FF L’hai sentito il disco di Trickfinger? Mi sono ascoltato quello e poi quello nuovo di Baldelli che prende voti allucinanti su roba tipo Wire, e me li sono pure io goduti entrambi un botto, ma così a naso se fossero stati dischi di chitarra rock li avrebbero sfottuti a morte o ne avrebbe parlato in termini entusiasti solo stefano isidoro bianchi, sbagliando. Mettici anche questo articolo che parla di quanto è sfigato Guetta a parlare di “old skool” riferendosi a quando gli tocca scrollare i file dalla chiavetta invece che usare i preregistrati, per me siamo al giro completo.
Ikke Frusciante non mi interessa perchè come tutti i musicisti rock che si riciclano nell’elettronicume hanno per natura poco da dire, perché vivono la transizione come un esterno che costruisce l’interno (l’integrità dell’essere rock) e invece, come insegna la techno detroitiana, dev’essere l’esatto contrario, cioè la sovrastruttura organica che esce all’esterno modellandolo, come un’archeologia al negativo; è di per sè un’ammissione di colpa ritardataria quella di questi musicisti, è come farsi l’undercut nel 2016.
Fare parte della milizia è una scelta politica, chi viene dal rock degli ultimi vent’anni ha un modo di pensare la musica e comporre antitetico alla techno che invece è quasi una forma astratta, jazzistica, depurata dall’adrenalina e che corre forte essenzialmente perchè ha l’ambizione di depurare oltre l’istinto pure l’umano. Internal Empire di Robert Hood è uno dei più grandi dischi di sempre ma insegna ancora troppo poco. C’è anche da ammettere però che produttori che si riciclano nei circuiti-chitarra generalmente fanno pure di peggio e senza nessun ritegno.
Baldelli lo rispetto da morire perchè è tutta quell’epica Baia degli Angeli, quella polvere di stelle lì, bellissima italiana nordest patriottico, house da guerra libica al caleidoscopio ma ormai anche lui si ricicla con questi tool per dj, sempre belli per carità, non cambia nulla della sua storia ma non so cosa ci possa scrivere più di tanto The Wire.
Guetta non piace a nessuno ed è pacifico ma fargli le pulci perchè utilizza le penne usb mi pare fin troppo, e non ha niente a che vedere con questa old school di cui si continua a parlare così, in maniera falsamente coscienziosa, da social. Mi pare che si voglia recuperare per la propria parte critica e per la propria cultura (la musica ballabile sta ormai vivendo una fase tipo il rock indipendente negli anni ‘90) quella materialità da concerto che dev’essere sempre un’esperienza, l’ossessione per il rapporto tattile, per me sono prese di posizioni che lasciano il tempo che trovano: è tutta retromania in sofferenza d’aggiornamento (nel senso di quando la barra now loading si blocca), da fase in cui non si sa se esporsi al transumanismo nazi o continuare ad appartenere alle consuetudini naif della critica musicale. La sacralità dei concerti (o dell’esperienza in generale) io la trovo detestabile sempre, figuriamoci per dei dj che a maggior ragione, e quasi per contratto, hanno il diritto di rubare soldi alla gente.
FF Il paradosso che mi viene in mente è che molti di questi meccanismi cognitivi nel rock (comunemente indicato come retroguardia) sono stati purgati da decenni. Cioè se succedesse che, non so, a un concerto metal salta il trigger della batteria e il batterista si mette a improvvisare la cassa coi piedi, e magari poi il gruppo lo racconta su Kerrang di quella volta che il batterista s’è dovuto inventare le parti sul momento, non è che arriva il powermetallaro tr00 a dire che quello è un gruppo finto e usa gli effetti. Succedeva forse nel 2001, ma solo in certe sacche trascurabili della fanbase. Invece nella dance, non dico sottogeneri, dico proprio come concetto critico di roba da ballare in generale, che è così scolastica nel senso di old skool, a vederla da fuori mi sembra si ponga ancora spesso il problema del retroterra e della preparazione tecnica eccetera, discorsi che se provi a intavolarli un’altra volta nell’indie ti becchi come minimo accuse di stitichezza. Il rock oggi lo puoi fare strutturato o destrutturato quanto ti pare, forse perché sei sempre anacronistico a prescindere e puoi scegliere al limite se essere anacronistico figo tipo boh, i Neptune, o anacronistico sfigo come quelli che rifanno la roba cosmica anni settanta come se non l’avesse mai recuperata nessuno e trovano comunque una critica e un pubblico che gli reggono il gioco. Invece la dance o ancora peggio il rap (avevamo parlato se non sbaglio di quanto mi fa vomitare il disco nuovo di Kendrick Lamar) sono roba considerata tipo contemporanea, e il fatto che siano considerati tali per me vuol dire che lo sono -se non c’è una legittimazione sociale o culturale non c’è il concetto di contemporaneità proprio- e boh, la fanno franca per via di certi canoni di giudizio che nel rock avevano rotto il cazzo intorno al ’76, lo skill, la politicità dei testi, il fatto di venire da una storia, anche il bisogno di suonare importanti. Forse anche prima del ’76 avevano rotto il cazzo. Per cui tutto sommato la techno rimane contemporanea nel momento in cui non ci si prende il disturbo di raccontarla o storicizzarla, ci si limita a farla o a subirla? Ok forse specificamente la techno ha un dovere morale futuristico ma le altre cose magari sì, boh.
Penso anche a cose tipo qiamdp i gruppi harsh, dopo qualche anno di dischi a cazzo, infilano la cassa nel disco nuovo e sembra tutto una rivoluzione e un comunicare col mondo. Sto pensando un po’ di cose che c’entrano per fare un pezzo ma forse ho bisogno di una mano perchè non ho cultura nè legittimità su questo.
Ikke Ho pensato che forse questa questione della tecnica high-end serve a legittimare il fatto di spendere soldi per andare ad ascoltare la musica-fatta-coi-bottoni, visto che siamo ancora, almeno culturalmente (la realtà speculativa è molto più avanti), in una fase di mezzo, di lenta accettazione. Va bene, è musica finta ma che almeno ‘sti computer funzionino e che siano MacBook belli costosi! È una legittimazione a metà ma creata a partire da un vago tribalismo capitalista, non so come dire, annulla i canoni del rock inteso come lo si intendeva nei ‘90, e se da una parte lo si scimmiotta (i grandi eventi i dj superstar, lo sdoganamento critico e sessuale) dall’altro lo si avversa sul piano proprio della filosofia economica e della rappresentazione di sè (esempio pratico: gli sfigati del pubblico rock sono molto diversi dagli sfigati del pubblico dance). Boh certo sì, i ragazzini hanno impiantato nei loro metodi di corteggiamento il rock danzereccio ma è stato fatto non senza sanguinare, soffrendo un tracollo generazionale.
Comunque alla fine si parla di musica popolare, non di Milan Knizak che spacca i dischi e poi li suona, o di azionismo viennese. Quindi il senso della distruzione è accettato così, alla buona, all’interno di codici sempre un po’ politici, estetizzanti nel senso di sabato sera, perché la dance è ancora considerata, in un gioco di orgoglio-legittimazione, una sorta di ambientazione scenografica. E quindi appena salta una usb o Traktor c’è subito l’indispettimento (sentimento sempre molto popolaresco), ma è lo stesso se salta la luce o un cavo ad un concerto, è che la gente ha comunque sempre bisogno dell’immagine in cui potersi riconoscere, in cui poter brillare nella luce riflessa dell’autoidentificazione, e così quando si infrange la quinta teatrale lo stesso accade alle vanità e tutti ci rimangono male.
FF Per quanto riguarda la questione della leggitimazione tribal-capitalista, qualche giorno fa ero fomentato da un discorso che avevamo fatto con qualcuno tipo philipstick e mi sono riletto l’intervista a Holly Herndon su Wire (probabilmente lo stesso numero che parla bene di Baldelli), in cui fondamentalmente lei ranta per ventimila battute intorno a questa post-ideologia subnazionale dell’economia attaccata alla musica e/o dell’atto politico (ancora) e/o del sentire territoriale, che alla fine se vogliamo mi rovina pure il disco nuovo di holly herndon, che è stupido e carino e maranza (a te immagino non faccia un baffo ma a me queste cose ultimate-pop piacciono molto). Cioè Holly si lamenta del fatto che si trova a suonare in un botto di festival i cui bill sono tutti uguali e dovrebbero essere bill più definiti culturalmente, geograficamente. Ovviamente non salta mai fuori che se i festival non fossero tutti uguali col cazzo che qualcuno penserebbe di mettere in cartellone Holly Herndon, o è una cosa che rimane un sacco sullo sfondo o comunque si lega alle tendenze millenariste che ha lei. È un po’ un effetto The Knife, se capisci quello che intendo (anche e soprattutto dal punto di vista della percezione del gesto in sé da parte del pubblico, ti spacchi, non ti spacchi, riempi l’evento e alla peggio ti lamenti il giorno dopo sui social).
Però nell’intervista c’è un bello spunto: lei dice una cosa sull’atto del vendersi, è una cosa legata ad Apple. In pratica ti dice che è accettabile ed eticamente corretto vendersi, di per sè, ma devi dichiarare da dove vengono i soldi. In sostanza questa cosa mette il mondo in mano agli influencer ultima generazione, quelli a cui le fabbriche tipo Algida mandano a casa una cassa di ghiaccioli assortiti, e loro la fotografano su Instagram e l’interscambio non è più certificare la bontà dei ghiaccioli ma la mutua accettazione di status –l’influencer certifica di essere abbastanza influente da finire sul libro paga di Algida, Algida certifica la sua possibilità di venire a romperti il cazzo su twitter e potersi fare un’indiecred a fisarmonica e quindi tanto vale mangiare il cornetto nei festival estivi, che almeno ci guadagni in cambio i Metallica. Ci saranno sicuramente progetti molto organici dietro, ma da un punto di vista più accademico e anni novanta (quindi forse più attinente al nostro ambito) il risultato finale è comunque una brandizzazione così a cazzo, l’espansione del marchio tipo pastura. Non so, quest’estate c’è un festival che si chiama Postepay Summer Fest, è come se facesse le veci del curriculum, cursus honorum e via così. Ha ricevuto soldi da tonno nostromo invece che insignito del prestigioso Godzilla music award. Sempre su Wire tempo addietro c’era un articolo formidabile su quanto fa vomitare la Red Bull Music Academy, sempre incentrato su queste tematiche localiste e tribaliste, ma non in modo stronzo e politico alla Holly Herndon. Ho scritto un po’ in fretta quindi forse ho perso di vista il punto.
Ikke Mi si diceva di questa intervista molto teorica sul Wire, ma ho evitato. Il punto sai cos’è? è che la Herndon viene dal mondo delle gallerie, ha una formazione accademica e ha fatto robe con Negarestani che tipo il passepartout per tutto quel mondo lì, quindi poi dici beh se il pop è nel mondo consumistico e delle architetture mediatiche l’unico materiale d’avanguardia possibile, allora ha tutte le carte in regola e tendi a fidarti. Però io ho da dire due cose:
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Onestamente, mi sembra più hysterical journo frenzy che altro – per essere IL disco di 2015 è assai 2006! Credo che la cosa più 2015 sia il modo in cui lei presente se stessa e il lavoro suo nelle interviste, che forse sono il vero prodotto.
[dai commenti fb al pezzo di Mattioli: concordo specialmente sull’ultima parte, non che sia un disco molto 2006, quello è eccessivo, semmai è un disco molto 2012]
e poi
Pikkio Ti piace?
Hai sentito il pezzo dei rumori sexy?
Ikke sto sentendo ora
quello è grande
perchè è la parodia degli ASMR
tra l’altro funziona, il relaxo funziona
te sai che io ho sta teoria che in futuro la musica sarà solo razionalista-funzionale
e si ascolterà musica solo perché funzionalmente serva a qualcosa
tipo relaxo, o idoser o audiobook o suoni per attivare sequenze domotiche o per descrivere flussi finanziari o per incentivare le performance del lavoro cognitivo e così via
Però non vorrei sminuirne la resa; lo stesso Pikkio dice che il disco funziona bene perché è il disco di aristocrazia pop HD che mancava in questo momento, ha in parte ragione ma io continuo a sentirci in profondità una certa cantautorabilità che non digerisco del tutto, mi ricorda quasi Solex, per dire.
FF A me il disco sta piacendo sinceramente. mi disturba l’impianto teoretico e il retroterra auto indulgente, cioè forse aveva il suo senso pre-99 (blasto tutto, microscene, anticapitalismo dall’interno, vaffanculo) ma siamo ancora al discorso di prima, dei criteri di giudizio anni settanta-ottanta, questa cosa dell’estetica tra virgolette punk che viene usata per decodificare tutto. Poi per me è una fase di depressione e quindi il gesto politico, la provocazione (peggio ancora in quel senso attivista, di scatenare il pensiero, tipo fluxus ma in fondo c’è anche un legame con gli ASMR anche se forse non coinvolge la percezione) e tutte quelle minchiate lì non mi piacciono più, mi danno il voltastomaco. È quasi come se ci fosse bisogno di tornare al minuscolo, soprattutto al minuscolo cognitivo, l’iper-specializzazione o la micro-scena che non dialoga con il fuori e si sente infastidita quando il fuori arriva comunque con la scusa dei leak su internet, e poi scatta tutto il paradosso del pop universale microscenico. Invece il disco di Holly Herndon in sé mi sta crescendo tantissimo, in giro ha la fama di disco “difficile” ma boh mi sembra una gran maranza con lo spleen più 4 riempitivi finto-avant per mischiare le carte a cazzo (voglio dire, parliamo di un disco il cui singolo è una cosa sessuale sull’agente NSA a cui è assegnato il tuo caso, il che probabilmente fa pensare ad uno scenario strapieno di caizzipop per altri 5 anni). L’altro giorno ero tentato di prendere il vinile per nessun motivo, tipo solo “disco giusto, facciamolo ascoltare alla bimba” (la stessa ragione per cui ho speso 30 euro per comprare Arca l’anno scorso, la mia morosa vuole ammazzarmi perchè ho scordato di togliere il prezzo). Boh, adesso prendo dei pezzi dalle email e provo a smontarli e rimontarli, se ne esce fuori una cosa qualsiasi la pubblico, che dici?