Tema: IL MIO PRIMO CONCERTO. Svolgimento:

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Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone,
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!)

(Guido Gozzano)

Quanto racconterò nelle prossime righe sembra tanto falso quanto è in realtà follemente vero. In ogni dettaglio, a cominciare dal principale, ossia che il mio primo concerto è stato un concerto dei PINK FLOYD. Nel senso: non è strano che io sia vecchissimo, quanto il fatto che un fico totale e assoluto come me abbia iniziato la propria carriera con gli Alfieri supremi del riccardonismo. Anyway. Il ventuno settembre del millenovecentovantaquattro, tre giorni dopo l’inizio dell’anno scolastico (questo è abbastanza rilevante nell’aneddotica legata a questa storia: probabilmente, il tempo di finire il pezzo e me ne sarò dimenticato, ma qualora me ne ricordassi, tornerò su questo punto più in là), i Pink Floyd, freschi del loro anti-capolavoro The Division Bell (un disco in seguito assurdamente popolare, una vera hit delle persone di cattivo gusto, delle persone che non conoscono nient’altro dei Pink Floyd tranne questo e The Dark Side of the Moon, ma amano i Pink Floyd per questo e per The Dark Side of the Moon, il The Dark Side of the Moon degli anni ’90, dunque, nel senso di disco pessimo da qualunque lato lo si prenda, cacofonico e anticanonico nel più selvaggio dei modi), suonarono a ROMA. Io venni a sapere della cosa dalle pagine della rivista ROCKSTAR, all’epoca la mia preferita, e in un giugno o luglio TORRIDO mi feci portare da mio padre a comprare i biglietti alla STEFANEL di VIA COLA DI RIENZO. Tutto quello che ho scritto in stampatello, è in stampatello a indicare assurdità e incredulità: ROMA, cioè, Roma non è mai la sede di concerti; ROCKSTAR, cioè, Rockstar!?; TORRIDO, cioè, e quando mai fa caldo a Roma?; STEFANEL, cioè, perché vendevano i biglietti in un negozio di vestiti?; e VIA COLA DI RIENZO, perché sebbene di fatto io debba essere pur andato a Via Cola di Rienzo nei primi quindici anni di vita, tuttavia non ho alcun ricordo di Via Cola di Rienzo prima di quel giorno, a cui ripenso ancora ogni volta che passo per Via Cola di Rienzo, di norma oggi per acquistare CIBI DI LUSSO da Castroni, perché oggi la musica è finita, Stefanel si è convertito in un negozio di vestiti, e a noi, che non proviamo più piacere in nessun altro modo, perlomeno sono rimaste le MOSTARDE. Comunque: io e mio padre comprammo due biglietti per il concerto, non perché mio padre ci venisse ma perché uno era per un mio compagno di classe. Il commesso pensò chiaramente che ci andassimo io e mio padre, lo so non perché leggo il pensiero (cioè, in genere sì, ma quella volta non lo feci), ma perché disse qualcosa al riguardo. A me sembrò folle la sua idea, in realtà era normale pensarlo perché lì lo strano ero io porca troia, Kurt Cobain era praticamente ancora vivo e io mi andavo a vedere i PINK FLOYD, io, insomma, proprio io e non quel riccardone di mio padre che all’epoca aveva un’età vertiginosamente bassa, tipo QUARANTASEI anni (la cosa degli stampatelli è ancora in atto), e oggi che ogni giorno mi sveglio pensando al suo funerale, bè, oh, what a feeling, come direbbe Lou Reed, anche lui all’epoca giovane promessa, e oggi vecchio carampano triste. Ma vediamo di stringere. I biglietti costavano cinquantamila lire (un BOTTO!, però se si pensa che 50.000 lire erano tipo due cd scarsi, ne deriva che è come se i Pink Floyd oggi costassero 43 euro, il che è falso, perché i Pink Floyd oggi costerebbero 146 euro, tipo, ma questo discorso tra parentesi è ininteressante al massimo, dunque lo cesserò), erano sponsorizzati da una marca di auto che per non far pubblicità chiamerò WOLKS VAGEN e che all’epoca se ne uscì con un’utilitaria chiamata appunto “Pink Floyd” (true story), e uno era per me, uno per un mio compagno di classe che non nominerò per rispetto della privacy  – anzi, lo chiamerò col nome fittizio di PUIDO GANVINI. Più in là, si sarebbe aggiunto a noi un altro compagno di classe, di nome inglese e di fatto semplicemente ricco, che chiamerò col nome inventato di FORLEY MLETCHER. Adesso loro insegnano tipo in due università adatte al loro rango (non lo so di preciso, ma tipo rispettivamente l’Università di Borgo Podgora e Harvard), mentre a me è andata meglio: non insegno in nessuna università, ma pulisco i cessi di una. I tre di noi, tipo in uno Stand by Me qualsiasi, si diedero appuntamento il ventuno settembre davanti al Liceo – che qui chiamerò lo SCONTIVI di Roma – fate conto non so, tipo alle tre. Alle tre sembra presto per un concerto che iniziava alle nove ma, tenete presente questo: 1) Eravamo inesperti, 2) Almeno io avevo l’ansia (non mi sarebbe mai passata), 3) Erano previste 40.000 persone, 4) I cancelli aprivano alle quattro e 5) Dovevamo arrivare a Cinecittà coi mezzi. Guardate su una cartina ndo cazzo sta Cinecittà rispetto a Piazza Venezia, da dove partivamo. In tutto ciò, il mondo era un posto più bello e appena all’inizio del suo decennio migliore, perciò non esistevano ancora i cellulari. Alle quattro e mezza, di FORLEY non c’era traccia, non avevamo modo di contattarlo, e vigendo allora il normale raziocinio, non controllammo se era on line su Facebook o su Whatsapp, e semplicemente lo mandammo affanculo andando noi due soli, io e Puido, intendo. Andammo, dunque, e arrivammo, e il tempo che acquistammo due brutte magliette (la mia troppo piccola: la indossai solo un paio di volte, anni dopo, in una botta di magrezza inattesa), entrammo. Credeteci o no, ma non vedo perché no, il posto era già pieno di gente, accampata per terra nella polvere come da miglior tradizione da CONCERTONE. Vicino a noi, un gruppo di fan MALTESI, inizialmente amichevoli e via via sempre più minacciosamente infastiditi dal fatto che io e Puido parlassimo tra di noi. Alla fine, arrivò l’ora del concerto. In un tripudio di ADULT CLASSIC ROCK, i Fink Ployd attaccarono con Shine On You Black Emperor (canzone che tutti i fan italiani che io abbia mai conosciuto chiamano con un punto esclamativo dopo lo You, cioè Shine On You!, Crazy Diamond, fraintendendo e sgrammaticando il titolo che naturalmente va letto Shine On! You Crazy Diamond ossia “Brilla che ti ribrilla! O Fanciullo adamantino”, traduzione eseguita con il mio Babelfish mentale); alle spalle della band, un enorme schermo su cui venivano proiettati film atti a distrarti dal concerto. Ricordo inoltre: David Gilmour con un’orrenda maglietta bianca, il pubblico che va fuori di testa per quel loro famoso pezzo strumentale di cui ora mi sfugge il nome e per Another Brick in the Wall, e ancora: The Dark Side of the Moon eseguito per intero (!) nella seconda metà del concerto, prima dei bis che, ci potrei giurare, furono Wish You Were Here (trattenni a stento un gridolino eccitato), Run Like Hell, Comfortably Numb. In mezzo, maiali gonfiabili, aerei in fiamme che si schiantavano sul palco, brutta musica e virtuosismi, insomma, proprio quello che ci si aspetterebbe da un concerto dei Pink Floyd. E siccome tutto ciò che ha a che fare con l’adolescenza e il rock, in fin dei conti, è una favola, dopo il concerto, tra quarantamila persone, incontrammo in metro proprio Forley, che alla fine, non trovandoci all’appuntamento, era andato da solo e ci aveva odiato tutto il tempo, che poi alla fine lo stronzo era lui, cosa che avrebbe dimostrato appena quattro anni e mezzo più tardi quando, dopo l’esame di maturità… Ma questa è un’altra storia. Scendemmo a Piramide, dove i genitori di qualcuno (in fin dei conti i miei o quelli di Puido, non ricordo), ci accompagnarono tutti a casa. No, credo fossero i miei, e ricordo la presa a male dell’andare a scuola il giorno dopo (mica era normale uscire la sera avendo qualcosa da fare il giorno dopo). E ricordo Forley che disse qualcosa tipo, ‘Sta settimana ancora ok, ma la prossima è dura, inizia le verifiche la Foralosso. La FORALOSSO. E’ tutto vero, si chiamava così l’insegnante di inglese, la terribile, feroce insegnante di inglese che ci terrorizzò per cinque anni, ma alla fin fine ci insegnò qualcosa, e la ricordo oggi il giorno che andò in pensione, proprio quando noi facemmo la maturità, e lei che pianse mentre tutti i regazzini la festeggiavano e ringraziavano cercando di renderla più mansueta (invano: steccò tutti, impietosamente, impartendoci una grande lezione, ossia che un bastardo commosso è commosso, ma è anche, e pur sempre, un bastardo). Foralosso, dove sei adesso, quanti anni hai. Tutto quello che mi è servito nella vita (HOW MUCH + faccia da cazzo, rivolto a commessi di dischi in Inghilterra e negli Stati Uniti) lo devo a te. Alla fine, che cosa resta di un’adolescenza, se non rancore per i vecchi amici, e una lingua straniera in più? THANKS YOU VERY MUCH!