La verità è che mi sento morire dentro
e la bugia è che non m’importa poi così tanto
Una cosa che non ho mai capito di Giusy Ferreri è che –ancora nel 2014- viene venduta come ex-cassiera dell’Esselunga, vale a dire come una persona che in un certo momento della propria vita ha svolto un lavoro qualsiasi. Intendo: lo capisco perché la vendono così, ma questa cosa non è implicita ammissione del fatto che QUALSIASI ALTRO cantante lanciato da X-Factor o altri talent non abbia mai svolto un lavoro in vita propria? E non è questo di per sè il momento in cui si prende cento anni grassi di cultura proletaria nazionale e ci si fa una bella cacatona di gusto sopra? Dicevo: Giusy Ferreri. Sale sul palco con passo malfermo e vestiti improbabili e il terrore negli occhi grandi e sembra sempre che il selling point funzioni pure al contrario, che prima o poi qualcuno smetterà di perdonarle di non aver mai bissato il successo del primo singolo e la rispedisca a calci alla cassa del supermercato. In un mondo migliore non ci sarebbe manco il dubbio, ovviamente: Ti porto a cena con me vale da sola il ritorno in pompa magna del classicismo e della Canzona al Festival di Sanremo, il momento più intenso dei cinque giorni di gara e la canzone che riascolto più spesso e con più soddisfazione, e la performance più intensa che si sia vista al Festival 2014, inclusi i fuori gara. E al tutto si aggiunge il carico di emotività de Il mare d’inverno cantata in quota Bertè il venerdì, accanto ad Alessio Boni e ad un Alessandro Haber in condizioni pietose. In una sorta di malata conferma finisce ovviamente sbattuta in malo modo ai piani bassi della classifica finale, in barba alLA BELLEZZA e al golpe fazista non riuscito e al dolore di scarto dei Renga e delle Arisae. Che faccio fatica sì e no a sentirli di sottofondo mentre mi sto facendo aprire l’anima da Giusy con un cric.