel Gallagher, che da diversi mesi sta sfrangiando il cazzo col singolissimo The Death of You and Me, a nome Noel Gallagher’s High Flying Birds (credo che sia come dire Ariel Pink’s Haunted Graffiti). E niente, basterebbe anche solo il singolo a mandare in soffitta la controparte Beady Eye, la quale comunque viene mandata in soffitta anche da una mia scoreggia l’altro ieri mentre uscivo al casello di Cesena Sud ascoltando la colonna sonora di Drive, ho persino chiesto al casellante se gli piacesse l’avant-pop. Ma il disco, IL DISCO, è una roba di fierezza british di ritorno che non si sentiva da anni, specie perché io non ascolto la roba british se non si tratta di Oasis e gruppi coevi e non credo di perdermi niente di figo (magari qualcuno venga qui sotto e usi la parola KASABIAN, dai, ti sfido due volte ti sfido figlio di puttana dì KASABIAN un’altra maledettissima volta). All killers no fillers, come ai glioriosi tempi degli Oasis dei primi dischi (poi a me gli Oasis piacevano anche quando rompevano il cazzo a tutti perché ogni tanto arrivava una spallata di Noel stile Little by Little, quelle robe fatte per fare urlare gli hooligan ubriachi). Comunque anche tra Oasis e Blur vincevano sempre gli Slayer. Tra Take That e East17 non sono altrettanto sicuro.