Piccola premessa obbligatoria: J Mascis sono i Dinosaur Jr. Quella con Lou Barlow e Murph è solo una formazione, e nemmeno la migliore. Di solito chi pensa che Dinosaur Jr = J Lou e Murph sono le stesse teste di cazzo che ritengono “banali” dischi come Where You Been o Hand It Over (il vero capolavoro misconosciuto del marchio, uno di quei dischi di cui si può solo sperare di poter arrivare a comprenderne parte della grandezza), gli stessi microcefali che liquidavano con un’alzatina di spalle le uscite a nome J Mascis + The Fog atteggiandosi a chi è ormai avvezzo a tutto e annoiato a morte, gli stessi mongoloidi che ora si spellano le mani a furia di applausi e accorrono a frotte all’obbligatoria reunion accontenta-idioti di tempi recenti. Gente, in ogni caso, che sembra faccia un vanto della propria intrinseca coglionaggine nell’insistere a non voler capire che le sole differenze tra You’re Living All Over Me e Free So Free sono il nome sulla copertina e due canzoni brutte in meno. Che Dinosaur Jr significa J Mascis, gli altri sono solo braccia intercambiabili dietro allo strumento. Per questo, il fatto che un concerto potenzialmente perfetto sia stato in parte rovinato da due gregari del cazzo che per chissà quale motivo (che non so né voglio sapere) avevano poca voglia di suonare è qualcosa che, a posteriori, è capace di toglierti il sorriso per settimane. A posteriori, perché lì sul momento l’Estragon era talmente pieno che era già tanto se riuscivi a renderti conto di stare al mondo: la collocazione dell’evento all’interno dell’usuale “Summer Festival” (dieci concerti compresi in una tessera dal costo di dieci euro) ha reso la serata decisamente appetibile anche per via del prezzo ribassato (contando che le altre date viaggiavano a una media di diciotto euro – più prevendita – a botta), e l’entrata con tessera rende anche la sola ipotesi di un controllo degli ingressi pura utopia. Il locale è stipato da far spavento, la temperatura interna è tale da far sembrare il clima su Mercurio “temperato”, farsi strada tra la calca diventa più arduo di un decimo livello di Tetris; chiunque fosse dotato di un paio di orecchie funzionanti c’era. Se anche solo tre anni fa aveste detto a J Mascis che un giorno avrebbe visto l’Estragon così pieno, probabilmente lui stesso vi avrebbe dedicato uno dei suoi inquietanti risolini da autistico, prima di andarsene affanculo altrove; sta di fatto che il più carico di tutti è proprio lui. Alza il sopracciglio, addirittura sorride, a fine concerto bofonchia perfino “grazie” in italiano agitando la manina. Ma soprattutto sgrana assoli come fossero rosari in mano a una vedova siciliana; è incontenibile, inarrestabile, fosse per lui ogni brano si trasformerebbe in una jam senza fine. Ma evidentemente Barlow e Murph non sono della stessa idea, visto che su I don’t wanna go there e Thumb smettono di suonare mentre J è ancora in estasi mistica, perso nei suoi deliri chitarristici eterni; li perdoneresti pure se solo non troncassero sul finale perfino Freak scene, il pezzo con cui da sempre Mascis chiude i suoi live. Suona come un affronto, la rivolta degli schiavi. Mentre la folla placidamente si disperde, chi a guadagnare l’uscita chi ad attardarsi davanti all’esosissimo banchetto merchandising, il pensiero nella mia testa è uno solo: ridateci Mike Johnson, per Dio.