Stick your knife in me: SWANS @ Circolo degli Artisti, 22 marzo 2013

Il vecchio coi capelli sudici
Il vecchio coi capelli sudici

Non mi aizzavo così a un concerto dai tempi in cui vidi qualcosa di ugualmente pesante e sudicio e lungo, direi forse i Royal Trux, qualcosa come quindici anni fa. Uno di quei concerti che, in pratica, dura una cosa come due ore e mezza e te la fa prendere bene perché quando alla fine sei lì che muori, e non ne puoi più di vedere il vecchio che saltella, alla fine uno dei saltelli – ci sono stati ventisei saltelli e su ogni saltello tutta la band faceva SBRANG nel momento in cui lui toccava terra, e per ognuno dei ventisei ti sei detto FORZA, questo sarà l’ultimo e non lo era mai e così hai mollato e hai perso il conto e la tua mente è andata altrove (io per esempio pensavo alla città di Pereta dove sono capitato per sbaglio tempo fa), e poi all’improvviso uno dei saltelli si trasforma davvero nell’ULTIMO SALTELLO e tu torni in te tutto di un botto – tipo quando sei in motorino e ti fai i cazzi tuoi e a un certo punto uno non si ferma allo stop e sta per travolgerti, uccidendoti, e d’un tratto sei di nuovo quello che eri sempre stato, ragazzo, un falco nel cielo, un lupo in caccia con tutti i cinque sensi (tatto sudore puzza vista dito) svegli e pronti a farti scattare, dicevo? Ah sì, c’è questo saltello finale e tu all’improvviso RISORGI come un CRISTO TRIONFANTE IN GLORIA, la stanchezza ti passa di botto, sei lì che applaudi e dici a uno lì dietro, oh, è stato GRANDE e nel tuo GRANDE c’è già una promessa di letto, di RIPOSO, la maison de mon reve, amici miei, e sei talmente felice di avercela fatta che addirittura sciali questa adrenalina gratuita in cui non credevi più e ti trattieni in cortile a salutare tutti prima di andare (tutti? Tutti chi? “Tutti” cioè “nessuno”, due tre bruciati che hai incontrato lì per sbaglio quando sei arrivato SOLO alle ventuno e trenta, SOLO come SOLO nascesti e vivesti, fratello, eri SOLO, ti ricordi, a chiamare PAPà e lui non c’era). Insomma, questo è stato il concerto degli Swans, l’altra sera a Roma, un concerto glorioso per i motivi che ho detto, e spero di avervi trasmesso almeno in parte le sensazioni di amore e vittoria che ho provato, per una volta, davanti a un palco. Che alla fine, a che servono le recensioni dei concerti? A un cazzo di niente: io, quando ero piccolo (cioè avevo sui 28 anni), rosicavo a bestia per i concerti a cui non ero stato e c’era la recensione beffarda e quindi non la leggevo, al massimo buttavo lì un’occhiata scanner per vedere se riuscivo a cogliere che era stata una cacata, e naturalmente la prima e unica riga che beccavo era è STATA UNA FICATA MADONNA JEEZ NON SARò MAI Più LO STESSO;  succedeva questo, oppure c’era il caso che al concerto c’ero stato e non mi fregava poi molto di leggere le banalità di un altro, o c’era infine il caso del concerto di cui non mi fregava nulla e perciò mi fregava ancor meno di leggere la recensione.                 Quindi, non pretendo che a qualcuno freghi di leggere questa peraltro tardiva recensione di uno show che alla fine per lui/lei ha significato poco (questa frase non finiva così nel progetto mentale che faccio di ogni frase sette millidecimi prima di scriverla: però a volte mi va in merda il cervello e non riesco a concludere le frasi come avevo progettato, semplicemente perché mi dimentico in tempo reale ciò che voglio dire. In casi come questo, uso delle conclusioni di frase del tutto generiche e banali. Di norma la gente mi fa i complimenti proprio per queste frasi: MI CI SONO RISPECCHIATO UN SACCO IN QUELLO CHE HAI SCRITTO QUANDO HAI SCRITTO CHE GLI SWANS NON HANNO SIGNIFICATO UN CAZZO PER NESSUNO). Comunque, il concerto era iniziato male, c’era il tizio degli Xiu Xiu tutto solo che si lagnava, ma la cosa più devastante era che indossava un completo del tutto uncool, cioè era vestito come un impiegato povero o come un deputato grillino, quella eleganza STAZZONATA, capite. “Stazzonato” non so che vuol dire ma l’ho  letto in un libro di Ellroy dove “Stazzonato” era una parola su cinque (le altre quattro erano: “si scrollò le spalle”. No, davvero lo trovate fico, Ellroy?). Insomma, era cominciata male ma è finita bene. Sì, avete indovinato, questa era un’altra di quelle frasi che dicevo. Ma in linea di massima, sono abbastanza soddisfatto di me stesso, e se siete arrivati a leggere fin qui, GRAZIE: questo è davvero l’ultimo saltello.

live: PERCHE’? // Death In June, Qube, Roma, 20 ottobre 2011

N'è a foto è popo ccosì 🙁

Che lavoro fanno? Voglio dire: va bene il look (cioè non va bene, ma va bene lo stesso se è il prezzo da pagare per non avere i soviet), ma quando si superano i venticinque, o addirittura si raggiungono i quaranta, quale chance di procacciamento di cibo resta a chi porta una enorme cresta (rima: 10 punti-coione per me), o ha rasata metà testa (20), o invece di pensare ai figli e alla cucina veste come una sado-masichist-total-horror bitch?

Alla risposta a questa domanda, se la si è capita, sono davvero interessato; non credo invece sia possibile dare soddisfazione al vero, grande interrogativo della serata: perché? Sì, perché, chiedo soprattutto a me stesso, non ho colto la prima serata del secolo con la Lazio in tv in chiaro (no sky no fun), il tepore casalingo con quell’odorino selvatico di cane appallottolato sul divano, mia moglie a cena fuori e perciò zero sensi di colpa, perché non l’ho colta e ho strappato me stesso al benessere per andarmi a mischiare a strani vampironi nel locale più brutto del mondo?

Già, che poi, perché? Perché il Qube? Non chiedo il perché dei Death In June al Qube: chiedo proprio il perché del Qube. Lo conoscete? In una zona deep ugly di Roma, inficiata purtroppo dalla recente vicinanza del Pigneto (che c’era già prima, ma non era fico) e da quella storica con l’università più zozzona d’Europa (La Sapienza, che visti i livelli accademici la si potrebbe ribattezzare: Er Cazzo), c’è questo vecchio rudere cubico da cui l’astuto nome, ahah, orrendato ulteriormente da infissi argentati o a specchio, dotato di un personale di trucibaldi e malstrutturato su vari piani dove si svolge una – credo – quotidiana discoteca e, talvolta, dei concerti rock.

La sala dei concerti rock: perché? Perché fare dei concerti rock in una sala (quadrata) caratterizzata da una selva de pilastri (quadrati e specchiati), e circondata da du bare (nel senso: bar in romano, non casse da morto) e da una balconata da cui vecchi dark e grasse mignotte incombono sulla bolgia dei dannati. Al centro della sala, pende dal soffitto una ENORME palla da discoteca tipo Studio 77. E in tutto ciò, il fior fiore della malagioventù (20-50) di Roma, cioè una sorta di metallari-goth-lesbo chiaviconi, o spacciatori consumati dal mestiere, o sfigati random (tra cui io e i miei amici, che per l’occasione – non si sa perché – ci eravamo vestiti come dei bori, e quindi chiunque si sentirà offeso da tutto ciò ed era presente sa chi cercare), tutti che attendono (a lungo) un concerto de du vecchi.

I vecchi salgono a un orario assurdo, tanto la mattina nessuno c’ha un cazzo da fa’, ve’? (e questo forse risponde alla mia prima domanda), patetici, sconclusionati, vestiti come i tecnici AMA che la mattina erano andati in giro a svuotare le fognature allagate, e cominciano a infliggere la loro sorryIcantplay/sorrygotnotalent-music a questi giovani problematici che si sono bevuti la storia del “folk apocalittico”, che nun ha mai detto, né vorà mai, dì un cazzo. E poi! Oh, se siete nazisti non c’è da vergognarsene, eh, sono dei vostri, ma per cortesia, metteteci direttamente le svastiche, sui vostri vessilli (du tovaje appese storte sul retro). E poi ancora, oh! Può anche andar bene aver scritto un solo pezzo in tutta la carriera – voglio dire, lo hanno fatto anche i Ramones, i R.E.M. o Jay Reatard -, ma per Dio, che almeno quel pezzo sia bello.

E invece no: una nenia svociata reiterata in eterno su una chitarraccia da cento euro scordata. Ma che è? Ma è questo il motivo per vestirsi così, sentirsi epici e riottosi e attratti dal male e dall’oscuro? E io, soprattutto, rimango qui a chiedermi: perché? Non lo so, il perché: so che dopo quarantacinque eroici minuti mi sono dato per vinto e me ne sono andato. Pare che Kozak abbia sfiorato un goal nel finale: ma i punti restano due, e la notte non è mai stata così buia.