Pikkio Music Awards 2k14 (parte 3)

L’intro è nella prima parte e i premi minori nella seconda leggetevele se volete capire il 2k14 in musica!!!

E ora ecco i  Pikkio Music Awards presentano i DISCHI DIO DELL’ANNO 2k14 IN ORDINE ALFABETICO ANON !!! perché la classifica è un’illusione del diavolo (i titoli sono cliccabili in quanto full streaming ascoltabili!).

Aphex Twin – Syro

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E’ ovviamente l’unico vero disco DIO.

 

Actress – Ghettoville

ghettoville

Actress (al secolo Darren Cunningham) venne a Roma l’estate 2k14 per suonare ad un festival, ma poi non si presentò. La colpa fu mia perché lo bloccai sulla metro b per intervistarlo su Ghettoville in quanto DISCO DIO, va bene?
“Ghettoville nasce da un sogno speciale che feci, in questo sogno dopo aver fumato un botto avevo l’illusione di far parte di una certa Voodoo Posse. Ecco il disco parla di Balotelli se fosse povero a Bergamo. No anzi è come se mi rappassi me stesso attorno a me.”
A Darren ma che cazzo stai a di? Nun c’ho capito un cazzo e hai pisciato un live solo per dirmi kuesto? 6 1 grande!!! Tornando a noi Ghettoville è DISCO DIO perché il suo sgrakkio, i suoi rallentati sciolti groove fatti di polvere di mp3, trasportano in menti altrui di gente che popola lo sprawl urbano. La musica e l’ambiente di Ghettoville è quello dello speaker dello smartphone o delle cuffione rotte di sto sfattone mentre si va a prendere uno skrokkio di fango al distributore della metro dietro casa, mentre balla con la sua posse, mentre fa il romantico con la ragazza del ponte, mentre ragiona su se stesso, per poi tornare in mezzo alle enormi catapecchie di foratini e acciaio degli gnomi spacciatori. Così facendo ti fai un viaggio cyberpsychunk 20k0 particolarissimo che mostra cosa c’è sotto l’HD dei grandi agglomerati urbani: un gran casotto di scarti prodotti dal risukkio dell’instikkio; tanto pure loro (gli scarti) finiranno li nel crystal universe 049b. I HAD A SPECIAL DREAM VOODOO POSSE CHRONIC ILLUSION.

D’Angelo and The Vanguard – Black Messiah

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A fine 2k14 è arrivato, risukkiato a stekka nel mese di dicembre, sto disco MAESTOSO così: BAM!, tipo una minkia in faccia!!! D’angelo, eroe del “nu-soul” fine ’90, sbroccò dopo aver creato il riassunto delle canzoni e musica black tramite astrazione del groove in quel MONOLITE di Voodoo. D’altronde chi tocca i monoliti sbrocca sempre, figuriamoci chi li crea! Per nostra fortuna non so come (un mix di incredibile forza di volontà e gente preziosa tipo ?uestlove dei Roots) D’Angelo si è ripreso e incoronandosi giustamente come Black Messiah ci ha donato la sua visione più aperta, meno astratta, ma non meno sorprendente, de LA STORIA (pisello) RIDDIM. Ci stan sempre Sly Stone/Miles Davis/James Brown/Prince/P-Funk e mille altri, ma c’è sopratutto D’Angelo stesso e la sua voglia di riappropiarsi, a sto giro, anche del rock. Ma sopratutto c’è tanta voglia de suonà de cristo, con suoni de cristo re (il suo produttore è uno dei pochi da cui posso sorbirmi i pipponi sull’analogico visto come usa bassi a mitraglia scaturiti da non si sa quale ragionamento malato di D’Angelo e che paiono triplette footwork ma so fatti col classico metodo del nastro dei pacchi regalo), con gente de cristo re, e con pezzi de cristo re. Tutto ciò rende Black Messiah il mio disco TOTAL preferito degli ultimi 10 anni credo. Il che lo fa anche mio disco rock preferito degli ultimi 10 anni. Con buona pace dei vari ripoff total rock che ci sono in giro tipo gli …………………….. (riempite voi i puntini con qualche band di quelle tipo Arcade Fire etc.) Ogni battuta su Nino D’Angelo (e quell’altro comico cretino) verrà punita con violenza inaudita quando meno ve l’aspettate.

Fhloston Paradigm – The Phoenix

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IL disco DIO PHUTURO dell’anno e miglior disco Hyperdub mai fatto (insieme a quelli di Kode9, Burial e DVA). Questo è l’ASTROBLACK 2k14 pari merito con Afrikan Sciences di cui dicevo nel precedente PMA. Sviaggi di arpeggi cyber acidoni, ritmi techno che si scontrano con spazi bass/step come se le macchine volessero liberarsi in jam funk/jazz, tappetoni di pad tra Blade Runner e Ghost In The Shell. Ci sono persino pezzi soul/lirici di future dive pop da spazioporto. Il tutto fluisce perfettamente grazie alla colla del groove (dietro il nome Fhloston Paradigm c’è un king dei beat come King Britt) e al concept dichiaratamente sci-fi: ogni brano nasce come sonorizzazione immaginaria di film di fantascienza amati da King Britt, con vari portali a introdurci in differenti scene. Ecco immaginatevi la tradizione afrofuturista applicata come colonna sonora dei film sci-fi della vostra vita! Vero e proprio NEGROPHUTURO.

Flying Lotus – You’re Dead

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Dopo l’asfalto lo sciolto di Los Angeles, lo spazio tondo di Cosmogramma, e la meditazione interiore di When the Quiet Comes la nostra Lotulla Volante non poteva non esprimersi in un vero instikkio-concept. Ricordiamo come l’anno scorso i Boards Of Canada abbiano tentato l’instikkio tramite antichi rituali egizi. Giusto quindi che Flying Lotus recuperi tradizioni dei propri antichi antenati egizi! Per l’occasione il nostro ha comprato un turbocompressore dell’anima e ci ha buttato dentro tutta la sua esistenza (dall’amata free spjazz fusion agli amati videogiochi, dall’astroblack al dillatude, dallo sgrakkio rap al warpismo) per instikkiarla in una piccola puntina sonora. Quando noi andiamo a ripodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in faccia, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni live perfettamente morte dentro un’organizzazione da slittamento digitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a richiudere proprio li dietro la vostra nuca, in una piccola puntina sonora. Quando andiamo a riprodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in faccia, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni ilvz perfettamente morte dentro un’organizzazione da skrikkiamento digitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a instikkiare proprio li dietro la vostra nuca, in una piccola puntina sonora. Quando andiamo a riprodurre You’re Dead questa puntina sonora ci esplode in faccia per circa 38 minuti di suoni TURBOBLASTATI in lfacc, perennemente ROTEANTI, di esecuzioni kazz perfettamente morte dentro un’organizzazione da skroitamento zenitale che esplode con la vitalità di una TURBOBLASTATA in faccia che poi si va a riinstikkiare proprio li dietro la vostra nuca, in una puntina sonora.

Golden Retriever – Seer

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Synth modulare, clarinetto basso e lezioni di giovani montagne in just intonation. Ma pure pianoforti monofischi tagliaincollini. Ma anche cani fluffosi che guardano in estasi la valle che devono controllare spandersi attorno a loro, quei cani son dorati. Quel doro dei cani è materia sopraffina con cui il duo americano Golden Retriver ha creato il capolavoro di pura e cristallina eufonia che mancava alla recente generazione VIAGGIO/SVIAGGIO americana, di quelli che “er modulare/er drone”. Pare che infatti in Seer i Golden Retriever siano riusciti, attraverso particolari accorgimenti scientifici al limite dell’esoterico/alchemico, a sintetizzare in musica proprio il doro dei cani dorati. In realtà Seer è semplicemente un disco di psichedelia NaTuRaLiStA e minimalismo americano, per farci scrutare oltre al risukkio ed espandare la nostra mente verso nuovi universi.

Luke Abbott – Wysing Forest

luke

“Avete mai sentito il suono di una foresta che vive?” Me lo ripeteva sempre Guinnevere, la mia maestra dell’elementari. Noi bimbi tendevamo le orecchie verso la magica foresta che si affacciava fuori la finestra della nostra classe e rispondevamo convinti “si maestra lo stiamo sentendo proprio ora!” e lei “no quelli sono gli uccelli! la sentite la foresta che vive?” e noi ci rimanevamo male perché ‘sto phaNtoMaTico suono proprio non lo sentivamo. Finalmente a 32 anni posso ascoltare questo suono e se volete potrete ascoltarlo anche voi! E’ il suono della musica di questo DISCO DIO che Luke Abbot (druido inglese) ha creato in un ritiro nella Wysing Forest portandosi appresso il suo armamentario di sintetizzatori modulari allacciandoli al suo cervello e alle radici degli alberi per poi cavarne ritmi, melodie e magike armonie. Se il compare (e boss) James Holden aveva creato l’anno scorso (in The Inheritors) il suono dei rituali magici del moderno druido matemago, qui potrete ascoltare il risultato di uno di questi rituali: il rituale della foresta che parla, che lentamente si muove, balla persino, e che fa ovviamente sviaggiare. Wysing Forest ricrea vita di foresta anche in luoghi privi di significative foreste. Ricordo quel momento magico d’una notte di mezza estate, sull’ardeatina: Amphis (reprise) veniva riprodotta dallo scatolo dei suoni avvolgendomi mentre scivolavo nel caldo stagno blu, li in profondità la musica di Luke Abbot era in armonia con i riverberi di luce subacquea dei coleotteri notturni. Lentamente riemersi a galla a pancia in su e mi si rivelarono le stelle sopra di me mentre Wysing Forest sfumava via sentendomi parte del TUTTO. NATURALISMO.

Nastro – Terzo Mondo

nastro

I Nastro sono una delle mie band italiane preferite di sempre, proprio ever and evah 3000. Prima forse avevo dei motivi personali essendo band formata da due artisti, geni della vita, che conosco di persona (Manuel Cascone e Francesco Petricca) e che tanto, a loro insaputa, hanno contribuito alla mia pikkiomania. Ora però con questo disco i Nastro mi si sono instikkiati nella mente come tra i pochissimi ad affrontare e riportare la realtà odierna in musica, in maniera non codificata, estremamente personale, eppure saldamente ancorata a degli archetipi ben riconoscibili (di base tribalità ossessiva ritmica). O vi giuro che per me i Nastro battono i Black Dice sull’argomento asfalto traffic riddim, forse sarà perché hanno fatto il disco più SGRAKKIO SECCO SGRAKKIO TRAKEA che esista. Registrato con un telefonino, pentole e dark energy (e pifferi ed effetti etc.) il Terzo Mondo creato dai Nastro è un trip skrotomaniaco nell’esteso confusionario agglomerato umano/urbano di oggi. Un Terzo Mondo nato nel caos tra Roma (e i suoi trenini arruginiti ancora esistenti) e Latina (e le sue inedite campagne con immigrati che zappano il gombo) che in realtà pur non c’entrando nulla con techno/il clubbing/er cazzo uk è più vicino a Ghettoville di Actress che ad altro, condividendo entrambi un’amore per l’attuale strada che stiamo vivendo. Se in Actress però si sogna in maniera esistenziale nell’odierno sprawl, coi Nastro ci si vive per davvero senza schermi, senza scazzi, anzi partecipando e divertendocisi pure. Cellulari che rimbalzano da una parte all’altra informazioni di un tram affollato, persone che rimbalzano dentro a un camioncino scassato, il min amp portatile di un suonatore rompicojoni, pezzi di cassette di frutta, persone che si urtano perché hanno gli occhi sullo schermo, un motorino, echi di qualche musica truzza, etc. Tutto un globale incastro d’umanità sintetizzato alla perfezione in incastri ritmici, come moderno voodoo concreto delle vite 2k1x underground di tutto il mondo. E poi viene tutto risukkiato nel cesso.

Panoram – Everyone is a Door

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Grazie agli esperimenti del coso che rotea particelle in svizzera si è scoperto che tutti quanti gli esseri umani sono una porta e ogni porta è un mondo. Panoram si è dunque munito della sua famigerata panoramica de gristo (che in musica si traduce in caldi tappeti melodici/sonori di synth super espressivi, e in accorti geometrici funk astrali) per documentare le viste più curiose e poetiche di alcune di queste porte. Il risultato è meraviglioso, dei bozzetti visionari che non superano mai i 3 minuti e mezzo, come un vero e proprio moderno disco di library music (no retromanie, no nostalgie) atto a trasformare le pareti della vostra stanza (o del vostro cortile, o del vostro kuore) in diversi scenari in cui perdersi. Il paragone più vicino potrebbe essere un eventuale raccolta degli skit dei Boards Of Canada, ma Everyone is a Door ha modalità e suoni diversi, c’è un personalità particolare nella trama sonora che risulta sempre lucida scintillante a volte skrokkiante, mai sfocata memoria. Il trucco è che Panoram dosa alla perfezione gli elementi nello spazio sonoro, ma questa perfezione è piena di particolari sfasature spaziali atte a mostrare cosa potrebbe esserci al di la di una certa vista, allargando l’ascolto verso ipotetiche altre porte sonore, in un risukkio continuo verso diverse dimensioni. Praticamente un compatto DISCO DIO per tutti i giorni, ma che può generare altri DISCHI DIO a seconda del vostro grado di attenzione. Un risultato più unico che raro!!! (erano anni che volevo usare quest’espressione)

Theo Parrish – American Intelligence

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Per questo disco la leggenda della Detroit House Theo Parrish ha deciso di chiamare tutta l’intelligence americana e dargli la seguente missione, nome in codice: Tutto Groove. No non è vero, in realtà Theo ha deciso di rappresentare l’intelligenza americana tramite un solo imperativo: Tutto Groove. No è na cazzata. Missione di sta intelligence di due ore (su 2cd) è usare house e techno come strumenti per riassumer tutta la cultura groovosa americana (facciamo che il groove è questo). La stessa black music narrata pure nel disco di D’Angelo, solo che Theo non ci fa le canzoni ma ci si arrovella mente, anima e zervello. I più rompicazzo direbbero “ce se fa le pippe co sti ridmy theo! sto disco nun parte maiii!” io invece che sono piccolo e indifeso dico “no no vi ripeto qui vedi proprio la sfida, a volte sofferta, a volte giocosa, a volte meditativa, dell’uomo nel conquistare il groove del popolo senza imporgli dittature fasulle!!”. Potrei scrivere quindi che Theo costruisce jam con drum machine, sampler, synth in maniera cruda e diretta come certa house di origine chicagoana, ma con uno spirito proprio della techno di Detroit di spingere in avanti ritmi o andare verso giustapposizioni rischiose. Per capirci non è lo spirito techno de ste mongoplettiche ritmiche pestone con due droni preset demmerda che mo i darke der nu-millennium hanno scoperto la techno, non è nemmeno il “futurismo” a buffo (per cui io ho un debole), e nonostante le fisse di Theo per l’analogico/l’old skool non è nemmeno la house retromaniaca “er vinile ahò!” (per quello basta vederlo dietro ai piatti dare anima e corpo per sette ore facendoti godere come non mai). Volendo in certe robe di American Intelligence ci si può vedere persino un’interpretazione particolare della footwork (ovviamente rallentata a battito umano) come spazio caciara ritmica nuovo, da cui titolo del miglior pezzo del 2k14, ma non del disco, facciamo che quello invece è il brodo de polpa di cazzo fica e cervello che corrisponde al nome di Be In Yo Self. tl;dr American Intelligence è DISCO DIO di convogliare e unire recuperando lo spirito progresskrotista della storia del groove.

Navigarella: PAPA FRANCESCO SULLA COPERTINA DEL NUOVO DISCO DI BRUNORI SAS

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Mentre noi ci rompiamo il cazzo del black metal e mettiamo un pezzo che completamente a caso si chiede se Papa Franci sia o meno l’anticristo, lo stesso finisce sulla copertina di Rolling Stone USA. Questa cosa ha tre principali ragioni: la prima è che Rolling Stone USA può mettere in copertina chi preferisce, la seconda è che il livello morale della razza umana s’è abbassato al punto che puoi chiamare punk anche uno che dichiara di non avere opinioni sui gay, la terza è la citazione di copertina the times they are a-changin’ (Tommaso d’Aquino). Dal punto di vista di uno statunitense, un Papa Tranquillo contraddice la maggior parte dei dogmi portati avanti dal giro hardcore repubblicano (pare che negli Stati Uniti l’80% della gente creda all’esistenza degli angeli) e la scelta di piazzarlo in copertina ha un senso culturale specifico e volendo riottoso, almeno secondo una concezione anni ’30 della parola. Ad essere sincero non ho una vera e propria opinione su questa faccenda, nel senso, come ho detto al punto 1 Rolling Stone mette in copertina chi cazzo preferisce, ma la cosa ci dà l’imprendibile occasione di parlare di cosa è diventato oggi il rock’n’roll  (gentilmente rifiutiamo), di ricordare che in una precedente occasione Tranqi Franci ha detto chiaro e tondo che

“il vangelo si annuncia con dolcezza, non con Bastonate

e soprattutto di parlare di una cosa divertente successa questo mese su Rolling Stone Italia, vale a dire un articolo sui Cani intitolato PERCHÈ NON BIDET ALLORA?, e che in realtà parla delLo Stato Sociale conservando dei Cani solo la foto e la didascalia della stessa. Ma in realtà l’articolo sulLo Stato Sociale è un copia-incolla di cinque o sei frasi casuali. Il che naturalmente rende Lo Stato Sociale, come ho sempre detto, uno dei più grandi gruppi contemporanei e il numero di Rolling Stone in edicola un pezzo da collezione che non vi volete perdere. Compratelo. L’intervista vera ai Cani è qui.

Di altro non so. Ho ascoltato in rapidissima sequenza il nuovo disco di Dente (tre pezzi, non ce la faccio) e quello di Brunori SAS (sono arrivato a cinque). Qualche giorno fa è uscito il nuovo disco degli Zen Circus (ho sentito il singolo, vabbè). Non so come sia il disco di Non voglio che Clara, ed entro breve dovrebbero uscire Nobraino e Le Luci della Centrale Elettrica a marzo (oltre alla pupilla di Brunori, Maria Antonietta). Tra le varie opzioni credo che il disco di Brunori, fatto salvo che sono completamente d’accordo con Birsa su svariate cose, sia comunque il meglio. In ogni caso va registrato questo massiccio ritorno del cantautorato anni settanta a inizio 2014, proprio mentre sta iniziando a girare insistentemente questa sorta di consenso contrario secondo cui appunto il cantautorato italiano di quella Mitica Stagione, peraltro mai finita, sia in realtà uno dei più grandi colli di bottiglia in cui sia passata la nostra musica -un discorso che affronteremo solo dopo che qualche penna importante si sarà schierata in tal senso, per la buona ragione che in questo particolare momento non ne abbiamo davvero mezza. Sia quel che sia, considerate il video che metto qui sotto un modo come tanti per sopravvivere.

 

Tra l’altro Caso stesso è oggetto di un minuscolo hype tra quattro stronzi che lo porterà a diventare più grande di De Gregori, essendo lui appunto più grande e meno romano demmerda di De Gregori, e quando riuscirete a leggere queste tre righe sopra senza voler rigare la mia automobile farete anche voi parte del consenso contrario al cantautorato anni settanta di cui sopra, venite qui, abbracciamoci. Dicevo, un minuscolo hype che in realtà si esaurisce in un pezzo su Junkiepop a tema #casomania. Pare poco, ma un giorno saremo alla vostra porta e voi DOVRETE cacciar fuori due spicci.

Tutto il resto, al momento, è ancora meno prioritario di Bergoglio sulla copertina di Rolling Stone.

Majorana reprise: Le Luci della Centrale Elettrica – “Per ora noi la chiameremo felicità”

Brondi prepara l'accampamento

Con le nostre discussioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche. Arriva in qualche modo alle “masse” (du’ stronzi pe’ sbajo) il nuovo album delle Luci della ecc. e il livore martellante delle ultime settimane può finalmente trovare catarsi in un mare di post sul modello “l’havevo (con l’h) sempre saputo che avrebbe fatto SCHIFO!”. L’humus culturale, dove per humus si intende la crema di ceci che mangiano beduini e inglesi, l’humus culturale, dicevo, che produce webzine su webzine e blog su blog si conferma compattamente avverso non già alla musica di Vasco Brondi (VB), quanto al suo “personaggio” o meglio, giacché per l’esistenza di un “personaggio” ci sarebbe perlomeno bisogno di un certo riscontro di pubblico pagante, all’idea stessa della sua esistenza.

 

Dal chiacchiericcio continuo, dal continuo berciare degli “Appassionati di Musica” (titolo che la gente si autoconferisce quando scopre che la sua personalità in formazione è meglio espressa per il mezzo di canzonette scritte, prodotte, cantate e commercializzate da altri) emergono ogni tanto curiose istanze di odio/amore per qualcuno in particolare che, se non possono essere oggetto di un discorso univoco, possono d’altra parte essere isolate e raggruppate in diverse curiose fattispece (senza la i).

In questo modo, la massa di articoletti, frecciate, battute sagaci, siti web ostili dedicati (!), imitatori su youtube e tutto il resto del fumo prodotto da questo pubblico rogo di VB, possono essere facilmente inseriti nel contenitore “Accanimento Immotivato Internettario”, tradizionalmente soggetto a riempirsi, ogni qualche anno, di materiale affine ma con diverso bersaglio.

“Perché tanto odio?”, avrebbe scritto Cuore, e il perché è ben difficile da isolare e comprendere senza ricorrere alla psicologia spicciola da ignoranti, cosa che una tantus non faremo per evitare di impelgalarci imelpagarci imepla andarci a ficcare nei rovi dell’Invidia!, Frustrazione!, Sfiga!, Psicologia delle masse e analisi dell’Io!, e tutto questo complesso di cose che fa sì che io (ecc.).

Brondi e Dente corrompono un bambino

Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo tuttavia fare a meno di notare, per l’ennesima volta, quanto inconsistente sia la maggior parte delle motivazioni che oggettiverebbero – a detta degli haters – l’odio verso VB: su palafitte di falsa logica piantate nella palude della merda, si elevano infatti costruzioni miserrime di irragioni e non-argomenti, tra i quali paiono avere particolare successo le questioni della cattiva qualità dei testi e della monotonia delle musiche.

 

Per quanto riguarda i testi, non avendo forza, voglia, intenzione, tempo da perdere sì ma diciamo di no, e forse neanche gli strumenti adatti per procedere a una esegesi dei testi delle Luci – mai capito cosa voglia dire “esegesi” -, noteremo solo che non serve Wittgenstein per rendersi conto che non c’è alcuna logica in questo tipo di attacchi.

Lasciando anche da parte il fatto che, banalmente, testi e musiche delle canzoni pop non sono scindibili se non tramite una forzatura, e perciò dimostra ben poco constatare che davvero Dylan a un certo punto canta che gioielli e binocoli pendono dalla testa del mulo senza rovinare (anzi) il più fantastico pezzo rock mai scritto, rimane il fatto che tutto questo gran vociare si fonda essenzialmente su perculate non sorrette da alcunché, se non da astrusi ragionamenti tutti riconducibili a una gigantesca scritta Me piace/Nun me piace, principio in base al quale davvero Nessuno è in grado di opporre Nulla a chi (io) dovesse sostenere che invece i testi di VB, ovviamente intesi come parte integrante di canzoni rock fatte e finite, hanno una buona efficacia impressionista e che di norma (ma conta un’opinione di questo tipo?) funzionano bene nel trasmettere quello che alle mie orecchie giunge, e che è un grande e desolato senso di vuoto che chiunque abbia visto Bologna o la stessa Ferrara in una notte di un giorno feriale non può non comprendere.

Brondi, la Antolini e gli Offlaga Disco Pax evocheno LI MORTI

Che poi citare spezzoni di testi alla cazzo di cane, senza considerare la musica che li accompagna e il tono di voce che li canta e magari immaginarli sopra suoni da carillon, eseguiti da un gruppo di nome – boh – Le Luci dei Pupazzoni Coioncioni, dia un altro effetto al tutto, bè, come si diceva nel ‘400 in questi casi, grazie al cazzo. Prendete una poesia di Rambò, rielaboratela e mettetela in bocca al mestissimo vocalist di un tristo gruppo intellettualista italiano (è successo), ed ecco che liriche immortali si tramutano in un testo sciatto, né bene né male, un po’ pretestuoso e – superando ogni parere personale – in qualsiasi senso non confrontabile con l’originale. E qui anche un Benjamin potrebbe essere evocato con la tavoletta Ouija a dare supporto filosofico e argomentato a quanto sostengo, ma siccome il di lui parere chiuderebbe la partita a mio favore troppo presto, tralascio la seduta e vado avanti fino al novantesimo.

Secondo tempo: per quanto riguarda la monotonia della musica, il discorso è più o meno lo stesso appena fatto circa i testi, ed è giusto il caso di ricordare che la lista della musica che si potrebbe definire “monotona” comprende, per limitarci alla musica popolare, Woody Guthrie o Robert Johnson, o De Andrè se proprio volete o anche Billie Holiday, i Ramones, i Germs, Dock Boggs, i Nirvana, Pink Anderson, Odette, Little Richard, AC/DC, Public Enemy, il teatro delle ombre balinesi, Elvis, i Darkthrone e gli Sputafuego (band nata dalle ceneri dei più vivaci Los Fucos nella quale milito con orgoglio). Il tutto ovviamente e giustamente senza che questo scalfisca in pur minima parte la generalizzata stima di cui questi musicisti godono.

Annientate in un batter d’occhio le famosi “ragioni oggettive”, cosa rimane da considerare se non la peculiarità di VB all’interno della “scena”, peculiarità non riconosciuta eppure involontariamente sottolineata dai suoi detrattori?

Dunque: VB ha “qualcosa di diverso” rispetto agli altri? VB è “migliore” degli altri?

Majorana a Carnevale 2004 con un costume da Benjamin
Le due domande, collegate tra loro, non sono di semplice risposta, avendo il concetto di meglio/peggio riguardo alla musica leggera fin troppe implicazioni e troppi pochi strumenti d’analisi. A parte la maledetta, dannata, infondatissima emozione/percezione personale dell’ascoltatore, forse inevitabile per una musica che, per definizione, “non studia lo spartito” (aberrazioni a parte) e non si rifà a nient’altro che al profondo bisogno di qualcuno di dire qualcosa accompagnandosi con strumenti la maggior parte delle volte scordati. A complicare ancora di più la questione – che non sarà risolta qui né altrove – c’è il fatto che la musica rock è troppo intrinsecamente commerciale (nel senso del suo legame troppo stretto e indissolubile con il pubblico pagante) per essere sereno oggetto di riflessioni di altro tipo – certo i negri Zulù non sono andati al Conservatorio, ma è evidente che la musica fatta da loro, “bella” o “brutta” che sia, può essere più facilmente “oggettivata” secondo altri canoni. In cosa sta perciò la diversità di VB, il suo essere “meglio” o “peggio” se per misurare tutto ciò troviamo errato ricorrere alle proprie, trascurabili percezioni?

L’unica differenza evidente tra lui e il resto della “scena” a noi, cioè a me, sembra essere l’innegabile tendenza della musica di VB a rivolgersi ben al di fuori della ristretta cerchia di partigiani dell’indie-rock italiano resistenti ai fascismi della Musica Commerciale; una tendenza dovuta, peraltro, non alle intenzioni della musica stessa – il noto demo precedente al disco d’esordio è in sostanza identico a quanto venuto dopo –, che a sua volta sembra attrarre piuttosto che cercare il pubblico. Quel che è peggio, VB non sembra neanche avere i tratti della moda tout-court, per cui se è vero che rimane del tutto plausibile che lui e i suoi dischi vengano inghiottiti dal buco nero in cui sta collassando la musica mondiale (grazie Appassionati! Scaricatevi i dischi!! Avanti così!!!), è anche evidente che il riscontro che VB sta ottenendo qui ed ora con serate all’Auditorium e recensioni su Vanity Fair ha qualche chance di trasformarsi per lui nella possibilità di un’onesta carriera nel mondo dello spettacolo – cosa che mai e poi mai e ancora MAI potranno permettersi gli sciocchini e sciocconi che a differenza sua “fanno parte” e perciò vanno bene sempre e comunque, e nessuno fa le pulci ai loro testi anche se i loro testi parlano pretenziosamente di cartoni animati anni ottanta.

L'indy è tornato: gli Amari in copertina su Vanity Fair

Ora, com’è dunque questo famoso nuovo disco, che esce già estenuato e vecchio a causa di tonnellate di parole (anche le ottomila qui sopra, che a ben vedere parlano d’altro), congetture e previsioni che di certo si sono spese nelle ultime settimane? A sorpresa, non si tratta di un disco heavy metal né bluegrass né tantomeno big-band caraibica come da più parti si lasciava intendere, ma in sostanza di un disco cantautoriale nello stile dell’artista che lo ha inciso. Spiazzati da tutto ciò, e consapevoli del fatto che siamo attualmente nella Terra di Nessuno del Giudizio – non è semplicemente possibile ad oggi emettere un giudizio sereno su questo album: they want the blood, e nelle righe che precedono ce ne è abbastanza – , ci asterremo dal notare che VB canta più che in passato, che i temi son quelli, che non c’è effetto sorpresa ma c’è effetto consolidamento, che è musica per adolescenti ah signora avercene di musica per adolescenti così che gli adolescenti oggi ascoltano rihanna bè che gli vuoi dire a rihanna umbrella è un pezzone e lei ha le spalle strette e un’enorme testa, e insomma che i tempi son cupi e la Lazio ha perso pure col Ciesena e siamo di nuovo all’inizio, meno di zero, da capo a dodici (una frase idiomatica che da qualche parte, un tempo, lessi avere qualcosa a che fare col blues).

SENZA VOTO