Winning for Frigo // Road to World Cup 2014, p. 1

I tedeschi chiedono pietà ma Frigo li annienta con i suoi cazzo di raggi oculistici rosa
I tedeschi chiedono pietà ma Frigo li annienta con i suoi cazzo di raggi oculistici rosa

Sapreste dirmi quanti statunitensi hanno giocato in serie A? Nemmeno io, ma so dirvi che i primi due sono stati Alfonso Negro (ala – quando i ruoli del calcio avevano ancora nomi evocativi e sensati, e questo è dedicato al fatto che odio e disprezzo il termine FALSO NUEVE– di squadroni come Angri, Fiorentina ed Ercolanese negli anni ’30 e ‘40) e Armando Frigo (Vicenza, Fiorentina e Spezia negli stessi anni). Negro e Frigo, non scherzo. Il primo, vista la malaparata della guerra imminente, preferì naturalizzarsi italiano, laurearsi in ginecologia, unirsi al Gruppo Universitario Fascista e organizzare l’amichevole tra Regio Esercito e Wehrmacht ad Atene (data e risultato sconosciuti), passando indenne attraverso la guerra e vivendo sereno tutta la sua vita a Firenze, dove aiutò parecchie mamme a dare alla luce i loro piccoli  e continuando a tempo perso a collaborare con la Wehrmacht e Ettore Majorana, collegato da remoto dall’Argentina (inciso: i due crearono in vitro i mostri “Majoruno” e “Majordos”, importati illegalmente in Italia da una compiacente Fiorentina, che doveva molti soldi a Negro dagli anni ’30, e che li fece passare per giocatori di nome Oscar Dertycia e Diego Latorre). Frigo, invece, era diverso, e tenendo fede a tutto quello in cui la sua patria, terra di libertà, gli aveva insegnato, reclutato nell’esercito combatté con coraggio l’oppressione nazista, venendo tuttavia catturato e ucciso in Croazia due giorni dopo l’8 settembre. Porci culoni inchiavabili tedeschi di merda che oggi, come se niente fosse, si presentano ai mondiali dove, indossando le loro tristi divise e gridando LA VOLTA BUONA, affronteranno proprio gli Stati Uniti (più Portogallo e Ghana), nel gruppo G che si chiama così in loro onore  – le banche, la Merkel e la finanza, insomma quelli cattivi, detengono il potere anche nel calcio e lo hanno imposto agli organizzatori. Ma, nonostante la rosa composta da giocatori provenienti da tutti i paesi che hanno i buffi con la Germania (e perciò da tutti i paesi tranne la Cina, che comunque so’ pippe) e nonostante un Miro Klose fresco e riposato – si riposa da tutta la stagione – quest’anno lo spirito di Frigo è tra i convocati nella Nazionale statunitense, e non gliene farà passare una. Forza ragazzi, win for Frigo.

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Non c’è niente di più angosciante al mondo di questo cazzo di internet e del suo popolo che lo riempie di stupidi ricordi personali come e peggio di Proust, che perlomeno non è che te lo leggevi veramente. I ricordi sul calcio, poi, sono davvero un distillato del male, pura demonologia qumranica di una non-generazione come la nostra che ha scelto di intellettualizzare Schillaci e renderlo simbolo di tutto ciò che potrebbe essere definito “minimum fax”. Quindi, ecco i ricordi personali più intensi di un decenne me, bimbo ricco che vide allo stadio tutte le partite dell’Italia giocate a Roma, e che già allora covava in sé il rifiuto di questo 2014, nel quale avrebbe programmaticamente deciso di non ricordare alcuna mano paterna, né alcuna idolatria per Totò. Io, come e peggio dei napoletani che tifarono Argentina in quella cazzo di semifinale, tifavo Uruguay per via di Ruben Sosa, e un pomeriggio comprai un bandierone uruguayano gigante che ancora possiedo – in Italia lo abbiamo solo io e l’ambasciata, credo – da un cartolaio di Piazza San Cosimato, e andai a giocare a calcio con gli altri ragazzini che mi chiamavano A SOSAAA. C’era uno che si affacciava alle finestre di Via Roma Libera e ci aggiornava sui risultati, ricordo come se fosse oggi, AHOO SCEGOSLOVACCHIA-SSSATI UNIDI UNO A ZZERO, dalla piazza, “CHI HA SEGNATO?”, e lui, “SGURÀVI”. Perciò, la morale è che io, con una rapida ricerca su Wikipedia, posso sapere esattamente dov’ero alle 17.25 del 9 giugno 1990, cioè il minuto del goal di Skuhravý contro gli Stati Uniti. Frigo non c’era: la Cecoslovacchia vinse 5-1, ma gli Stati Uniti, perlomeno, esistono ancora.

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UN MOMENTO! Ma perché cazzo c’era l’Unione Sovietica a Italia ’90!?

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Io ho sempre, sempre odiato gli outsiders, in ogni campo della vita (per dire, la ragazza di periferia con la valigia chiusa con lo spago carica dei suoi sogni che vince il dottorato al posto del grasso, coltissimo, ricchissimo me), ma tanto più nel calcio, dove si ripropongono spesso queste pazze e allegre bande di scanzonati ragazzi del Ruanda o del Chievo, che incantano le platee internazionali cacando il cazzo alle nazionali di paesi seri che sono lì per vincere la competizione e non in vacanza, che “l’importante è partecipare”. Sapete, quelle fottute Coste d’Avorio che fanno sognare Severgnini e dire un sacco di cose intelligenti ai commentatori tipo Gianni Mura. Per questa ragione, detestavo il Camerun di Italia ’90, esultavo quando Muslera nel 2006 mandava in pezzi il Ghana e “i sogni di un continente intero” (frase sicuramente pronunciata da migliaia di commentatori), ed ero praticamente io stesso il pallone calciato da Roberto Baggio che, proprio all’ultimo minuto, mostrava alla Nigeria e al popolo della sinistra che il Calcio è un gioco europeo. Questo per dire che tifo gli Stati Uniti, e se ci fosse Israele tiferei per Israele, e sogno un giorno di assistere a una finale della coppa del mondo tra questi due paesi per potere, per la prima volta nella vita, davvero guardare una partita con lo spirito del “vinca il migliore” perché, in entrambi i casi, il Soldo e la Ragione sarebbero padroni del mondo.

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Ma il calcio non è solo gioia, festa e spettacolo, e tra i ricordi più cari di ognuno si cela perlomeno un ricordo doloroso. Sì, Italia-Argentina mi distrusse, e all’ultimo calcio di rigore mi alzai urlando e strappai un quotidiano dove c’era la foto di Maradona. Non ricordo altro, se non che il giorno dopo andai al bar a fare i videogiochi in un clima di mestizia assoluta (c’era quel gioco di calcio, non ricordo il nome ma voi sì, con tutte le squadre internazionali. Io presi l’Atletico Madrid e un tizio mi fece AHOOOoo MA CHE TE PIII L’ARGENTINA?, e io iniziai a detestare i romani), e quando tornai a casa per pranzo mia sorella mi disse che era contenta che stessi bene, e che aveva avuto paura di leggere sul giornale

Italia-Argentina, per la tristezza bambino si uccide

(CONTINUA)

il listone del (ehm) martedì: DIECI CICCIONI CHE CI RENDONO LA VITA MIGLIORE.

La leggenda del RUOCK ha permesso ai suoi principali esponenti di dedicarsi a qualsiasi attività girasse a loro per la testa, a patto che queste attività non inficiassero l’impatto scenico delle foto sui giornali. A livello di immaginario sei una leggenda se ti mangi un pipistrello e un obeso di merda se ti mangi dieci pipistrelli al giorno. C’è un certo grado di accettazione di artisti dichiaratamente nazisti, pedofili, comunisti, cristiani, tossicodipendenti ed omicidi, ma continua un certo grado di autocensura della stampa quand’è il momento di parlare di un musicista sovrappeso, buttando alla peggio il discorso in caciara parlando di un generico disinteresse per i formalismi e l’estetica maggioritaria e continuando ad ignorare il problema, cioè che strafogarsi di cheeseburger è RUOCK e integrare con il tofu è LENTO, e che l’unico modo di non ingrassare scolandoti una bottiglia di Jack Daniels a sera è di morire di cirrosi epatica prima che succeda. La lista che segue, dunque, comprende dieci persone con problemi di peso che rappresentano a ragion veduta il meglio del meglio che la musica RUOCK ci abbia mai dato e che continuano ad alzare le spalle, affogarsi di pasta e suonare duro/veloce/incazzato. La riduzione a dieci nomi ha imposto scelte drastiche e l’esclusione di gente tipo Pink Eyes, il ciccione dei Raging Speedhorn, il batterista di Vasco Rossi, Fletcher dei Pennywise, il bassista dei Kepone, Daniel Johnston e una barcata di altri. Non ci siamo soffermati sull’origine dell’obesità (medico, alimentare, psicologico, photoshop), quindi può darsi che qualcuno dei nomi inclusi non ami sentirsi ricordare di essere un ciccione.

D.BOON
I Velvet Underground dell’arcòr, più o meno, un gruppo che non raccolse tantissimo ai tempi ma che ispirò una legione di musicisti che ancor oggi pagano debito, erano un power-trio di San Pedro con alla chitarra un ciccione matto che saliva sul palco e saltellava a destra e a manca in un modo che ricorda vagamente la prima volta che vai in discoteca a quindici anni. Il fatto che i Minutemen abbiano composto solo musica bella e che Dale Boon sia morto in un incidente alla fine dell’85 ha cristallizzato la cosa in un attimo infinito a cui chiunque faccia musica indie deve piegarsi. Puoi stare lì con il ventre piatto, la testa bassa e i capelli davanti agli occhi a percuotere la tua chitarra atona, ma quello che ti ha insegnato a suonare così era un culone sudato che l’avresti guardato e preso per il culo.

BOB WESTON
Il bassista più stiloso in attività, ad occhio e croce, pesa intorno al quintale. Si piazza al lato sinistro del palco con le gambe leggermente divaricate e i piedi in fuori piantati per terra; spara fuori una dozzina di pezzi suonando pesantissimo e guardando fisso davanti a sè come un autistico, con un’aria tipo chissà se in camera stanotte c’è il bidè. Incidentalmente, come ingegnere del suono, ha messo la firma su una sfilza di dischi talmente belli e importanti da fare quasi invidia a quelli messi in fila dal sodale Steve Albini. Nel corso degli anni ho sviluppato una specie di dipendenza da Bob Weston. Per l’ultimo lustro ho cercato forsennatamente in giro per i negozi un paio di scarpe uguali a quelle che gli ho sempre visto ai piedi, senza successo tra le altre cose. Non mi arrendo.

KIRK WINDSTEIN
Di tutti gli obesi del giro southern metal andiamo a scegliere il più cazzuto e pittoresco, chitarrista dal tocco indelicato con una voce strozzata che a una quindicina d’anni dal primo giro sul lettore di un disco dei Crowbar ancora non mi sono abituato alla paura che fa. L’inclusione di Kirk Windstein ha significato l’esclusione di alcuni pezzi da novanta (ma anche centoventi) tipo Jim Bower e Vinnie Paul, anche se probabilmente Vinnie Paul è un’esclusione bella pesante e di suo sarebbe incazzatissimo all’idea di essere accomunato con uno di questo giro. Vabbè.

I POISON IDEA
I Poison Idea sono un gruppo composto quasi esclusivamente di ciccioni. Questa cosa si ripercuote nella musica, che è sboccata veloce e violenta come poche altre musiche e che veniva suonata in condizioni abbastanza al limite dell’umano da rendere sostanzialmente impossibile bloccare il cervello sui ciccioni da sfottere.

I FRATELLI CONNER
La scena di Seattle si prestava benissimo ad accogliere ciccioni ributtanti al suo interno, ma i gruppi di primo piano erano composti quasi tutti da musicisti anoressici (Nirvana, Pearl Jam, Alice in Chains eccetera). Fanno eccezione il non-poi-così-obeso Kim Thayil, uomo d’altri tempi, e il non-poi-così-geniale Tad Doyle, che sul fatto di esser grasso ci ha marciato abbastanza da tirarci fuori i soldi per un’auto, o qualcosa del genere. E ovviamente King Buzzo, che comunque non è sempre stato grassissimo e non mi piace l’idea di mettere i Melvins a rappresentare il grunge. Voglio dire, sarebbe come dire che i Kyuss erano un gruppo stoner (ok, ho sbagliato esempio). I miei obesi preferiti del giro Seattle sono comunque, da sempre e per sempre, i fratelli Van e Gary Lee Conner, rispettivamente bassista e chitarrista degli Screaming Trees e principale ragione estetica della Grande Menata della stampa mondiale sugli Screaming Trees, vale a dire che avrebbero dovuto fare molto più successo di quello che avrebbero meritato. Ma voio dì, manco Lanegan da solo ce l’ha fatta a diventare Eddie Vedder, tanto valeva che continuasse a farsi fare i riffoni dai fratelli Conner che COL CAZZO sarebbe uscito un Blues Funeral demmerda.

KEVIN SHARP
I Brutal Truth, gruppo di grindcorer anoressici newyorkesi capeggiati da Dan Lilker, si sciolgono dopo l’uscita di Sounds of the Animal Kingdom in seguito a dissidi tra i componenti. Quando ricominciano a girare dal vivo, poco meno di una decina di anni dopo, il cantante Kevin Sharp si è trasformato in un panzone barbuto ed affronta il palco come una specie di Henry Rollins sovrappeso. L’estetica del ciccione è più o meno tutta qui: carismatico, infoiato e preso d’assalto dalle prime file di fanatici, ovviamente tutti ultratrentenni e quindi tutti ugualmente sovrappeso. Grosse botte su grosse pance. La condivisione di alcuni gruppi permette a Kevin Sharp di stare in lista a rappresentare anche il molto più ciccione Shane Embury, che a me personalmente sta molto antipatico (voglio dire, alla fin fine è abbastanza chiaro che nei primi Napalm Death il genio erano TUTTI GLI ALTRI MEMBRI a parte lui, da cui il fatto che mentre la diaspora delle prime incarnazioni del gruppo generava cose tipo Cathedral Scorn e Godflesh e Carcass, loro prenotavano un ruolo di macchinetta automatica del metal estremo dentro cui son rimasti intrappolati).

YNGWIE MALMSTEEN
Il fatto che il più grande emissario del metal estetico tecnico e cafone, l’artista che perfino i fan dei Manowar considerano troppo infoiato per poterselo sparare a livello quotidiano, finisse per donarsi così intensamente alla propria arte da perdere cognizione della propria forma fisica e diventare un ciccione da guinness, insomma, sembrava scritto in cielo. La gente ha PAURA e continua a non comprenderlo, teme il confronto, esalta il post ed il pensiero laterale ad ogni costo, continua a non dargli credito e a liquidarlo come irredimibile merda de cane e a fare battute sui pantaloni di pelle che gli fasciano i coscioni giganteschi. Solo l’ennesimo prezzo da pagare per il più fiero ed autodistruttivo culturista della chitarra di fine secolo.

FAT MIKE
Michael John Burkett è il bassista, cantante e principale autore della musica dei NOFX. I NOFX sono il gruppo con il suono più merdoso con cui abbia avuto a che fare (punk rock melodico con chitarre plastificate a zanzara e basso più o meno intuibile in rare circostanze), e al contempo sono la dimostrazione che se dalle mani ti escono dei pezzi tipo Dying Degree puoi avere il suono più merdoso della storia ed essere comunque tra i migliori gruppi usciti fuori dagli anni novanta. Il nome con cui ha scelto di essere famoso lo squalifica agli occhi del grande pubblico, e il paradosso è che (specie ultimamente) Fat Mike non è per niente un ciccione, piuttosto una specie di finto obeso e finto idiota che suona musica finto-divertente. Come è logico, l’interpretazione popolare della faccenda non tiene mai conto dei finto,  bollando i NOFX come un gruppo di dementi senza talento che ha ispirato una generazione di dementi senza talento. E insomma, delle due è vera solo la seconda.

BETH DITTO
Non è l’unica donna col culone della storia del rock, e un po’ mi dispiace inserirla in lista dopo l’uscita del primo disco veramente brutto a firma The Gossip. Ma cristo di un dio è stato semplicemente troppo LOL vedere la cantante di un normale gruppo indie-cassa diventare il simbolo popolare di una ribellione estetica contro l’anoressia ed il velinismo, sull’onda di articoli di giornale che ne celebrano la sostanziale normalità (è (sinonimo di) GRASSA! è (sinonimo di) LESBICA! è (sinonimo di) MONOGAMA!) come un buco nero culturale da cui si sta sviluppando un mondo di nuove star della moda tutte indie, grasse, lesbiche e monogame che provano a far fuori la concorrenza, e basandosi ovviamente sull’assunto ideologico secondo cui qualunque donna abbia mai preso un microfono in mano sia sempre e solo voluta diventare Kylie Minogue o se va male la Pausini, e tutto questo dando del misogino a me perchè scrivo in questo capoverso che la cantante dei Gossip è cicciona e lesbica.

BOB MOULD
Il chitarrista e autore dei migliori pezzi del più grande gruppo mai esistito aveva le ossa grandi e una depressione cronica. Poi ha sciolto il gruppo, ha iniziato a dimagrire e ha prodotto musica sempre molto bella ma molto molto meno di quella che aveva prodotto negli anni delle ossa grandi, delle litigate col batterista e della depressione cronica. Si tratta probabilmente del miglior sponsor a favore dell’obesità e dell’infelicità.