Da Enemy Of The Music Business in poi i Napalm Death continuano a incidere ogni volta lo stesso disco. Esaurite le velleità ‘sperimentali’ nel trittico Diatribes / Inside The Torn Apart / Words From The Exit Wound una volta trovatisi a fare i conti e realizzare che quei dischi avevano fruttato in tutto poco più di una cacca di mosca, il ritorno all’ordine con un EP di cover calligrafiche per tornare nelle grazie degli osservanti più dogmatici (Leaders Not Followers, era il 1999), entrano nel nuovo millennio col pilota automatico già inserito: ripristino del vecchio logo marcio e filiforme, copertine da disco crust putrido registrato in cantina, indignazione a palla sotto forma di testi tutti improntati sul concetto di piove, governo ladro, chitarre tritatutto, batteria a mille e il latrato di Barney sempre più distorto e intriso di puro odio cockney dalle basse sfere. Order Of The Leech, The Code Is Red… Long Live The Code, Smear Campaign, Time Waits For No Slave, cambiano solo i titoli; distinguere un brano da un altro diventa un puro esercizio di fede. Non arresta il Napalm karaoke questo Utilitarian, al solito titolo grondante consapevolezza sociopolitica, copertina bicroma da disco dei Crass e strali apocalittici contro tutto e tutti, l’unica novità è un’intro tastierata alla Dimmu Borgir da latte alle ginocchia, in un pezzo c’è pure John Zorn che fa John Zorn periodo Naked City il che è ovviamente di una tristezza infinita. Piacerà ai regazzini inkazzati, ai punkabbestia col giubbotto sbrindellato pieno di toppe degli Amebix, ai fanatici del metallo peNsante (è suonato bene, c’è John Zorn) e agli uomini giovani che entrano in ‘centri sociali’ come in una chiesa. Lo spirito continua (col cazzo).