Non voglio sapere (breve saggio sulla crescita)

in a gadda da vida

“Non avete seguito i ribelli fino alle loro… tane?”
“No, finché non ce ne sia dato l’ordine… (Si corregge) Fino a che lei non ci dia l’ordine, signore. Quali tane?”
(Rafael Spregelburd, La cocciutaggine)

Il 1991 come anno in cui nascere è contemplato a fatica nel database di pensieri a cui io possa accedere; che il 1991 produca in fatto di nascite non soltanto dei neonati, ma dei neonati che crescano e si degenerino nell’adolescenza fino a produrre un genere musicale che, diversamente dai suoi co-neonati, io mai e poi mai potrò capire e dovrò arrendermi a non sopportare, bè, questa, poi.

La mia vita scorreva inquieta ma tranquilla finché, con clamoroso ritardo – immagino – rispetto al tempo reale in cui vivono i Ragazzini oggi, mi piace, +1, la mia solida impalcatura di concetti e conoscenze teoriche non è stata brutalmente scossa da una segnalazione di kekko su questo tizio, Tyler, che produce una sorta di hip-hop troppo tetro e lugubre perché noi si possa apprezzarlo, un suono ostile come gli sguardi di, credo, migliaia di under 20’s che si girano con gli occhi tutti neri mostrando i denti e dicendomi, Vecchio, stanne fuori.

E io ne sto fuori, sto un po’ in disparte lontano dal palco e dal pogo, in un punto in cui la musica arriva male, arriva attutita e, per la prima volta, provo la sensazione di non capire e non mi ci adeguo, e cerco di interpretare quello che vedo applicando mie categorie stantie e vecchie, Clouddead, Prefuse 73, Rayban di plastica rossa, acidi e Ah sì, è una moda, che naturalmente mancano totalmente il punto, acqua, acqua, acqua mentre loro affondano le mie corazzate;

Affondano le mie corazzate perché io sono il gesuita che arriva in Messico e scambia una rappresentazione del Cosmo Increato per una partita di calcio; sono il padre che tira su i pantaloni a vita bassa di mia figlia; sono il Gattopardo e sono, se volete, il vecchio inglese che smonta i Sex Pistols sulla scorta dei Beatles; io sono tutte queste cose, io che sto a guardare e rido ma non so che cosa invidio, che cosa invidio.

L’altra sera ero attorno a un tavolo con altri vecchi e cercavamo pateticamente di ideare qualcosa, un linguaggio, uno straccio di app (mi piace) che permettesse al nostro mestiere antiquato di facitori di libri (-1) di sopravvivere all’ineluttabile. La visione del sito di riferimento di questo Tyler mi ha fatto capire che non ce la faremo mai, e non ce la faremo anche e soprattutto perché io, oggi, adesso, sto parlando di “sito” ma mi accorgo che quel TUMBLR lì nell’indirizzo, ooops, nell’URL (+1), non me la racconta giusta (non mi piace più).

Tagliato fuori, non mi resterà altro che scappare via a casa, in lacrime e sprezzante al tempo stesso, e domani a un concerto di PJ Harvey o chissà chi altro (ma una cosa del genere), con rassicuranti, calde e valvolari chitarre elettriche che mi nasconderanno l’ineluttabile verità, ossia che la musica non più ci appartiene, e siccome in notti come questa l’ho tenuta tra le braccia,
la mia anima non si rassegna d’averla perduta.

Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa,
e questi gli ultimi versi che io le scrivo.

FUCK YOU PAY ME


I tempi sono cambiati ma è ancora strano avere trent’anni e sentirsi così soli. Hey World degli A.R.E. Weapons (2001) è il più importante pezzo pop degli anni zero – salvo i pezzi dei Suicide nella versione di Springsteen – e loro sono desolati e solitari e senza futuro. Vendono sul loro sito una maglietta orrenda che ho comprato senza pensarci due volte, la indosserò in occasione del prossimo Halloween, ubriaco davanti al rogo di casa mia come in quel pezzo di Tom Waits. Qualche anno fa pubblicarono un disco a tiratura limitata (un cd-r misero misero, con la copertina d’oro), lo si poteva acquistare solo sul loro sito ed io lo comprai il giorno dell’uscita, unico al mondo, mi scrissero commossi, e nel cd che mi arrivò giorni dopo c’era scritto a mano FUCK YEAH DONT STOP BANGIN. E io non ho mai smesso. Sono influenzati dai Nervous Gender nel senso che hanno le copertine nere e nessuno li conosce; la differenza rispetto ai Nervous Gender è che nessuno li ritiene fichi. Li apprezza – pare – un tardo Alan Vega, che l’anno scorso ha registrato un singolo con loro chiamato SEE THA LIGHT perché Vega ha capito a sessant’anni di apprezzare l’hip-hop primi  ’80, ossia l’hip-hop quando si chiamava RAP ed era brutto e pulsante e da cui gli A.R.E. – che non si sono mai fatti mancare nulla – sono influenzati. Ma non come ne potrebbero essere influenzate delle fighette da primaverasound tipo gli Heath, gli Hart, come cazzo si chiamano?, quelli col cinese danzerino e gli scarpottoni color fluo. A loro PIACE. E piace anche a noi, perché è IMPORTANTE così come lo sono i Suicide e Cecil Taylor e una sera, un anno o due fa, ero semplicemente felice di stare con la mia fidanzata e di amarla e così ho messo Dream Baby Dream e abbiamo ballato in salotto, tipo un ballo vecchio stile. Questo mi è venuto in mente perché significa che i Suicide sono IMPORTANTI e la mia anima è perfettamente in sintonia con quella degli A.R.E. Ho una loro brutta maglietta, l’ho già detto vero?, mi deve ancora arrivare in realtà e chissà se me la spediranno davvero, ma gli ho dato i soldi con  PayPal e sono lieto di averlo fatto in ogni caso. Pitchfork Media dette 1 al loro formidabile esordio, ma Pitchfork non ha proprio mai avuto gli strumenti, e nemmeno la gente li ha, solo gli Umani, che sono in genere pochi e non sempre interessati alla musica leggera. Il loro secondo album lo trovai a pochi giorni dall’uscita svenduto a due sterline su Amazon. Il primo, omonimo, si trova oggi su Amazon inglese a un prezzo compreso tra £ 0,81 e £ 2,51. Il secondo (Free on the Streets) a 50 pence. Il terzo (Keys Money and Cigarettes) non si trova, è quello d’oro di cui sopra, dovreste chiedere a me – risponderei “no”. Il quarto (Modern Mayhem) è caro, 2 sterline e 59. Il quinto (Darker Blue) non si trova ancora, bisogna comprare il vinile sul sito (chiederete a me quando mi arriverà: risponderò “no”). Le loro canzoni si chiamano: Vaffanculo pagami. Ehi mondo. Chi cazzo sei. Non ci frega niente. Non ci frega niente parte due. Saigon. Che cazzo vuoi. Sono solo alcune (quest’ultimo non è un titolo, sono di nuovo io a parlare). Cecil Taylor, a proposito, è un grande: impossibile non ascoltare Conquistador in questi strani giorni di ottobre. Cosa state ascoltando lì, cosa avete? Ah, gli Arcade Fire. O quei fregnoni dei Liars. Ah, oppure potreste ascoltare First Blues di Allen Ginsberg, ora che è uscito anche il film. Ma, dicevate, che disco avete preso? Gli Okkervil River, Giovanna Newsom, i Miao Miao, le CAZZATE. Volete la verità, o solo un po’ di musica? “Solo un po’ di musica”. Ah ecco, quindi non fa per voi. Cosa, gli A.R.E.? No, proprio l’aria che respirate (rubate ad altri polmoni). Questo stile di frasi brevi e a singhiozzo mi ricorda Saviano e mi odio da solo. A voi Saviano piace, lo leggete avidamente e il cuore vi si gonfia in petto, mentre a me non piace, io non leggo libri se non sono in tedesco (in quel caso non traduzioni di Saviano) e soprattutto leggo i testi degli A.R.E. Weapons, imparando molto. I casalesi per vendetta hanno fatto in modo che nessuno ne comprasse i dischi. Neanche voi li comprerete, perché tra lo spendere zero sterline e ottantuno e venti sterline per Saviano prendete Saviano. Ma i soldi ai Radiohead (pronunciato in questo caso /radioèd/) glieli avete dati per In Rainbows, eh fregnoni?, alcuni hanno anche ritenuto Dare Quindici Euro Sani a Thom. Affanculo Thom. Su CDUniverse c’è una sola copia di Modern Mayhem: la sto comprando in questo momento per impedirvi di prenderla voi. Fatto. Anche se ce l’avevo già. Ho preso anche il documentario su Jandek in dvd e un disco di John Fahey che non avevo. “Che non avevo” è la formula che nella blogosfera gli sfigati appassionati di musica usano quando comprano un classico del rock, come a giustificarsi. Ho preso un disco di Dylan “che non avevo”, ossia li altri li ho TUTTI e a ben vedere anche quest’ultimo ce lo avevo già solo in vinile dell’epoca e mi ero stancato di rovinarlo. Ascoltando gli A.R.E. Weapons vengono in mente: Jandek, John Fahey, Sun City Girls; e Akira Kurosawa, il battito sporco e malato dei Geto Boys. C’è una canzone dei Geto Boys nel disco prodotto da Rick Rubin che a un certo punto dice: l’ombra della morte / mi segue / non me ne frega un cazzo. Neanche a me, tantomeno agli A.R.E. Weapons. Il chitarrista fondatore è morto, ma se ne fotte. Se Tom Waits fosse ancora giovane e magro oggi inciderebbe l’esordio degli A.R.E. Weapons. Quest’ultimo disco invece è più come un disco dei Suicide, ossia come lo inciderebbero oggi i Suicide. Avete anche un po’ ragione a sostenere che se i Suicide oggi fossero giovani sarebbero i Kill The Vultures, ma in realtà non sapete che gli A.R.E. Weapons sono i veri Kill The Vultures, e che ho una maglietta anche di loro anche se ho trent’anni e che, per quanto sia strano, ancora mi sento così solo (suono festoso di trombetta circense).