anteprima: CAPRA – MLVGRL

capras

Mi reputo una bella persona. Non bella, scusate. Bellissima. Cioè, mi capita spesso di pensare che se mai nella vita mi capitasse di incontrami, mi piacerei un sacco. Forse, addirittura, mi innamorerei di me. Pensa che bello. Inizialmente mi seguirei su facebook, riderei di gusto alle cose brillantissime che scrivo, metterei dei timidi like ai miei status, poi qualche commento finto casuale e dopo un po’ mi scriverei anche un messaggio privato, utilizzando un pretesto qualsiasi. Chiacchiererei un po’ di tutto in chat, mi darei un appuntamento nella mia piazza preferita di Milano e ore dopo mi ritroverei a dire una frase come: “Cavolo, sono già le otto! Il tempo è volato via. Abbiamo parlato tutto il giorno…”. Ma non riuscirei a finire la frase. Perché lì mi darei un bacio.

Sono una bella, bellissima persona. Lo so perché so di sopravvalutarmi. Tranquilli: questa cosa del fatto che mi sopravvaluto mi è abbastanza chiara. Però preferisco di gran lunga vivere nella mia finzione – in cui sono il più bravo di tutti a scrivere, a fare radio, a scegliere i film di cui parlare al bar con gli amici, ad ascoltare musica – piuttosto che arrendermi all’evidenza che. Sì, perché poi, anche se mi risulta strano pensarlo, ho conosciuto delle persone più brave e belle di me. Persone verso le quali quindi provo una brutta invidia. Ufflalai, che brutta bestia l’invidia.

Una di queste persone è il mio amico il Capra. Quando vedo il Capra faccio tutto il carino. Gag da amicones a profusione: beviamo insieme le birrette, parliamo di musica, di film e di libri, facciamo le chiacchiere sceme e anche quelle serie. Due amici veri, insomma. Ma nessuno conosce l’orribile segreto! Io sono invidiosissimo del Capra. E mica solo perché il Capra suona in uno dei miei gruppi preferiti. Non solo perché quando suona dal vivo c’è un pubblico fomentato manco fossero allo stadio a vedere Vasco Rossi nel 1987. Mica solo perché sta per uscire con un disco solista che ha una copertina che mi fa piangere solo a pensarci e che è pure pieno di canzoni talmente belle che ti ritrovi a canticchiarle senza accorgertene. Non lo invidio solo perché ha al suo fianco l’amore della sua vita per due.

Lo invidio perché il Capra, da quando l’ho conosciuto tanti anni fa all’Igloo (che invidia aver un posto come l’Igloo), mi è subito sembrato uno con una visione. Potrei dire “con le idee chiare” ma non sarebbe la stessa cosa. E probabilmente non sarebbe neanche vero. Quando l’ho conosciuto il Capra non aveva le idee chiare e forse non le ha ancora adesso. Ma ha comunque una visione. Il Capra sapeva che la sua vita non era lì dove c’eravamo incontrati, in mezzo alle radio, ai concerti, alle scene e alle città. Lui aveva visto nei numerini verdi di Matrix che per essere quello che è oggi, doveva andare a vivere lì dove vive adesso. Sotto Zocca, vicino al Parco Regionale dei Sassi di Roccamalatina. Vive insieme all’Agnese e a Ester in una casa di pietra a due piani, con un enorme vallata davanti, un orto e basta. Ma basta davvero. I suoi vicini di casa più vicini stanno più o meno a quattro chilometri di distanza.

Negli ultimi anni sono andato a trovarlo un bel po’ di volte e ormai nella mia testa quel posto lì dove ha deciso di vivere il Capra è diventato il Capra stesso. No, scusate: il Capra è diventato il posto dove ha deciso di andare a vivere. Il Capra ha creato, con l’Agnese, senza la quale il Capra non sarebbe il Capra, un mondo suo dove mi sembra che tutto sia al posto giusto. È una questione di gestione dei tempi e degli spazi che noi comuni mortali, che il più delle volte subiamo i luoghi in cui viviamo, fatichiamo a comprendere. Siamo convinti di modificare la nostra vita e il nostro modo di vivere con le nostre azioni. E in una certa misura questa nostra fiducia è ben riposta. Ma lui ci sorpassa tutti a destra senza mettere la freccia e vive in un’altra dimensione. Che come mi ha raccontato una volta – e come io posso testimoniare – è rivoluzionaria.

Il Capra si è creato lo Spazio e il Tempo di fare tutte le cose che lo rendono il Capra. Quando è estate, va con il motorino nella valle che ha davanti casa. Insegue i cinghiali. Poi li incontra, si spaventa e allora torna a casa con la coda tra le gambe e i bozzi sul motorino. Il Capra ha passato tante notti con una luce da campeggio in fronte a staccare a mano, una a una, tutte le lumache che li mangiavano le foglie dell’insalata del suo orto. Quando non sa cosa fare, gioca con tutti i suoi animali. Che sono tantissimi. Quando ha fatto tutto quello che voleva fare durante la sua giornata, dopo cena, mette su il caffè, si siede nella sua poltrona preferita in salotto e legge dei tomi grossi come il mio comodino. Una volta ha scavato un tunnel nella neve che da casa sua lo ricongiungeva al mondo. Quando è arrivato lì in quella casa ha imparato a fare tantissime cose: ha costruito un recinto per le sue galline, ha imparato a fargli fare le uova, ha capito come fare l’orto e a mettersi nel piatto quello che vuole. Una volta il Capra ha dato da mangiare il caffè che metteva nel compost alle galline e queste sembravano delle amiche di Lapo. Sai perché? Perché il Capra ha anche fatto una marea di cazzate. Ma anche quando sbaglia il Capra lo fa meglio di me.

Una volta ho letto il diario di Salvador Dalì. Ad un certo punto racconta di aver preso il raffreddore. Con estrema pazienza, si mette a spiegare ai suoi noiosissimi lettori comuni che quello che ha lui non è un raffreddore normale. Lui è un genio, per cui il suo raffreddore non è un raffreddore qualunque, ma il raffreddore di un genio. Gli errori del Capra sono come il raffreddore di Dalì. Sono solo suoi. E ce lo raccontano perfettamente.

(Federico Bernocchi)

______________________

Sopra la panca, il primo disco solista di Capra, uscirà il 15 aprile per To Lose La Track e Garrincha Dischi. In anteprima potete ascoltare MLVGRL, la più bella canzone di sempre con un codice fiscale nel ritornello.

SUONARE A GRATIS [gentilmente ospitato in LA PESANTATA DEL VENERDÌ]

fugazi definitiva (1 di 1)

Se ancora non si è capito, quando un musicista si lamenta su fb di qualcosa che è andato storto in una qualche data UGUALE cagare il cazzo.
Già la parola musicista spesso fa rabbrividire, ma ne parliamo più sotto.
Per quanto uno abbia ragione, nel momento in cui si lamenta, anche coi toni più sublimi e sinceri, l’effetto che fa è quello.
Più in generale, devo ammettere che personalmente tutti quelli che si lamentano un po’ mi stanno qua. L’altra sera c’era questo programma con degli scrittori in tv, l’ho scoperto perché su Twitter tutti un po’ a sfavare, molto per il lol, ma anche per cagare il cazzo. Se una roba non puoi digerirla, non la mangi. Ma davvero non è obbligatorio che stai lì a menarla. Sarà per altri. Il target sono altre persone che non sei tu. Se anche le altre persone verranno a mancare, allora quella roba finirà.
Dall’altra parte, ci sta anche questa cosa che sfava parecchio, ovvero che se sei un musicista (sic) scatta subito l’obiezione: Vai, suona e taci.
Me lo dicevano a vendemmiare: “Vindemia e tes” (trad: Vendemmia e taci. Grazie boss)
Che ha anche una sua verità: piuttosto che, meglio tacere.

Ora però cago il cazzo per 3 righe.
Una delle ultime date con la mia banda è andata a finire che non ci volevano pagare. Tutti hanno i loro buoni motivi, sia per chiedere soldi che per non darli. Alla fine ci hanno pagato 1/3 del pattuito e pochi complimenti. La tentazione di mettersi lì la mattina dopo e fare il GRANDE SPUTTANAMENTO è forte, ma dopo un po’ te la tieni per te. Si scrive alle band che devono suonare là, ad amici del posto, glielo si dice, lo si dice alle agenzia di booking, fine. Quello che dovevamo dire a loro l’abbiamo fatto la sera stessa, tra l’1.00 e le 2.30. Alla loro domanda “ma io faccio il dog-sitter, dove li trovo i soldi?”, la nostra risposta è stata “e noi suoniamo, dove li troviamo i soldi?”. Ma i soldi, ahitutti, non c’erano. Fine.

Foto di Francesca Sara Cauli | utilizzata da R. P. Sheppard (cantante dei Sophia) per copertina cd e tshirt delle acoustic sessions, con la seguente proposta economica: “And how would about 25€? Is that symbolic enough for you? I can PayPal it to you once I transfer some money back into my account, Ok?”. Mai arrivati. Come non arrivò né il cd né la maglietta.

Quando non ti pagano per una roba che hai fatto è brutto.
Ma quando non ti pagano per una roba che hai fatto apostrofandoti che quello che hai fatto è: suvvia, cosa vuoi che sia stato chiuse virgolette, è frustrante. Quanta saggezza in un tweet, eh?
Ma saremo milioni quelli che negli ultimi anni non sono stati pagati per dei lavori che avevano fatto. Ergo puppare, si ama ripetere. Puoi fare la pletora di argomentazioni che vuoi, ma ad un certo punto, per motivi che spesso è meglio non sondare, chi ti doveva pagare non ha più un ghello, e di conseguenza neanche ciò che ti doveva. Quanta saggezza. Poca. E infatti non è di questo che voglio parlare.

OBIEZIONE:
Se parli contro i centri sociali non hai capito niente dei centri sociali.
A parte che non ho ancora detto nulla contro i centri sociali, anche quando lo dirò non parlerò contro i centri sociali. Ho insegnato italiano agli immigrati in un centro sociale, mia moglie non avrebbe un lavoro se non esistessero i centri sociali, ho suonato e continuerò a suonare nei centri sociali, il concerto più bello della mia via l’ho fatto in un centro sociale. Fine.
La coincidenza sfigata è stata che la data andata male è capitata in un centro sociale, dove però c’erano delle persone che non avevano nessuna idea di cosa significasse andare in giro a suonare. Forse è di questo che voglio parlare. Del fatto che stai provando a fare di quello che ti piace un mestiere, ed è difficile semplicemente farlo capire. Non intendo la zia di Agnese, che ancora mi chiede se sono senza lavoro. Intendo qualcuno che ti chiama a suonare. Che ti chiama LUI a suonare.

OBIEZIONE:
Se diventa un lavoro si perde tutta la poesia.
Questa è una cosa che avevo detto anche io. In realtà mi devo smentire.
Consideriamo anche che una bella fettona della musica che ci fa smaialare ogni giorno è fatta da gente che fa il musicista di professione. Che tremenda endiadi: Musicista + Professione. Farsene una ragione.

http://www.youtube.com/watch?v=sqv31emWxdI

L’avete visto questo documentario sui Fugazi? È una roba abbastanza totale. Andrebbe visto ogni 4 mesi. Le avete viste le parti in cui Ian McKeye se ne sta a contare i dollaroni dopo i concerti? Io sì. Perché senza quei dollaroni Ian McKeye e soci forse non avrebbero fatto nulla dopo Red Medicine. Buttali via.

Ma al di là dei Fugazi, a me sta benissimo che pure Al Bano, Appino e J-Ax facciano la loro musica e prendano i loro soldi. Semplicemente non mi interessa. Però sospetto sempre che quando ci sono più di 5 zeri, più ci sarà qualcuno che farà un lavoro sottopagato.

Foto di Gabriele Spadin |, sottratta senza consenso e utilizzata a scopo promozionale. Mai pagata. Vai GIANLUCA comunque.
Foto di Gabriele Spadin | Sottratta senza consenso e utilizzata a scopo promozionale. Mai pagata. Vai GIANLUCA comunque.

Sono tanti i mestieri che fanno fatica ad essere riconosciuti come tali. E la differenza che passa tra fare quello che ti piace per passione e fare quello che fai con passione per soldi è una cruna minuscola, ma che fa tanto parlare. Fai delle foto e vuoi dei soldi? Scrivi per un sito e vuoi dei soldi? Vai a suonare e vuoi dei soldi? Fai i soldi e vuoi dei soldi? Registri una band in uno studio e vuoi dei soldi? QUANDO MAI.
La zia di Agnese la pensa così, più o meno. Ma uno che ti chiama a suonare – presupponi –  dovrebbe pensarla altrimenti.
Capita che no. Amen.

Al momento quello che faccio nella vita che mi fa guadagnare dei soldi è andare in giro a fare concerti.  E devo dire la verità: la poesia non si è persa, ma è aumentata tantissimo. E le cose che mi faranno ricordare questi mesi come alcuni dei più belli della mia vita pure. Guadagno come se facessi un lavoro part-time. Ed è quello che voglio, mi va bene così, prima facevo un lavoro e andavo a suonare e la vita era molto più difficile. Mia moglie che vuole fare i conti fino in fondo, ha deciso di provare a capire quanto guadagna lei all’ora facendo quello che fa (la fornaia, in un laboratorio che abbiamo messo in piedi in quella che una volta era la stalla). A conti fatti prende circa 5.70 € all’ora. Io che non ho lo stesso zelo non farò i conti, ma so per certo che non supererei i 4€/h. Ma anche se li facessi, non ci sarebbe nulla che mi farebbe passare la voglia. Idem per mia moglie. E se tra un anno non potrò più camparci, lo farò uguale, senza camparci come ho sempre fatto finora.

Ma nel momento in cui ci campi è come se comparissero altre robe più sgodevoli, tipo il livello  del precariato in cui sei finito (non un novità), e poi il fatto che quello che fai non può fare a meno di mercificarsi un po’. Perché se chiedi tot soldi poi deve venire tot gente, o qualcuno ci rimetterà dei soldi. Se non viene tot gente poi fai la figura di quello che non vale tot soldi. E l’atmosfera di sembrare al palio del bestiame è a un attimo da lì. Fa parte del gioco, a me piace anche così. Più o meno va così per ogni questione che riguarda altra gente che ti deve venire a cercare. Ma non sto parlando di musica tout court, sto parlando di andare a suonare. E il gioco che ruota attorno a questi soldi è fatto di tre parti: 1) chi viene a vedere un concerto e paga un biglietto 2) chi organizza il concerto e paga la band 3) la band che prende dei soldi. Talvolta il concerto è a ingresso gratuito, e la gente entra a far parte del circuito monetario perché magari rifocilla le casse del bar.
Quando una data va male, quando capita il fatidico bagno di sangue, significa che con gli ingressi e/o il bar non ci sono i soldi per pagare la band, e qualcuno ci rimetterà dei soldi.
Con la mia banda è successo un paio di volte. Sono anche poche, e la cosa è splendida perché non torni a casa con la sensazione di aver rubato. Torni a casa con la sensazione che nessuno è scontento. Magari qualcuno poteva essere più contento, ma quello è sovrimpresso alla vita in genere, una serata non cambia la statistica.

Sono tutte variabili delicate. Ho organizzato tanti concerti, so cosa significa essere dall’altra parte del bancone. Trovo pure delle date ad alcune band di amici. E noleggio un furgone. Ho fatto esperienza di tutti gli ingranaggi ergo non cagare il cazzo. Tuttavia, nel gran traffico delle trattative e dei conti finali, se viene a mancare una componente, sono cazzi per tutti, e quella componente è l’onestà.
Ci sono tanti modi per andare a suonare e contrattare il tuo cachet.
Nel piccolo mondo che frequento io le modalità potrebbero essere queste:
1. Vieni gratis (variabile: vieni gratis + il bere e/o il dormire)
2. Vieni a rimborso spese
3. Vieni e vediamo come va (difficilmente andrà da re)
4. Vieni per una cifra
5. Vieni per una cifra e se con gli ingressi copriamo le spese ci dividiamo il resto
6. Vieni a produzione: ti tieni gli ingressi.

Se vengo a suonare perché mi prometti 50€, e alla fine la serata non è andata come speravi, e non hai i 50€ dagli ingressi, e decidi di non darmi 50€, allora la catena si spezza. Va a finire che tu, quella sera, non perdi soldi, io sì. Ma come dicevo all’inizio, siamo in tantissimi ad aver fatto un lavoro senza venire pagato, ergo stammi bene.
Di contro, quando però il locale era imballato, e a fine serata coi conti alla mano era evidente che gli ingressi superavano anche del doppio il cachet, è CHIARO che non ci si mette a trattare per avere più soldi. Perché c’era un patto, e il patto si mantiene. La volta dopo magari cambierai i patti. Senza contare che io non posso sapere quanto tempo hanno speso per promuovere la serata e quante persone c’erano in busta paga per far funzionare tutto al meglio. E nemmeno mi frega. Chi organizza le robe si prende sempre dei rischi. Nessuno lo obbliga, ma immagino sia quello che vuole fare. Conosco tanti promoter (gente che organizza robe, soprattutto concerti) che fanno quel lavoro lì perché amano la musica dal vivo.
Ehi, ehi: il discorso non andrà molto lontano da qui.
Davide, Giacomo, Nico, Gianluca, Iacopo, Marco, Francesco, Fabio, Alessio, Andrea, e via, organizzano robe perché amano quello che fanno, che sia o meno il loro mestiere; ognuno di loro lo fa in maniera diversa e con musica diversa, ma comunque trattano le persone con la stessa stima e passione con cui fanno il loro lavoro.
Sono oramai più di 10 anni che suono, ed è sempre stata una scelta in perdita economica, anche perché in 10 anni abbiamo sempre scelto di suonare con la nostra roba (ergo noleggiare un furgone) e con il nostro fonico (ergo una persona da pagare), e se tu non mi paghi noi ugualmente pagheremo fonico e furgone perché 1) siamo delle persone oneste, e 2) se amiamo quello che facciamo lo vogliamo fare BENE; e ora che il suonare non è più una faccenda in perdita non ce ne vergogniamo, ma quello che ci mettiamo non è calato di una virgola.
Alla fine il discorso non si allontana da una parola curiosa che non usiamo mai, e che probabilmente nemmeno io userò per altri 10 anni, due punti l’amore per la musica.
Se non c’entri niente con questa roba qua, io non mi aspetterò nulla da te.
Si verrà a suonare per espletare una sorta di contratto in nero tra due parti, ci saranno le persone presenti che daranno un senso alla storia, ma tra di noi non succederà nulla di quello che capita altrove, quando nasce una cosa che si chiama stima, e che è riservata a quelli che se lo meritano. E per fortuna non sono pochi.

La mia banda si chiama gazebo penguins. Tutta la musica che facciamo è gratis.
I concerti, in linea di massima, ancora no.

as
in foto R. Amal Serena, che Bastonate non ha mai pagato né pagherà mai nonostante abusi pesantemente della sua immagine.

RIFONDAZIONE INDIE ROCK

E insomma capita che il significato della parola indie ormai sia vacante. Siamo passati in mezzo a un lustro di fraintendimenti e situazioni ambigue, abbiamo continuato a fare come se niente fosse, a un certo punto qualcuno ha detto “sì però ai miei tempi non si usava” e siamo passati oltre, insomma. In qualche modo va fatto. Nel frattempo nel mondo fuori è successo che i gruppi portabandiera di quello che una volta non si sapeva come chiamare e quindi tanto valeva chiamarlo indie, insomma, loro stanno bollendo uno dietro l’altro e la gente guarda tutto con sospetto e senza partecipazione, le sensazioni pop dell’ultimo minuto nascono con l’odio del pubblico già stagionato e tutto è diventato hipster, scenester, ovviamente post, e adesso magari è un po’ maximal e un po’ no. Tutto quello che c’era fino a qualche anno fa, quelle robe stile i pezzettini tirati con la cassa dritta dei Modest Mouse e il dj anoressico con la maglietta a righe orizzontali che limona con la tipa che ti piace mentre la suona, sembra roba che andava durante la guerra fredda. O forse no, ma visto che la parola indie ormai fa schifo a tutti e non la usa più nessuno tanto vale che ce la riprendiamo e ricominciamo ad usarla per descrivere la musica che ci piace senza la paranoia d’esser fraintesi.

Venerdì sera il Bronson di Ravenna ha messo insieme una serata di indie rock normale. Abbiamo dato una mano anche noialtri. L’abbiamo chiamata RIFONDAZIONE INDIE ROCK. C’è solo gente che ci piace:

Raein

Gazebo Penguins

Distanti

A scelta nell’ordine. Poi se qualcuno rimane mettiamo su anche qualche disco, tutta roba che rompe il culo.

STREAMO – Gazebo Penguins – Legna (To Lose La Track)

motosega-core

Motivi a caso: Il disco è in free download qui, è un disco bellissimo, ha a che fare con tutta quell’ondata di neo-emocorers in italiano che stanno iniziando ad andare per la maggiore, si fa per dire; escono per To Lose La Track a fine mese e noi ADORIAMO To Lose La Track, i riferimenti sono MOLTO complessi ed hanno a che fare tanto con La Quiete e FBYC et similia quanto con tutto un discorso postrock e/o indie che potrebbe per certi versi non disdegnare di parlare di, mettiamo caso, Uzeda; testimonia una volta in più di un’evoluzione musicale che a noi PIACE, vale a dire sfangarsi da tutto quel discorso di streaming esclusivi e canali obbligatori, preferisce affidarsi alla fotta e al passaparola, ha testi in italiano che sono BELLI, cioè ha qualcosa da dire, cioè lo dice, cioè spacca etcetera. Altri motivi sono che la storia s’è sviluppata nel corso di un mesetto con punte di talento assoluto tipo un’intervista con Fede Bernocchi in cui la band dice cose che son giuste a livello quasi stevealbiniano, o un post su Facebook nel quale il gruppo mette insieme la nota spese del disco in maniera piuttosto figa e poi a un certo punto saltano fuori quelli di Legno che quando saltano fuori è sempre tutto bellissimo. Poi c’è che se c’è una cosa che ha fatto anche solo un briciolo di hype nell’indie non necessariamente italiano degli ultimi cinque anni a meritarsi attenzione e soldi è questa qua, e abbiamo il privilegio di vederla diventare un movimento compatto in tempo reale, sotto gli occhi di tutti e senza che nessuno sia obbligato a prendersene il merito. Viva tutti loro, con un bell’accento al nuovo grossissimo disco dei Gazebo Penguins che ha deciso di meritarsi il titolo LEGNA, non a caso in maiuscolo.

[bandcamp album=4133480782 bgcol=FFFFFF linkcol=d38645 size=venti]