Mentre andava il ventennale della morte di Kurt Cobain ero a vedere Caso dal vivo.

cazo

Non sono bravo a fare i live report perché il live report è uno sport un po’ così. Questo è il live report di un concerto acustico tenutosi a Fusignano un paio di sere fa. Quattro righe se ne andranno via in preliminari e descrizioni. Il Brainstorm è un circolo Arci, direi ex-casa del popolo propriamente detta, e ha le forme di una balera al primo piano di uno stabile nella piazza del paese o della città che dir si voglia; probabilmente ha conosciuto tempi migliori, serate di tutto esaurito cariche di folkster romagnoli -di quei periodi rimane un mural PAZZESCO alle pareti, una roba surrealista sulla società (cit). Per arrivare a Fusignano si fa l’Adriatica/Reale fino al rotondone prima di Alfonsine e poi si prende la Rossetta, che è sia una strada che un paese attraversato dalla strada. A Rossetta c’è un pub molto carino che si chiama Mataluna, ci sono andato sei o sette volte da quando frequento Ravenna compreso un caffè di passaggio nella serata di cui sto parlando. E poi c’è una piscina gigantesca e un distributore di metano. mi hanno detto che la piscina l’hanno costruita a Rossetta, in mezzo al NULLA, perchè è equidistante da tre comuni distinti (Bagnacavallo Fusignano e non so che altro) che non avevano i soldi per farsi tre piscine separate. La serata organizzata dal Brainstorm prevede l’esibizione di tre artisti: il primo è un tizio che (a quanto pare) suona nei Girless and the Orphan e di suo si chiama Goldaline My Dear, poi ci sono i Cosmetic in acustico e poi c’è Caso. Io sono qua per vedere Caso. L’ultimo disco di Caso mi è scoppiato in faccia un annetto fa. Racconto la storia dall’inizio che il blog è mio e mica mi taglio i pezzi.

Anzi no, la storia l’ho raccontata poco tempo fa in un altro blog che ho aperto. Il blog si chiama MEZZA PINTA e parla di birra, andateci e leggetevi la storia di me che ascolto il disco di Caso. Manca la critica artistica, che a questo punto non riuscirò mai più a fare perché su queste pagine me la sono bruciata in fretta e insomma, tante cose. La cosa bella di Caso sono i testi, la musica, il modo in cui si incrociano la musica e i testi e la sua voce e anche l’accento nordista con cui li canta (ok, lo ammetto, sono un po’ in fissa). La cosa bella della serata è che non suona nessun brutto gruppo: Goldaline My Dear canta in inglese e ha pezzi emo dolci ma non stronzi, non so se avete presente quando i gruppi emo andavano così di moda da generare una sottocultura di solisti-emo-in-acustico alla Dashboard Confessional (suppongo di sì). OK, Goldaline My Dear sarebbe il prodotto di quella roba lì se poi non fosse andato tutto a puttane. Bart Cosmetic è il principe dei cazzari: roba tardoadolescenziale fragilissima cantata con un filo di voce per cui è quasi impossibile non tifare. E poi c’è Caso, e Caso è il motivo per cui sono qui e il motivo per cui scrivo il pezzo. Inizia poco prima di mezzanotte, e a mezzanotte saranno vent’anni tondi che Kurt Cobain s’è sparato in testa. Un paio di volte, mentre Caso sta suonando, penso a Kurt Cobain.

Il ricordo più intenso che ho di quando si è sparato Kurt Cobain è in realtà un ricordo del primo anniversario della morte. C’era una bacheca al liceo scientifico, una roba per annunci e messaggini d’amore, e un mio compagno di classe (non) di nome Fabio, di cui ho raccontato un’altra storia qui, era incazzatissimo per via del fatto che “Kurt” era stato “dimenticato da tutti”. così il giorno dopo attaccò alla bacheca uno striscione che diceva qualcosa tipo “NON MOLLEREMO MAI”, e il giorno dopo qualcuno ci aveva scritto sotto “WSB”. Magari se siete di fuori o poco appassionati di pallone ve la spiego, ma di fatto la morte di Kurt Cobain non mi ha mai detto molto. So di qualcuno che ha pianto tre settimane per la morte di Kurt Cobain (so anche di qualcuno che ha pianto tre settimane quando è morto Layne Staley, e anche di qualcuno che ha smesso di mangiare per giorni dopo che Robbie Williams ha splittato con i Take That), ma se ci penso a mente fredda la morte di Kurt Cobain è stata, oltre che una tragedia, il regalo più grande che ci sia mai stato fatto. Vedete, prima o poi Kurt Cobain avrebbe fatto qualcosa di brutto o sbagliato o gliel’avrebbe data su e sarebbe tornato dieci anni dopo con un disco del cazzo, o un disco che molti avrebbero reputato del cazzo. Probabilmente avrebbe curato l’ulcera e fatto pace con i suoi demoni e sarebbe stato un altro Trent Reznor o peggio. Io quelli che lo chiamano “Kurt” e basta li odio. A volte viene da pensare che questi artisti qua siano i nostri migliori amici, ma quello che vogliamo da loro sono DISCHI BELLI e CONCERTI BELLI. Se non avessero fatto quei dischi meravigliosi nessuno di noi li avrebbe cacati di striscio –e le ragazze men che meno. Stasera di ragazze ce ne sono pochine e credo siano le fidanzate di qualcun altro dei presenti. L’età media è più bassa della mia, l’afflusso sta intorno alle trentacinque persone compresi i musicisti e quelli che stanno al bar e fanno i suoni, che per una serata a due euro vuol dire un budget da dividere che copre manco la benzina. Il palco c’è ma in realtà stasera si suona su un tappeto in mezzo alla sala con degli addobbi fatti di luci di natale dentro vasi di vetro. Ho visto qualche musicista preso bene in vita mia, ma Caso è una classe a parte: suona i pezzi con e senza microfono, con e senza amplificazione, si butta in mezzo al pubblico, la gente canta le canzoni del disco vecchio. Lui le sue canzoni le spiega tutte, ti dice che poi ha trovato i fucili di suo nonno cacciatore, racconta tutte le storie di un posto che è lontano da qui ma sostanzialmente identico, forse ci sono i campi attorno e i matrimoni col buffet che tu ci scrivi una canzone e poi siete tutti troppo ubriachi e la canzone lui la suona stasera, e metà del testo forse lo capirà solo lo sposo ma lo capisci che è la più bella canzone che sia mai stata scritta per un matrimonio e che in questo momento stai sentendo il concerto di un tizio con la chitarrina ma stai anche un po’ guardando Un mercoledì da leoni.

Credo di capire perché a un pacco di gente che conosco (e a cui ho rotto pesantemente i coglioni in merito) la musica di Caso non sembra niente di che: è molto indulgente, ha dei riferimenti precisi, quel vago sapore letterario da poeta/cantautore maledetto che va contro i mulini a vento con una chitarrina del cazzo e l’armonica a bocca, metà delle canzoni parlano del fatto che le sta cantando e insomma, io stesso se non fosse uscito per To Lose La Track non l’avrei cagato manco di striscio. E poi si chiama Caso perché di cognome fa Casali, che è come quei tizi che facevano i fighi allo scientifico e si limonavano le tipe che mi piacevano e scrivevano WSB sugli striscioni in bacheca, voglio dire, io un po’ mi vergognerei a farmi chiamare FARO (e calcola che per anni non mi sono vergognato a farmi chiamare KEKKO con tre cappe). Però la musica a volte lavora anche contro i miei pregiudizi e spesso sono quelli i casi in cui la musica ti spacca il culo, e a me la musica di Caso mi spacca il culo. Lui finisce il set con Aranciata Amara, canta “le poche righe stronze di un mensile musicale”, mi guarda con la coda dell’occhio e sorride. O è solo suggestione.

Cose di internet

Quello che segue è un piccolo vademecum di cose successe su internet di questi tempi. Quello che non sta qua dentro non è degno di esser letto. O anche sì. Non so. Sono combattuto. Alcune robe le ho infilate pretestuosamente solo perchè le ho scritte io.

Intanto sul nuovo Youthless c’è una bella intervista a Steve Albini presa al concerto di Bologna che a m.c. non è piaciuto e a me . Una cosa comune a tutte le interviste a Steve Albini è che Steve Albini dice cose, tendenzialmente giustissime e bellissime. Non fa eccezione la presente. L’unica controindicazione è che vi tocca spararvelo su issuu, che è quell’applicazione TERRIBILE con cui potete pubblicare una rivista su internet in modo che sembri di carta. Tipo quello che fa Instagram per gli iPhone, ed essendo io privo di iPhone Instagram è la nuova peste bubbonica. Approposito, quel mancarone di inkiostro (uomo di pregevoli letture e notevole resistenza all’alcool) ha scritto un posticino flash sulla suddetta Instragram. Ho già detto AFFANCULO ISSUU? L’ho detto.

Poi niente, già che stavamo a parlare di inkiostro voglio buttarmi via e segnare l’ennesimo capolavoro di nuxx (che questa settimana mi ha definito su twitter l’uomo con la pala dell’indie italiano, perché io c’ho gli amici giusti) apparso sul blog di cui sopra. È una specie di reboot a commento dei post dell’anno di vitaminic e come direbbe pikkio HAUNTA DI STRAMALEDETTA.

Pikkio e Vitaminic, che è una rivista web per cui scrivo, mi danno l’occasione per la terza autosponda in quattro paragrafi e mi permettono di segnalare che oltre ai dieci post dell’anno V ha anche messo su le dieci canzoni dell’anno, e siamo riusciti ad ottenere un podcast commentato dal suddetto dj pikkio che dice cose sostanzialmente giuste ma non giuste quanto quelle dette da Steve Albini –tanto per dire dj pikkio è uno che stronca i Black Mountain, ditemi se uno così lo devi lasciar parlare di musica.

Detto questo, non sono per un cazzo d’accordo con i dieci più bei pezzi di Vitaminic. La colpa più grave è stata quella di togliere il vero capolavoro dell’anno, vale a dire la cover sludge-noise di My Generation che sta sull’ultimo disco dei Melvins. Avendomi chiesto quelli di Vice i miei tre pezzi preferiti del 2010 li ho piazzati lì dentro, assieme a Black Mountain e Deerhunter se non erro (bevo troppo). Su questa uno spunto di riflessione: perché le cover punk rock di pezzi pop non mi fanno ridere da quando ho digerito  Stand By Me dei Pennywise e quelle sludge di qualunque cosa mi prendono sempre bene?

Un’altra cosa che riguarda gli affari miei è l’altro giorno è uscito un mio pezzo sul local-hero-blog frequenze indipendenti. Non parla di nulla. Se per voi frequenze indipendenti non è local probabilmente non siete delle mie parti, AKA la vostra vita fa abbastanza cagare.

Passando ad altri cazzi, la buona notizia è che la seconda anticipazione dal nuovo REM è mooolto meglio della prima anticipazione. Ce ne parla diffusamente ogni abitante del globo con una connessione ADSL, e tra i vari segnaliamo senz’altro il solito Colasanti (una delle massime autorità tra i 30 e i 40 quando si tratta di spaccare i coglioni coi REM).

Su Junkiepop invece si stan scannando con le classifiche di fine anno (alcuni crimini, ma veniali), come poi il resto del mondo. Stavo per fare la playlist delle mie playlist preferite ma qualcuno ha proposto di farla su twitter e mi ha bruciato l’idea –tanto leggerla sarebbe stata noiosissima. Kanye West cmq è il disco dell’anno di Pitchfork. Mi sa che se lo merita, fermo restando che fra tre mesi il disco di Kanye sarà giustamente accantonato in favore di qualche altro vate della sua risma (probabilmente Lady Gaga, che a quanto ne so dovrebbe buttar fuori un album a breve).

Una cosa che NON vi potete perdere è la black list dei 400 calci, garantiti sedici minuti di LOLLONI grandi così. La spiegazione di cos’è una black list è nel post di cui sopra. ho detto LOLLONI. lo

Boh, credo che basti. Mi ci vorrà un’altra mezz’ora a mettere tutti i link e le foto. Mi sa che a corredo fotografico metto solo dei rettangolini colorati, o magari solo dei rettangoli neri. Farà schifo ma si guadagna tempo.

PS: Ultim’ora. Fiorio ha aperto il viral-saccosa-blog di fine 2011. Linkatevi. Contribuite. State bene.

Calboni sparava balle così mostruose che a quota 1600 Fantozzi fu colto da allucinazioni competitive.


Sabato scorso ero in viaggio in autostrada e durante una sosta pisciata-panino-acqua-caffé all’Autogrill ho avuto il piacere di vedere un indie che leggeva Libero comodamente seduto da solo ad un tavolino. L’ho insultato pesantemente ma lui non ha sentito nulla perché alle orecchie aveva auricolari + Ipod a volumi da lesione permanente al timpano, ed allora ho capito tutto. Ho avuto l’illuminazione. Non poteva sentirmi perché stava ascoltando il rock per culattoni dei Drums (un valente collaboratore di Rumore li ha definiti così nella recensione di un gruppo rock perdente chiamato Cheap Time, dunque deve essere per forza vero che i Drums fanno rock per culattoni – anzi per ”culatoni” come ha scritto il valente collaboratore di Rumore) e voleva far finta di essere aperto mentalmente visto che l’impero berlusconiano è lì lì per crollare.

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il download legale della settimana: GIRL TALK – ALL DAY (Illegal Art)

Nel comune di Cesena si chiama sfunezzo, con la Z di zanzara (da noi si dice ZZANZZARA, non DZANDZARA). È intraducibile, ma è quando arriva una persona e fa un gran casino senza chiedersi troppo di fino il motivo per cui lo sta facendo. Oppure quando qualcuno mostra di lavorare a una cosa senza realmente arrivare a un risultato finale compiuto e specifico, oppure un milione di altre descrizio
ni che si avvicinerebbero al concetto senza infilarlo. Comunque da noi è una specie di dispregiativo, tipo fai solo un gran sfunezzo ma alla fine diobò ti potevi anche stare a casa tua, cose che la figa lessa standard di Cesena non v’insegna (probabilmente perchè sullo sfunezzo non si può rosicare).

Ok, allora Girl Talk è il leader maximo dello sfunezzo applicato al pop. Dj Pikkio in chat lo definisce un riccardone del pop concettuale e/o una specie di Steve Vai del taglia/incolla. Sostanzialmente è un tizio che monta un pezzo con venti campionamenti da altri pezzi, perlopiù sgamabilissimi –anzi proprio in bella vista. Ne mette insieme venti e ci tira fuori un disco, lo mette in download gratuito e fa parlare di sé per un paio di giorni. Girl Talk è uno strano. A parte avere l’aspetto di una persona orribile, fino ad oggi il sampling è stato perlopiù affare del rap, all’interno del quale veniva disciplinato secondo regole non scritte (ma credo comunemente accettate) secondo le quali i break vanno presi e ricontestualizzati altrimenti è facile. Per così dire. Poi sono arrivati veri e propri generi di pop legati alla ricontestualizzazione millelire e/o alla reincisione di un pezzo rap con un ritornello dei Police, mentre più o meno la old school si barricava all’interno di un sistema sempre più autistico e schizofrenico (il che non è necessariamente un male, sia ben chiaro, tutt’altro). Nel nuovo millennio il campionamento è diventato più o meno uno sport, e allo stato attuale non è facilissimo capire cosa distingua il mash-up più becero da un furto ideologico dei Gang Of Four a caso o da un disco di cover country degli AC/DC piuttosto che da un mixone dei Soulwax con due ore di inizi di canzoni a caso. C’è anche tutta una letteratura che cerca di contestualizzare la cosa dal punto di vista degli affari legali e/o politici, problemi di difficile o difficilissima soluzione in qualsiasi caso. In tutto questo Girl Talk sembra semplicemente il più sciolto di tutti. Oggi esce il suo ultimo All Day, anche questo in download omaggio, e contiene dodici pezzi che mischiano una selezione più o meno casuale di tutto il pop in commercio senza troppi problemi di discernimento e con un’arroganza riccardona (grazie Pikkio) per nulla priva di gusto. Probabilmente a conti fatti il suo disco migliore, quello in cui anche la minima preoccupazione per la credibilità se ne va affanculo. Il tutto fatto per LO SFUNEZZO, ovviamente, ma se c’è un disco più carico da ascoltare in questi giorni me lo si segnali via mail. Grazie.

Nuovi rimedi per combattere l’afa

 

Le sei del mattino. Questa notte la temperatura, già assurdamente folle durante il giorno, non è scesa di un grado. O meglio, se anche è scesa, un permanente e impenetrabile tasso di umidità che avrebbe mandato in paranoia la più tenace delle zanzare di Singapore non ci ha permesso di registrare comunque alcuna variazione. Si gronda al minimo movimento, muri e pareti sono ancora roventi (per non parlare dell’asfalto), immettere aria dentro ai polmoni diventa roba da sfiancare Carl Lewis, sembra di stare respirando della ghiaia; nei giorni scorsi almeno per due-tre ore nel pieno della notte la combinazione letale afa+umidità concedeva una tregua, la morsa si allentava, ad aver fortuna si alzava perfino un infinitesimale alito di vento. Si poteva perlomeno tornare ad annaspare senza per questo cadere preda di visioni mistiche; si riusciva addirittura a dormire qualche ora, e i più temerari potevano cimentarsi nel tentativo di tirare una cagata decente senza poi svenire. Non questa notte. L’afa emiliana vive di vita propria: non è paragonabile a niente, non risponde a schemi o regole di sorta, è implacabile, non conosce rimedi né scappatoie. Ci hanno provato a raccontarla ma nessuno c’è riuscito, semplicemente perché non può essere spiegata: è così e basta. L’effetto a livello psichico è paragonabile soltanto a un insostenibile stato di allucinazione perenne, un senso di paralizzante angoscia cosmica che anche Lovecraft, nella più particolareggiata e malsana delle sue descrizioni, è riuscito soltanto a sfiorare. Solo chi è molto fortunato possiede gli anticorpi necessari per contrastarne parte della molestia; tutti gli altri possono soltanto continuare a subire rantolando nel fango, rassegnarsi a rinunciare definitivamente alla dignità del vivere, arrancando pietosamente giorno dopo maledetto giorno nella vana speranza che il supplizio non si protragga oltre la soglia dell’umanamente tollerabile. E i bollettini meteorologici non portano nessuna buona nuova; pochi minuti fa ho sentito Giuliacci annunciare che da lunedì arriverà l’anticiclone africano (il che nel linguaggio dei comuni mortali significa che farà ancora più caldo), come se quelle degli ultimi giorni fossero state temperature da Polo Nord.
Visto che gli scorsi rimedi per combattere l’afa hanno portato fortuna (il giorno dopo si è scatenato un temporale durato quarantotto ore ininterrotte che ha abbassato le temperature di almeno dieci gradi), e che considerata la situazione ci si aggrappa a tutto, ecco un altro consiglio musicale che non fallisce mai (perlomeno da queste parti) nel portare l’inverno almeno nella nostra testa. La cosa bella (per noi) è che questa volta non si tratta di un singolo brano bensì di un disco intero – il che significa durata più lunga, il che significa sollievo maggiore; ed è The White Birch, ultimo (in tutti i sensi) lavoro dei Codeine. Personalmente lo preferisco di gran lunga al pluricelebrato (da quelli che pensano di capirne di musica più degli altri) Frigid Stars, un gran disco ma decisamente ancora troppo allegro e positivo nonché impregnato di fastidiosi umori ‘siderali’ degni piuttosto di qualcuno dei miliardi di cloni incapaci degli Spacemen 3. The White Birch è un’altra cosa; è un disco capace di rovinare la giornata e far precipitare nel gorgo dei rimpianti e dei ricordi senza ritorno anche il più ricco arrogante fottuto pornodivo sulla faccia della terra. Uno straordinario capolavoro di sconforto, rassegnazione e dolore elevati alla massima potenza, nonché – ed è quel che ci interessa qui – uno dei dischi dal suono più gelido che io conosca; credetemi, non esiste black metal band al mondo che riesca a portare le folate di vento della più incarognita delle tempeste di neve direttamente nel salotto di casa come sono riusciti a fare i Codeine. Ogni riff, ogni variazione di tono, ogni passaggio è come se trasportassero nell’epicentro di una tormenta in cui a uccidere è il gelo che lentamente penetra nelle ossa, la visibilità ridotta a una decina di metri (ma tanto non servirebbe a un cazzo comunque), il ghiaccio che entra negli occhi e li fa lacrimare, le dita delle mani ormai blu. Oltre a fungere da megafono per dare voce ai deboli e agli umiliati di tutto il mondo (i testi sono tra i più tristi, empatici e universali di sempre), The White Birch è anche probabilmente il resoconto più fedele in musica delle fasi finali dell’ipotermia. L’ideale da mettere su in queste interminabili giornate terrificanti. Buon fine settimana, ovunque voi siate.

Codeine – Sea

Codeine – Tom