Codeine @ Locomotiv, Bologna (31/05/2012)

Good Evening, we’re Codeine from New York City. Di mio ho sempre preferito i gruppi che si presentano prima di iniziare  a suonare, perché è una cosa giusta da fare e sembra sempre un po’ come se tu non abbia fatto cento chilometri per vederli. E poi mi sono sempre chiesto se si dicesse còdeine o codeìn o codèin, io di solito uso la seconda. Stephen Immerwahr pronuncia Codììn, ha una voce lenta e un portamento da professore di antropologia. John Engle somiglia un po’ a Stone Gossard coi capelli corti, nel senso che tiene la chitarra come se non ne avesse mai vista una fino a dieci minuti prima di salire sul palco. Chris Brokaw, schiacciato sul fondo del palco, è un batterista grandioso. Ho sentito tre o quattro concerti con dei suoni così perfetti: un paio dei Mono, Shellac, Arto Lindsay, altre cose al momento mi sfuggono. Immerwahr tra l’altro ad Arto Lindsay ci somiglia un po’, ha la stessa vocetta e un modo simile di stare sul palco.

Last time I was in Bologna, you were probably 10 years old.
You’ve done well.

Matteo era passato sulla reunion dei Codeine chiedendosi se sarebbe stato più sbagliato paccare la reunion o presentarsi con la consapevolezza di un karaoke per introdotti panzoni: io ho scelto la seconda. Il gruppo sul palco non lascia spazio a interpretazioni: sono tre signori di mezza età che hanno ricostruito una band defunta da quasi vent’anni per suonare qualche concerto, si trovano davanti un mare di gente in festa e ringraziano timidamente. Un po’ sembrano far fatica anche loro a capire cosa sia successo. Rispondono nell’unico modo sensato: chini sui loro strumenti, suoni perfetti e una scaletta che pesca un po’ da tutta la loro discografia (capirai). Stephen è l’unico con un microfono davanti. La prima è D, cioè quella che apre Frigid Stars. L’ultima si chiama Broken Hearted Wine e se devo essere sincero non l’ho mai ascoltata prima di ieri sera (devastante). Immerwahr la presenta con un filo di voce: the other songs, you could call them un happy. This one, i wouldn’t say it’s a happy song but for sure it’s not unhappy. Mi devasta. Dei gruppi che aprono si segnala il finale in acustico dei Comaneci, in mezzo alla sala semivuota con dedica a Tiziano/Bob Corn, danneggiato dal terremoto. Poi la sala si riempie di gentaglia: panzoni, ultratrentenni, gente in botta, studenti fuori sede con le lenti come il fondo delle bottiglie e gli occhi umidi sotto. Quelli con le magliette azzurre fosforescenti hanno paccato in favore dei Cloud Nothings la sera prima. Speriamo gli sia andata bene.

(la foto l’ho scattata io per pressappoco)