Profili – Toto Cutugno

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La prima pagina della Pravda del 10 febbraio 1980. Nonostante quel giorno la notiziona sulla bocca di tutti in Russia è che faceva freddo (il titolo sulla sinistra significa “Ansenti che gianna”), per preciso volere di Breznev il giornale dette ampio risalto alla vittoria di Toto al Festival di Sanremo. In Russia canzoni cantano te! (photo (c) courtesy of komintern.da.ru, raccolta da fotomontaggifattimale.wordpress.da.ru)

Dopo essere stato duramente ripreso dal Primo Segretario di Bastonate (Nikita Kekko) per non aver fatto menzione di Toto Cutugno nel post di ieri – la scusa ufficiale è che dormivo a quell’ora, la ragione vera è che so’ stronzo, naturalmente -, mi faccio perdonare pubblicando qui la prima puntata della nuova rubrica di Bastonate “Profili” – Rubrica che rimarrà lettera morta d’ora in avanti, è ovvio, ma che si propone di recuperare, con rigore filologico, brevi cenni biografici di personaggi rilevanti per il Paese e la nostra linea editoriale e di condotta generale.

Toto Cutugno nacque a Kalinkova, il 15 aprile del 1894. Appassionato di musica, di cavalli e di treni fin dalla più tenera età, nel 1912 venne posseduto da un dybbuk, che rallentò di moltissimo l’invecchiamento dell’involucro che ancora noi, poveri mortali, ci ostiniamo a definire “corpo”.

Toto e Kruschev. Kruschev aveva una testa più piccola del normale all'epoca (courtesy of toto.da.ru)
Toto e Kruschev. Kruschev aveva una testa più piccola del normale all’epoca (courtesy of toto.da.ru)

La vena soprannaturale lo rese del tutto sprezzante della morte – ecco perché senza difficoltà cavalcò il terrore sovietico del 1917, ed ecco perché fece carriera nel locale Partito Comunista pur non applaudendo particolarmente a lungo i discorsi di Stalin (ho letto in un libro tempo fa che, in occasione di un certo discorso di Stalin, il primo funzionario del Partito che smise di applaudire venne giustiziato. Per questo motivo, i discorsi di Stalin erano seguiti da lunghissimi applausi, e pare che ci fosse un LP quadruplo con un discorso di Stalin con un lato riempito dai soli applausi. Ovviamente avanguardia totale, bisogno di possedere questo LP ormai a livelli irragionevoli, articolone su Blow Up, la rete impazzita).

Toto si fa rode il culo alla notizia della vittoria di Fogli a Sanremo 1982. Lui manco partecipava, ma i comunisti so' così, vonno tutto a modo loro sempre
Toto si fa rode il culo alla notizia della vittoria di Fogli a Sanremo 1982. Lui manco partecipava, ma i comunisti so’ così, vonno tutto a modo loro sempre

Tornando alla carriera di Cutugno, dopo le vicende demoniache ritornò a Mosca come capo del Ministero per il Collegamento con i Partiti Comunisti e Operai negli Stati Socialisti dal 1957 al 1967. Nel 1967 lasciò questo incarico per diventare capo del KGB e dedicarsi completamente alla musica, su raccomandazione di Michail Suslov.  Il suo mandato di Direttore del KGB fu tuttavia lungo, e si dimise solo nel maggio 1982, quando, con 22 milioni di copie vendute, fu promosso True Believer del Partito e Segretario Responsabile per gli Affari Ideologici.

La storia recente di Toto la conosciamo tutti. Dopo quasi un trentennio di buio seguito alla caduta del Muro di Berlino, nel 2010 Toto viene riscoperto da Bastonate e rilanciato nello stardom musicale. Negli ultimi tre anni – calcola la C.I.A. – è l’unico artista pop della stratosfera oltre a The Secret e L’officina della camomilla a vendere più dischi di quanti ne vengano scaricati. E pensare che i pezzi di Toto non sono manco su iTunes!

La celebrazione di ieri, di fronte a una platea commossa di vecchi commilitoni, è il giusto riconoscimento per un Artista che ha attraversato un’epoca intera di civiltà e pop italiano, sempre con la testa alta e il pugno chiuso. удача, Toto, e sempre grazie.

Kekko e Toto a Cesenatico nel 2010 dopo che Kekko gli ha detto che Ashared Apil Ekur avrebbe scritto un pezzo su di lui
Kekko e Toto a Cesenatico nel 2010 dopo che Kekko gli ha detto che Ashared Apil Ekur avrebbe scritto un pezzo su di lui

il listone del martedì: CINQUE MOTIVI PER CUI GUIDARE A ROMA FA SCHIFO (aka cinque motivi per cui Roma fa schifo)

Porta Maggiore

1) La gutturalità della C iniziale in romano

Ho paura di guidare. Uno dei motivi per cui ho paura di guidare è quella cazzo di C dura a inizio parola che i romani di merda già non sanno pronunciare, e dicono GHIESA (ma poco, perché non ci vanno), ma che si indurisce sempre più ogni volta che i romani si infervorano per nulla. Non che ci voglia molto a far infervorare un romano per nulla (e infatti al pensiero de voi stronzi che leggete, già me sto a nfervorà): ma se c’è una cosa, una singola cosa che fa incazzare (ngazzà) i romani, è quanno è vverde e ar zemaforo nun SGATTI, e allora da quelle loro rozze gole ingoiatrici di porchetta prorompono strozzate grida gutturali del tipo AHO’ VO’ GAMMINA’? Ora, già non c’ha senso che i romani di merda utilizzino il verbo GAMMINA’ – camminare – per una MAGHENA che, a sentir loro, dovrebbe andare a SJENDOSJINGUANDA ‘n città (nun stamo ‘n ghiesa!), e allora io mi fermerei, intendo che mi fermerei io coione sul mio motorino coione, e girandomi di tre quarti con la vocetta nasale gli direi: C’è una mancanza di logica in quello che dici!, solo per venire sommerso da gente che mi urla TE VO’ MOVE, gente che mi chiede, insomma, de gamminà. Io non lo so se mi passerà mai la paura di guidare. Del resto, come diceva Pasternak, la vita non è una gamminata in un campo.

 

2) I ciclisti del cazzo

Ho paura di guidare. Certo, ce l’ho: per questo motivo, non essendoci a Roma altre alternative ai propri automezzi che i piedi e le biciclette (abbiamo, è vero, dei rari autobus, ogni tanto se ne vedono un paio dalle parti di Termini, e i nostri nonni ricordano addirittura che passavano “abbastanza spesso”: ma se sa come so’, i vecchi), potrei pensare di utilizzare una di queste se non fossi dotato del minimo sindacale di cervello per rendermi conto che una città fatta di intasate autostrade in salita non è il posto giusto per andare in bici. Bè, apparentemente c’è chi non la pensa come me, e ‘sti stronzi non sono manco in pochi: al grido fiero di NO OIL, vestiti di cioce e tovaglie indiane, supponenti e arroganti pezzi di merda nullafacenti partono di buon ora dai loro pigneti e sanlorenzi, dando un significativo contributo a intasare ancora di più quello che Satana in persona non riuscirebbe ad intasare. Come enormi palle di carta igienica in un cesso [andiamo, a chi non è mai successo di produrre senza alcun motivo una gigantesca sfera di carta che ha intasato per sempre e irrimediabilmente una tazza del cesso di solito altrui, ma altrui nel senso di “appartenente a persone con cui non siamo in confidenza”? Quegli interminabili, intensi momenti chiusi nei bagni di gente tipo l’Ambasciatore della Cina, il Vice-Direttore Generale, Vinicio Capossela o Boris Pasternak, a lanciare lancinanti grida silenziose del tipo DIO TE PREGO AIUTEME A SGARIGA’, e intanto progettando frenetiche soluzioni alternative o scuse non davvero possibili, e ricevendo come risposta un silenzio ancor più lancinante e l’acqua che sale, SALE, annegando i nostri stupidi ego che davvero credevano di darla a bere a una tazza? La vita non è una camminata in un campo], come palle di carta in un cesso, dicevo, i ciclisti si piazzano al centro della carreggiata – ma non sto parlando dei vostri viali di campagna di Pavia o dove cazzo vivete voi: parlo DAAAAAAAA PRENESSINA, alle otto de madìna! -, lentissimi, con improvvisi scarti a destra a sinista; procedono contromano, sempre sulla Prenestina, o sotto il tunnel di Piazzale Tiburtino, o lanciati a folle velocità sulla discesa di Viale Pola (tutte storie vere); ancora, sorpassano a destra autobus alla fermata, quei pochi autobus; chiacchierano affiancati sbirciandosi l’un l’altro il culetto (tra maschi), per non dire il PACCO; ti guardano in cagnesco con sguardo da mamme fiere se chiedi gentilmente permesso mentre loro vanno a 12 km/h a Piazza Venezia, ci danno dentro a spingere sui pedali quando provi a superarli, e si attaccano al tuo finestrino facendosi trascinare e RIMPROVERANDOTI IN SPAGNOLO PERCHE’ NON SEI SOSTENIBILE!!! Tutto accaduto, tutto vero. Io non lo so se mi passerà mai la paura di guidare, ma se sì, la prossima volta, sotto al tunnel di Piazzale del Tiburtino io non sono tenuto ad accorgermi di nessun ciclista contromano.

 

3) I monumenti demmerda (a tribute to Porta Maggiore)

Ho paura di guidare, questo è vero, ma quello che mi fa ancora più paura è: ER GOLOSSEO. Voglio dì: a Roma non succede un cazzo dai tempi dell’impero romano, siamo irrilevanti da migliaia di anni, e tutto quello che apparentemente ci è rimasto so’: i monumenti de merda. Oltre ar golosseo, er pànteo, i fori, aaartare daa patria, e ancora, oltre aaaa golonna de piazza golonna, er pincio, i musei gapitolini, er vatigano, castèr zantangelo, a bocca daaa verità, er sjirco massimo, oltre a tutta sta merda, insomma, che già de per sé crea DISAGIVM nel suo creare file interminabili di turisti da paesi trogloditi (Russia, Europa dell’est, strane etnie) che lentissimamente attraversano a MIGLIAIA le nostre strade, oltre a questo, dicevo, ci sono i famigerati monumenti minori, ossia vecchi agglomerati di mattoni senza alcuna altra utilità che bloccare le autovetture, creando ingorghi tali che nun se gammina più. Porta Maggiore. Pijamo Porta Maggiore, pé dì: a che serve Porta Maggiore, e le sue tentacolari mura dalle strettissime arcate, Porta Maggiore che un’urbanistica malata ha reso snodo chiave dell’intero Impero Romano d’Oriente, Porta Maggiore che tutti odiano perché i romani se so’ rotti er cazzo de tutti i monumenti (non solo a ragione: i romani sono anche una massa di capre ignoranti) da quando avevano 12 anni, e che potrebbe essere apprezzata solo dagli stranieri, non fosse che Porta Maggiore è una zona frequentata solo da quel tipo particolare di straniero beone di paesi dove non esiste la scuola, stranieri perciò abbrutiti al livello dei romani e totalmente incapaci di apprezzare il bello? Porta Maggiore non serve a un cazzo, Porta Maggiore è tutto un mortacci tua, tutto un vo’ gamminà de maghene che cercano furiosamente di inserirsi nel piccolissimo imbuto che è anche l’unico passaggio possibile, l’unica connessione di tipo un milione di abitanti con il resto della città? Io non lo so se mi passerà mai la paura di guidare, ma certo quella di vivere in una “bella città” mi tiene in una morsa molto più stretta.

 

4) I sampietrini demmerda

Ho paura di guidare. Ne avrei avuta meno, chi può smentirmi?, se Roma fosse ancora dolcemente sterrata (sderàta, in romano) e le sue sordide vie del centro fossero sì traboccanti immondizia, piscio di cane e melma, ma perlomeno lo fossero in un coerente amalgama marrone con la terra (tèra) anziché sull’orrido fondo nero dei Sampietrini. Eh sì, perché qualcuno, un giorno di tanti-non-tantissimi anni fa, ebbe la bella pensata di pavimentare Roma, ma di farlo non già con comode lastrone di pietra giganti, bensì con minuti serci piramidali da inserire rovesciati nel terreno. No, sono disonesto, sto mentendo: i Sampietrini non sono piramidali, sono PIRAMIDI TRONCHE, non hanno cioè manco la punta del cazzo, questo perché – trovatemi una ragione migliore – altrimenti avrebbero rischiato di piantarsi saldamente a terra. Cioè, ve devo fa’ er disegno de come so’ fatti i Sampietrini:

…vi rendete conto? Per questo motivo, Roma è in gran parte cosparsa di irregolari, spostasti, smottati mattoncini neri, che come se non bastasse sono fatti del materiale più viscido e scivoloso che esista al mondo. Ecco perché, quando piove, quando tira vento, quando gli uccelli cagano, annamo tutti lunghi pe’ terà. Io non lo so se mi passerà mai la paura di guidare, di certo, prima o poi, andrò lungo.

 

5) I vecchi che fanno segno con le mani e la bocca larga

Ho paura di guidare. Sembra perciò incredibile che qualcuno possa aver paura di me, eppure quel qualcuno esiste: i vecchi! I vecchi non in generale, ma i vecchi demmerda che attraversano la strada piano piano piano (e certo, poracci, so vecchi), ma nell’attraversare una strada peraltro deserta, si imbattono a volte in te, che vai ancor più piano – hai un cinquantino e niente più – e, peraltro, ti stai giudiziosamente fermando al semaforo, che Roma fa schifo, ma non è ancora Napoli, per fortuna. Eppure, loro attraversano con l’aria affannata e, terrorizzati, alzano il braccio verso di te, come a dire, Viva il Duce!, oppure, più probabilmente, FERMA AHO’ FERMATE FRENA CHE NUN ME VEDI? Sì che te vedo, so’ già fermo! Io non lo so se mi passerà mai la paura di guidare, però so, che una volta o l’altra, passo col rosso.

 

Altri motivi per odiare Roma e la guida a Roma, non considerati qui analiticamente ma forse sì, in un futuro remoto e indefinito:  6) Quelli che buttano cane/passeggino/bambino in mezzo alla strada e ti guardano come a dire, ahò, mbè, so’madre; 7) Quelli che attraversano la strada e ti guardano come a dire, ahò, mbè, so’ pedone; 8) i raccoglitori della monnezza nelle ore di punta nelle strade strette; 9)i lavori nelle ore di punta nelle strade strette; 10) Gli autobus con gli autisti coicanomani; 11) Il rumore degli autobus ad altezza orecchio; 12) La puzza di guano a Viale delle Milizie o a Via Arenula tra ottobre e novembre (AKA storni demmerda); 13) L’asfalto co’ le voragini; 14) I ciclisti di merda; 15) I ciclisti di merda. 

 

Daniel Johnston a Roma: Lomokino/Bocchino/Punkrock/Puffdaddy/Antichrist+

Allora, ieri ha suonato Daniel Johnston. Ritengo probabile che la rete sia già da ieri sera un delirio di instagram e tweet che dicano quanto sia stato incredibile, straziante. Non lo è stato, per me, in particolare (non era Mozart, sai, se non ci credi non è bello uguale), ma il punto cruciale della serata è che ce n’era una che fumava col bocchino, e ce n’era un altro che riprendeva col Lomokino. Riprendeva il concerto, intendo, non il bocchino. Ma il prodotto non cambia, perché tanto non sarà venuto un cazzo, e l’unica cosa che dà un po’ di sollievo alla mia mente sconvolta dalla visione di questo che si dava da fare con la manovella è che, di sicuro, le riprese non saranno venute, e il suo progetto di POSTARE un delizioso film muto, fatto male ma apposta, fragile e rimorchione, probabilmente è naufragato come e peggio dei tentativi del povero Daniel di fare un re minore. Ragazzi e ragazze, persi e perse negli occhioni azzurri di quello di spalla, su cui non dico niente solo in virtù della pressoché totale certezza che, se lo facessi, entro diciassette minuti sarebbe nella mia e-mail, a riprendere col lomokino le mie argomentazioni essenzialmente basate su niente in particolare; ragazzi e ragazze, dicevo, qui non ci siamo più. Ci siamo persi tutto quanto per strada, e da mò: è vero, sono stato un po’ distratto negli ultimi anni, ma quando ho lasciato il campo di battaglia, ricordo, il sergente maggiore mi rassicurò che d’accordo, la resistenza era dura, ma la musica ancora esisteva. Sono tornato, a un certo punto, solo per scoprire che al posto di qualcosa c’era soltanto adesso il grande niente di tutte queste maledette scarpe col tacco e polacchini e stivaletti; e i maschi, i maschi sono sempre più magri, rigati, spettinati, e riprendono tutto con la cazzo di manovella della loro cazzo di lomokino.

Niente può rimanere di tutto questo, altro che Berlusconi e il berlusconismo, c’è questa maledetta sciocchezza al potere che ha frainteso clamorosamente il fatto che i rocker non c’hanno i soldi trasformandolo in, famo tutto a cazzo di cane!, tirando clamorosamente in ballo le donne – chi cazzo l’ha mai volute?! – e rendendole protagoniste del tutto, con deliziosi tagli a caschetto e musichine fesse e scampanellanti che potessero essere gradite ai loro cervelli minorati. Persino i maschi sono diventati femmine. Sono femmine i maschi del pubblico, ma anche quelli che producono la musica gradita alle femmine, con le loro barbette di merda, cristo, sono tutti femmine con la sola eccezione del caso in cui il musicista sia un freak, e quindi delizioso, tenero cicciottone da coccolare a parole perché all’amore vero ci pensa il tipo con la lomokino.

La musica si è femminilizzata tutta, e se nelle sale buie dei concerti ancora si nasconde qualche maschio riottoso capace di ascoltare il mio grido, bè, ragazzi, cosa aspettiamo a reagire, perché non ci riprendiamo ciò che è nostro?, se a noi reietti tolgono la notte e i più squallidi tra i locali, a noi cosa resta? Non la luce del giorno, non la fotografia (noi impareremmo a fare vere foto, nel caso), non i fanciulleschi, graziosi ricordi di Hanno ucciso l’uomo ragno. Altro che l’uomo ragno, questi (queste) hanno ucciso l’uomo e basta, con tutto ciò che rappresenta: e mentre la manovella di plastica continua a girare, la notte continua a andare avanti, e non ce nulla che noi possiamo fare.