IL LISTONE DEL MARTEDÌ: dieci dischi di quest’anno che GRAZIE AL CIELO non ci porteremo dietro il prossimo anno.

beccati questa kotekino

Ad essere sincero questa settimana avevo mezzo preparato una lista di pezzi che provassero l’idea che mettere insieme calcio e musica rock fosse l’idea più stupida di sempre, e l’avevo fatto solo per inserirci Seven Nation Army e soprattutto Umbabarauma dei Soulfly (ve la ricordate? JOGA BOLA, JOGA BOLA, JOGADOR. Ai tempi sembrava qualcosa di rispettabile). Poi ho pensato che finito l’europeo avrei ri-smesso di essere uno dei cinquanta milioni di commissari tecnici italiani e sarei tornato a quell’attitudine tipo il calcio è una merda il vero calcio non esiste più io non ho tempo per queste cazzate mi dedico ai PROBLEMI VERI io. Assecondando questa mia attuale botta di impegno sociale, la presente è una lista di dischi che io o voi (o comunque qualcuno) abbiamo amato nel corso dell’ultimo anno solare, e che l’anno prossimo ci vergogneremo come cani di avere amato. Lo staff di Bastonate, nella persona di chi firma, si assume tutta la responsabilità delle opinioni sbagliate (ve piacerebbe) in seno alla lista, e ammette che in almeno quattro casi su dieci i dischi inseriti sono sassolini che ci togliamo dalle scarpe con fare rabbioso, abilmente bilanciati da altri dischi che invece amiamo alla follia e inseriamo per pararci il culo o perché abbiamo una tremenda opinione di noi stessi, e il fatto di averlo scritto non significa necessariamente che lo stiamo pensando. Diamo la precedenza a dischi usciti negli ultimi sei mesi, ma ci sono eccezioni. Un’ultima cosa: abbiamo volutamente lasciato fuori alcuni casi macroscopici tipo Il Teatro degli Orrori o DiMartino o sa dio che altro perchè le sacche di fanatismo sono quasi esclusivamente limitate ad un pubblico di appassionati specifici con cui non parliamo spesso e/o gente che non ha mai capito un cazzo di musica.

AFTERHOURS – PADANIA

Non riesco a smettere di sentirlo. Non è un disco con dei meriti musicali particolari, a parte quello di suonare sbroccato e privo di senso dalla prima all’ultima traccia. Voglio dire, cosa c’è di più esaltante nel guardare un alfiere del NUOVO ROCK ITALIANO (a vent’anni circa dalla sua istituzionalizzazione) sbroccare, trasformarsi in una vecchia e lavare i panni sporchi in pubblico con un disco di pretestuosissimi collage afterhoursiani affogati di feedback senza senso e slogan alla Agnelli? Probabilmente un sacco di cose, ma ai primi trenta ascolti di Padania non sembra. Il che non toglie che sia il disco di un ex alfiere del NUOVO ROCK ITALIANO che sbrocca e in diretta internet si trasforma in una vecchia, affogando in un mare di feedback senza senso e slogan alla Agnelli. Appena lo tolgo dall’auto va a finire sotto la colonna dei dischi Snowdonia.

BURZUM – UMSKIPTAR

“Accantonata senza rimpianti di sorta l’imbarazzante parentesi “ambient” degli ultimi dischi per sola pianola (al gabbio non gli lasciavano tenere nessun altro strumento), torna a dedicarsi al black metal grezzo e angosciante e ventoso e unico al mondo che faceva più che egregiamente prima di finire al fresco, e improvvisamente sembra di essere stati catapultati di nuovo nel 1993. Lui è una specie di totem per ogni dissociato con più o meno seri problemi relazionali che si rispetti: io ascolto Burzum = io sono necroelitario, sprezzante, superiore alla massa, odio la gente, amo solo la natura, sono pagano, ho capito bene Nietzsche. Qualsiasi emarginato dalla società, meglio ancora se metallaro, trova in Burzum la sua rivincita: un ammazzacristiani nazo e misantropo stimato e rispettato, famoso, in qualche misura perfino temuto, con un posto nella storia della musica già suo di diritto e un pugno di dischi di indiscutibile valore all’attivo. Praticamente un semidio. Il Leonardo da Vinci dei deboli e dei reietti.” Dai tempi in cui il collega m.c. scriveva queste cose sono usciti tre dischi, in modalità sempre più triste e automatica. Ancora oggi sentiamo il dovere di ascoltarli, in un gesto di stizza e foga che ci permette di essere così elitariamente conformisti e rigettare l’operato di centinaia di rottinculo che confezionano i loro dischi di imprendibile ambient-blackmetal sintetico nel caldo delle loro camerette come se solo noi avessimo provato la VERA sofferenza. Sfido chiunque a dirmi che la qualità dei dischi post-reunion di Burzum sia in crescita. Due euro al colpo.

GRIMES – VISIONS

Ormai gli hype li si costruisce partendo dalla smentita: il caso di Grimes, una ragazzetta senza talento con un disco di brutte figure di (te piacerebbe) pop contemporaneo, è abbastanza emblematico. S’è iniziato a sentirne parlare male prima di iniziare a sentirne parlare, come se gli hater si fossero mossi prima degli hipster, e poi qualcuno ha instillato il dubbio che non fosse poi così pessima e di lì a tre giorni ci siam trovati in tasca la nuova Karen O e l’idea che una nuova Karen O invece di gambizzare la Karen O vecchia fosse un’idea allettante. Conferme e smentite si sono spinte per settimane e settimane, mentre Visions collezionava una quantità impressionante di ascolti senza che nessuno avesse una pallida idea di cosa farsene. Poi fatto un giro per concerti da queste parti e s’è capito che manco gli hater avrebbero dovuto scomodarsi. Io purtroppo l’ho persa.

BARONESS – YELLOW / GREEN

Sulla fiducia. Il disco non è ancora uscito, ma quando sarà il momento forse qualcuno vorrà convincerci del fatto che un doppio album prog metal senza il tiro e senza la fotta sia –a qualsiasi titolo- una buona mossa o qualcosa a cui guardare per rintracciare dei segni tramite cui rifondare l’heavy metal della nostra epoca. Probabilmente avevamo sbagliato NOI a puntare una cifra anche simbolica su John Baizley, voglio dire, già il Red Album è noiosissimo, ma insomma.

PIL – THIS IS PIL

Altro disco che stiamo ascoltando a raffica, e col plurale intendo io, fatto di b-side della mente umana e deliri in forma di filastrocca che se fossero in italiano probabilmente si griderebbe al Vasco Rossi, con sotto musica da camera PILiana al minimo sindacale, che ci sta affascinando solo perché sfida le nostre certezze in merito a cosa sia pubblicabile e cosa no. Non in senso so bad it’s good, sia chiaro: è più che altro il solito discorso di non capire come la mancanza d’interesse possa elevarsi a forma mentis. John Lydon cavalca l’onda con una dignità rara, ma rimane comunque la questione di ritrovarsi tra due o tre o sei mesi al raduno mensile dei fan dell’ultimo disco dei PIL e saremo rimasti in sette, il ristorante farà schifo e twitter sarà in down.

UNSANE – WRECK

Non posso nascondermi dietro a un dito e questa è l’unica musica che oggi ritengo imprescindibile e necessaria. Naturalmente è uguale identica alla musica prodotta sotto lo stesso nome e dalla stessa gente vent’anni fa, e quello che IO considero necessario dovrebbe essere preso ad esempio di cosa dovrebbe essere preso e buttato nel cestino con sdegno e disgusto in quanto appannaggio di una generazione di vecchi con la bava e la schiena malferma che pensano di insegnare qualcosa a qualcuno. Ieri ero in mezzo a un viaggio in auto con un programma radio di Assante e Castaldo, nel quale veniva più o meno snocciolata la playlist definitiva DEL ROCK, della quale ho fatto in tempo a sentire solo le prime tre posizioni che erano Bob Dylan, i Led Zeppelin e i Pink Floyd, massimo rispetto per Bob Dylan per carità, ma proprio vaffanculo. Ecco, gli Unsane sono i miei Led Zeppelin con meno idee e più fotta, e niente e nessuno riuscirà mai a giustificare la mia mancanza d’immaginazione, men che meno il fatto che gli Unsane di questa generazione non esistano o siano dei manigoldi con una mano sulla frangia e l’altra sull’iPhone. Se avessi diciott’anni probabilmente prenderei una chitarra e caccerei il me vecchio bavoso col trip del noise a piangere in un angolo, o morirei provandoci, o magari mi farei le foto dall’alto ascoltando gli I’m From Barcelona, e rimane comunque il punto.

LANA DEL REY – BORN TO DIE

Un altro caso di hype tipo quello di Grimes riguarda Lana del Rey, ma confronto a Lana del Rey Grimes è una caccoletta. Quando uscì Video Games era assolutamente indispensabile avere un’opinione su Lana del Rey (la maggior parte della gente ha scelto un’opinione tipo non è necessario farsi un’opinione su Lana del Rey dopo aver sentito un pezzo, ti pare?. Gli altri si sono divisi più o meno equamente tra quelli che boh il pezzo non è brutto, vediamo un po’ e chi si augurava che il mondo finisse prima che il disco andasse nei negozi. Alla fine il disco nei negozi c’è andato davvero, ha fatto un po’ di mossa (se non erro si parla di un milione e mezzo di copie) e Lana è stata –sostanzialmente- relegata a fenomeno marginale a metà tra i reality e la strada, occasionale ospite di qualche Saturday Night Live a caso senza che nessuno si sia preso il disturbo di attivarsi per farle fare quel passo che da fenomeno internet ti rende Adele. E dopo due mesi nei quali non ho pensato a Lana del Rey manco una volta, manco davanti a una tipa coi capelli lunghi e le labbra rifatte che minacciava di farmi pestare dal suo fidanzato, è uscito il video di National Anthem. Il video è una versione ipertiroidea del peggior immaginario glo-fi a disposizione della mente umana: Abraham Zapruder come padre putativo di tutti gli hipster col lomokino, A$AP Rocky (lo Snoop Dogg del drugapulco-hop) nel ruolo di Kennedy e ovviamente Lana moderna Jackie O. Un immaginario così tumblr non poteva che rilanciare per l’ennesima volta Lana del Rey come una specie di meta-popstar per quelli che trovano Lady Gaga troppo difficile o troppo carica, e Born To Die (che è il nome del suo primo disco, oltre che l’unica seria dichiarazione programmatica dell’artista) si sta facendo un ultimo giro nei lettori della fanbase inesistente di queste cose con un’onda autogenerata di consensi di secondo grado stile troppo frettolosamente accantonato da un pubblico di hater. Vaffanculo. A questo punto forse dovrei spiegarvi che senso abbia trollare una ragazzina rifatta e la sua fanbase solo perché odio il suo disco e l’estetica alla base del progetto, ma a che pro? Credereste comunque di essere persone migliori di me e/o superiori a queste cazzate. Bravissimi, ma se vi foste dati fuoco al vostro primo hit di Video Games  sul tubo, probabilmente avrei una buona opinione del mondo.

THE SMASHING PUMPKINS – OCEANIA

La maggior parte della gente aveva accettato in tempi non sospetti l’esaurimento della favella di Billy Corgan, si era messa il cuore in pace e si sarebbe potuta vendere la sua storia in una miriade di versioni una più romantica dell’altra. Il punto di frizione principale di tutta l’epopea C0rgan è il pubblico: anche volendo lasciar perdere i fan (che voglio dire, io sono un fan dei PJ e ti posso raccontare anche adesso, seduto a un tavolo, che Backspacer sia un ottimo disco) il mondo è costellato di analisti che hanno preso ogni singola ciofeca incisa dall’uomo da Adore/Machina in poi, smontata pezzo per pezzo, rimontata e rivenduta al pubblico con un inventario dei motivi per cui sì e dei motivi per cui no. Anche dopo cose tipo gli Zwan, Zeitgeist e Teargarden by Kaleidyscope c’è un pacco di gente che non considera Billy Corgan il figlio di Dio ma che comunque pondera dischi come Oceania per filo e per segno con più buona fede di quella riservata a qualsiasi altro artista. Così, come per magia, abbiamo dovuto riprendere in mano l’ultimo disco firmato Smashing Pumpkins e riascoltarlo per essere sicuri che non ci fosse del vero in quelle parole gentili e moderate, quei giudizi dal cautamente positivo all’entusiasta, quelle apologie tipo finalmente torna Billy a ricordarci cos’è il rock americano. Non vi odio ma sono perplesso.

JAMES FERRARO – FAR SIDE VIRTUAL

Ora, che James Ferraro e gli Skaters siano dei grandi non è una cosa che su B**tonate si mette in discussione, ma questa cosa ha a che fare più con il passato dell’uomo che col suo presente. E anche volendo essere indulgenti, abbiamo coscienza del fatto che Far Side Virtual (se non lo conoscete, immaginatevi la versione verista di Neon Indian: cut-up ad altissima fedeltà fatti con materiali di scarto culturale tipo musiche da videogame non-ripescabili e cose così) sia un disco molto conscio e rivelatore di certi scenari. Finito il primo giro d’ascolti, in ogni caso, non vogliamo fare i conti con l’impianto ideologico del disco, e se non possiamo fingere che non esista ALMENO possiamo pensare che non ci porterà da nessuna parte e verrà accantonato come un brutto scherzo nel giro di un altro annetto massimo.

MARK LANEGAN – BLUES FUNERAL

Nessun motivo in particolare, pura qualità: non possiamo permettere che la gioia per l’arrivo del primo disco a nome Lanegan da quasi un decennio distolga la nostra attenzione dal fatto che il primo disco a nome Lanegan da quasi un decennio fa cagare.

True believers: GINO CASTALDO/DOLCENERA (split issue)

occupy Paludi Pontine (fonte: Wiki)

“Ti ricordi di Antoine Rocamora? Mezzo nero mezzo samoano, lo chiamavano Tony Rocky Horror.”
“Sì mi pare, quello grasso”
“Beh io non arriverei a chiamarlo grasso, ha problemi di peso, che deve fare, è samoano.”
“Credo di avere capito di chi stai parlando”
(Gino Castaldo ed Ernesto Assante, dialogo)

Stefano ha trentasei anni, dorme due ore in meno di quanto dovrebbe per notte, sta facendo la posta da troppo tempo a una graduatoria per entrare come ricercatore in un ateneo di scarsa rilevanza culturale alla corte di un baronetto che gli fa gestire il lavoro delle dottorande assunte a scopi sessuali, un totale di dodici persone che si fumano assegni di ricerca facendoli piovere adosso a cattedre di fondamentale importanza tipo Sociologia ed economia comportamentale del coito anale telematico. Stefano lavora troppo ma non è un vero lavoro e per cinque giorni alla settimana a pranzo mangia un panino alla bresaola e una banana. Soffre di acidità di stomaco. Vuota tre o quattro bicchieri di vino del cazzo tipo morellino di Scansano o Syrah accompagnandoli a crostini riscaldati e fonduta di infima qualità al dell’università, tutte le sere dalle sei alle sette. Ogni anno si sente più vecchio triste e preso male, poi riesce a scoparsi una tesista e scaccia il pensiero per altri dodici mesi. Stefano non è una persona che conosco, ma potrebbe esserlo. La sua storia mi serve solo a farvi concepire l’esistenza di esseri umani che 1 leggono Repubblica, 2 hanno comprato dischi in vita loro e 3 sono disposti a dare credito a un articolo di Castaldo all’inizio del 2012.

True believer #1: Gino Castaldo. Nasce a Napoli nel 1950, vale a dire che era trentenne e nato a Napoli all’epoca in cui i Dead Kennedys facevano uscire il loro primo disco. Non ho altro da dire su Castaldo, lascio la sua bibliografia per dimostrare qualcosa che non ho chiaro nemmeno io.

  • Dizionario della canzone italiana – Armando Curcio Editore, 1990
  • La mela canterina. Appunti per un sillabario musicale, Minimum Fax 1996
  • La Terra Promessa. Quarant’anni di cultura rock, Feltrinelli 1994
  • Blues, Jazz, Rock, Pop. Il Novecento americano (con Ernesto Assante), Einaudi 2004
  • Trentatré dischi senza i quali non si può vivere. Il racconto di un’epoca (con Ernesto Assante), Einaudi 2007
  • Il buio, il fuoco, il desiderio. Ode in morte della musica, Einaudi 2008
  • Il tempo di Woodstock (con Ernesto Assante), Laterza 2009
  • Music Box – Contrasto 2011

(trovata sulla pagina Gino Castaldo su Wikipedia italiana, la quale ad imperitura testimonianza del nostro rosico NON contiene una voce “Bastonate”)

Insomma, oggi Gino è sulla traccia con il suo solito* articolo sulla fine del rock come genere da classifica e/o testimonianza della rivolta popolare, cioè sulla fine del rock come concetto. Non è facilissimo mettersi a fare le pulci a un articolo su delle cose del genere, sarebbe più o meno come sgattaiolare alle spalle di Umberto Bossi e sussurrargli all’orecchio “è Mark Lanegan. Non so se lo conosci, era il cantante degli Screaming Trees”. Vi basti sapere che come esempi moderni di rock (nelle uniche due righe che non parlano degli U2 o dei Coldplay) sono Bon Iver e Fleet Foxes, nella nostra scala di valori due tra le più eloquenti testimonianze dell’assenza di un Dio a cui rivolgere le nostre preghiere. Tra l’altro qualcuno mi manda per conoscenza un articolo di manco un mese fa scritto da Paolo Giordano sul Giornale, nel quale commenta la morte del rock sempre partendo dal fatto che l’ultimo disco dei Coldplay non ha venduto un cazzo. Nello stesso articolo parla di Adele definendola il Calimero del pop, cioè tipo come fai a chiamare Calimero L’UNICA poppettara non nera di successo nel 2011? Vabbè. Paolo Giordano del Giornale non è lo stesso Paolo Giordano che ha scritto il libro. Ci sono due Paoli Giordani a questo mondo, ed entrambi scrivono un sacco. Tornando a Castaldo, l’Uomo si prende un paio di righe per cercare di capire le cause (sembra ce l’abbia con gli iPod, non riesco a capire perchè). Arriva ad accusare il mercato di avere sabotato il rock e di continuare a farlo, anche e soprattutto in Italia dove gruppi parecchio incazzati tipo Ministri e Teatro degli Orrori vengono continuamente boicottati e sabotati (non dagli indieblogger, eh, proprio tipo dal MERCATO MUSICALE), lo stesso giorno in cui i Gazebo Penguins pubblicano una nota FB nella quale sentono il bisogno di difendersi da accuse di sellout (WTF?). Risposta possibile:

Gira e rigira finiamo sempre a fare i balletti intorno agli storpi, insomma. La cosa più rock a cui riesco a pensare ad inizio del 2012 in Italia, a pochi centimetri di di scroll dalla recensione degli Obake, è un video di dieci secondi nel quale Dolcenera (mai così elegantemente anoressica) sorride sul palco di TRL e accontenta uno sparuto gruppo di liberaldemocratici che le sta urlando FACCENSALUTO. Il video tra l’altro risale al 2009, mi è rimbalzato sulla bacheca di FB e non riesco a smettere di spararmelo. True believer #2: DOLCENERA. Il nome d’arte di Dolcenera (all’anagrafe Emanuela Trane), come tutte le cose brutte successe in Italia da Piazzale Loreto in poi, è una citazione di Fabrizio De Andrè. Era uno con un bel senso dell’umorismo, starà stappando. L’ultimo disco di Dolcenera si chiama Evoluzione della specie, per fugare i dubbi ideologi sull’opera di Darwin. Contiene canzoni sinceramente rock, nel senso Gianna Nannini del termine, nelle quali compaiono righe di testo tipo nella giungla senza legge ci sono gli animali e Roma non è più di nessuno. I miei pezzi preferiti sono

1 Evoluzione della specie UOMO: Celentano meets KT Tunstall meets LO SCRANNO, testo davvero piuttosto incredibile e/o imprendibile sul sesso o sull’autocoscienza o sul rapporto tra uomini e donne o niente di tutto questo.

2 un pezzo verso metà disco la cui musica è clamorosamente a metà tra Lust for Life e il primo degli Strokes che si chiama Nel regime delle belle apparenze e contiene la linea di testo io ti ho visto dare fuoco ad ogni ipocrisia con il tuo spirito. Giuro. I nostri figli e nipoti, che fortunatamente non ci siamo ancora presi il disturbo di procreare, sono alla mercè di una messe di generatori automatici di odio di classe, e questa è probabilmente una cosa positiva (voglio dire, a questo punto passare da Dolcenera a Jeff Hanneman diventa solo una questione di commitment).

Non so nient’altro di Dolcenera, ma mi sto documentando. Esteticamente è quel che la gente al mio bar definisce una gran figa, ha vinto Sanremo Giovani, sembra avere un taglio di capelli radicalmente diverso ogni mese, ha una voce della madonna. Ha fatto innamorare e/o sbroccare Baccini durante un reality show, ha partecipato al concerto per l’Abruzzo a San Siro. Il suo ultimo disco è prodotto da Martin Hannett e John Olson (Dead Machines, Wolf Eyes). Il secondo videoclip tratto dal disco in questione è prodotto assieme a Playboy, si chiama L’amore è un gioco e nella descrizione di VEVO c’è scritto, cito testualmente: “Una sequenza di immagini come invito alla consapevolezza della propria personalità, a crescere e ad esprimersi, per sentirsi affini con la persona che si ama e con chi ci circonda: è questo il messaggio che emerge dal videoclip” (il primo fotogramma è un tubo di rossetto Pupa). Il testo recita cose tipo “se solo invece di scarpe coi tacchi avessi un paio d’ali io volerei lì da te”. Giriamo la questione alla Stiletto Academy: perchè non si può recare da lui a piedi? Non saprei. Dolcenera in ogni caso ha più un problema di comunicazione che altro. Personalmente ci sono  TROPPO dentro, l’altro ieri sapevo sì e no chi fosse ed ora mi sa che mi sparo l’intera discografia. La smentita di Dolcenera su Facebook è un po’ deboluccia. L’altro ieri, tra l’altro, Bastonate è stato al centro di una polemica che lo voleva finanziato pubblicamente in quota AN e in grave difficoltà per via dello scisma finiano. Ad essere sinceri era una polemica autoalimentata, ma insomma.

Ecco, i due true believers di cui sopra non sono proprio legati, ma nel caso vogliate rispondere al sondaggio di Repubblica “il rock è finito?” (tre risposte: , no, terza opzione senza senso perchè a metterne solo due poi pare che non hai la pacca) che scaturisce dal lungimirante editoriale di Castaldo, tenete conto che in questo esatto momento Dolcenera sta operando sotto la vostra sedia. Tra l’altro insomma, dalla morte e decomposizione del rock potrebbe venire qualcosa di positvo: un cantante black metal potrebbe inalarne il fetore per esibirsi al pieno delle sue possibilità. Sieg howdy.

*non sono convintissimo che sia il SUO solito articolo, in realtà. è sostanzialmente impossibile distinguere Castaldo da Assante. Magari è il primo articolo scritto da Castaldo in assoluto su qualsiasi argomento.

Navigarella (l’arte del dissociarti mentre clicchi il tasto PUBLISH)

(in cui nel disperato tentativo di avere più voglia di aggiornare la rubrica, Franci decide di togliere i titolini ed incanalare il tutto in un unico flusso)

  • Il Conte ha detto la sua su quella storia dei norvegesi uccisi dal tipo. Naturalmente è un parere non richiesto, antisemita e tutto sommato piuttosto folle –come quasi tutti i suoi pareri. Altrettanto naturalmente la cosa non ha impedito alla gente di buttarcisi a pesce, dissociarsi mentre cliccano sul tasto Publish, e quant’altro. Ormai è diventato tutto come la partita di calcetto il martedì sera.
  • Su questa storia ci si è buttato a pesce anche Assante, non ho ben capito come mai. In pratica linka un pezzo sui Mayhem (in inglese) “alla luce di quello che è accaduto a Oslo”. Qualcuno gli fa presente che a premere il grilletto è stato un fondamentalista cattolico. Lui scrive un SECONDO post nel quale rilinka la storia dei Mayhem in italiano, sapendo che probabilmente l’assassino non ha nulla a che fare con il black metal a nessun titolo, “perchè potrebbe servire, per chi vuole far uso della propria intelligenza, a comprendere meglio la società norvegese, nella quale il nazi-cristiano è cresciuto.” D’altra parte, per quanto ne so io e senza cercare su google, potrebbe benissimo essere che l’unico altro omicidio commesso in tutta la storia della Norvegia sia quello di Euronymous. Continue reading Navigarella (l’arte del dissociarti mentre clicchi il tasto PUBLISH)