Il problema è che alla gente è piaciuto il disco sbagliato. Non capita sempre così d’altronde? Ma stavolta è diverso, questa volta è una questione personale. Di Frigid Stars non me ne è mai fregato un cazzo, non ha mai fatto parte della mia vita, non mi ha mai detto niente della mia vita. Viceversa, The White Birch mi tiene compagnia da più tempo di quanto sia disposto ad ammettere; è un porto sicuro a cui tornare ogni volta che la situazione non migliora, quando stare male non è più un’opzione, è come un amico che c’è sempre, come un cane che non muore. Non risolve niente, non è compito di un disco del resto, ma è taumaturgico almeno quanto una carezza o una pacca sulla spalla o le parole giuste al momento giusto, e quelle parole non smettono di fare lo stesso effetto – non su di me almeno.
Soltanto in un secondo momento subentra la consapevolezza che musicalmente era e resta anni luce distante (non indietro o avanti) da qualsiasi altra cosa sia mai stata e sarà mai registrata, un suono più vicino a un’idea, a uno stato della mente, un inverno perenne dove l’aria gelida è quasi sempre immobile e il sole non sorge mai, le esplosioni di chitarra un grido muto nella tormenta, la sola presenza mortale in un deserto di ghiaccio a meno ottanta gradi sottozero, lontano da ogni insediamento umano, lontano da tutto. Era il 1994 ma sono quei casi in cui il tempo perde di significato, comunque hanno aperto una strada che nessuno poi ha percorso – tantomeno la congrega di allegroni slowcore del periodo (probabilmente la scena più insensata e peregrina di sempre). Quando si sciolgono li piangono in pochi. Non ricordo le ragioni alla base dello split, lette tra le righe di una delle rare interviste postume e immediatamente dimenticate, ma ho sempre pensato che sia stato giusto così: oltre The White Birch era – è – impossibile spingersi.
Che i Codeine vengano ricordati soprattutto per Frigid Stars è solo un’altra delle infinite ingiustizie perpetrate quotidianamente nel mondo, sia pure in buona fede. Nessun problema finché il loro nome resta confinato nel limbo dei ricordi, fantasma di un passato ormai sempre più lontano, al massimo tirato fuori come sofisticato gimmick per svoltare nelle conversazioni scacciafiga (“te li ricordi quelli lì? quelli là?” – inserire nomi di gruppi dimenticati a caso, meglio se sconosciuti); diventa una beffa crudele quando li scopri riformati e ritornanti senza un perché come dei Refused qualsiasi. Per ora si limitano a scorrazzare per i festival ma se mai torneranno in tour che dolore sarà, ragazzi: ignorarli o prendere parte al karaoke? Quale che sia la scelta, una cosa è certa: sarà sbagliata.