A volte dei perfetti sconosciuti mi fermano per strada e mi riempiono di ceffoni perchè ho detto un paio di volte (settimanalmente, per dieci anni) che i Radiohead da Kid A in poi fanno schifo al cazzo. Il problema è che Kid A mi aveva veramente infastidito: disco che “capiremo in seguito” la settimana prima dell’uscita, si era fastidiosamente rivelato per quel che era al primo ascolto -una macroterma del pop che succhiava il sangue a suoni di frontiera (che nel 2000 non erano più di frontiera da un pezzo) e li risputava fuori in nome di una insopportabile democristianità (uso le parole che mi pare, andate affanculo) venduta come se fosse il disco più coraggioso della storia del pop a parte Zucchero Filato Nero. Che poi il problema non era neanche come te la vendevano -i Radiohead sono sempre stati molto onesti da quel punto di vista- è proprio come la compravamo noialtri. Loro semplicemente hanno continuato a parlar poco, agire per il meglio ed incassare il cash. La cosa si è riproposta sostanzialente identica fino a In Rainbows, e lì le cose sono andate ingigantendosi a dismisura. In Rainbows è tutt’altro che un disco memorabile, sembra un seminario di storia dell’arte per specializzandi in Morr Music, ma il modo in cui è stato venduto aveva davvero un che. Dimmi tu il prezzo, io te lo do via anche gratis. Ci hanno fatto, si dice, una barcata di soldi. Naturalmente la cosa ha un senso solo nella misura in cui i Radiohead sono i Radiohead (lo stesso Saul Williams con Niggy Tardust ha suscitato circa un quarantesimo del clamore, e non è che stiamo parlando di uno squatter). La cosa è stata venduta onestamente e comprata con disonestà, perchè quasi tutto nel pop deve poter essere una truffa. In un mondo parallelo i Radiohead avrebbero potuto essere citati per abuso di posizione dominante (uso le parole che mi pare, andate affanculo), nel mondo in cui viviamo l’han chiamata rivoluzione. Suppongo la verità stesse nel mezzo. Il disco era robetta, quindi non mi sono posto il problema.
Da In Rainbows ad oggi è capitata un sacco di roba brutta ai Radiohead. Sono uscite due tracce che non hanno fatto molto casino, c’è stata la cover di Creep fatta da Vasco Rossi -contro la quale si è schierato persino Ringo, difendendo chissà che integrità morale del pezzo originale, che parla di uno che rosica perchè le ragazze non lo cagano. Per la prima volta è uscito un disco orribile (e riconosciuto come tale) fatto da un Radiohead, nella fattispecie Phil Selway. Per la prima volta da tipo sempre si è sviluppato un consenso contrario, per la prima volta in anni.

La cosa più sconvolgente in merito all’ultimo disco dei Radiohead è che nessuno ne ha sentito parlare finchè non è uscito. Sembra un disco volante atterrato per caso sopra i cieli di Cinisello Balsamo senza benzina -non a caso la bellissima copertina di quello lì, mi pare Stanley Donwood ma non ho voglia di googlarlo anche se gli metto il grassetto, ritrae due alieni non-gamberoni che HAUNTANO (uso le parole che mi pare, andate affanculo) come se non ci fosse un domani. La band esce il lunedì con un comunicato che giunge nuovo a tutti: da sabato potrete scaricare un disco nuovo che abbiam pronto. Fichissimo, pensa la gente. Non vedo l’ora che sia sabato. Il venerdì mattina esce il video di Lotus Flower con Thom Yorke che balla come un demente. La metamorfosi di Thom Yorke da uomo più brutto d’Europa a figo assoluto fa sperare in un domani migliore, anche per me. Mentre la gente inizia a far rimbalzare il video in ogni angolo della terra la band si mette comoda e annuncia che il download è disponibile da subito, un giorno prima rispetto a quanto annunciato in settimana.
Dicevo, il consenso negativo. The King of Limbs è il primo disco dei Radiohead che alcuni fan stanno decidendo essere sotto la media, noioso, senza pezzi e quant’altro. Casualmente The King of Limbs sembra anche essere il miglior disco dei Radiohead dai tempi di OK Computer. Intanto è totalmente privo di grasso: un lavoro di poco più di mezz’ora nel quale i barocchismi protoriccardoni dei primi passi elettronici (uso le parole che mi pare, andate affanculo) di Kid A e Amnesiac vengono spurgati a man bassa e presi come esempio di ciò che la band non vuole tra le palle nel disco nuovo. Seconda cosa, è il disco che palesemente la band voleva fare da dodici anni e per una ragione o l’altra non ha mai avuto i coglioni di. Un disco di jazz psichedelico sospeso e quanto più essenziale possibile, che la band ha pensato e realizzato con una tale visione d’insieme che è quasi difficile distinguere un pezzo dall’altro, e soprattutto tenendo la cresta bassissima e spurgando via -per la prima volta- tutti quei picchi di emotività alla Radiohead che (raggiunto il picco di scrittura in OK Computer) avevano infestato tutti i dischi successivi. Naturalmente a vedere la cosa dal punto di vista globale qualcuno potrebbe persino incazzarsi: non è che dischi alla The King of Limbs NON ESCANO, sia chiaro. Anche belli, tra l’altro: basta mettersi d’accordo sui generi di riferimento, smettere di cercare il pelo nell’uovo, fare meno gli schizzinosi sui cantanti, rinunciare a sentirsi dei geni solo perchè si ascolta certa musica e il gioco è fatto. Ma quantomeno, rispetto ai predecessori, The King of Limbs fa stare benissimo e ti sbatte in faccia una voglia di basso profilo che sembra tutto fuorchè artificiosa (uso le parole che mi pare, andate affanculo), ed è piuttosto evidente che sia uno sport che Jonny Greenwood e soci praticano con molta più forma ed entusiasmo di quello dei quattro dischi precedenti.
‘sti froci.