DISCONE: Woven Hand – The Laughing Stalk (Glitterhouse)

Secondo il manuale der critico, quando esce un disco intitolato The Laughing Stalk e non è roba stronza o fatta per ridere devi trovare necessarie parentele tra la musica dell’autore e quella di Mark Hollis. Con David Eugene Edwards la cosa non funziona benissimo. Viene la tentazione di sparare “autore schivo, compromesso e in continua mutazione come il deus ex-machina dei Talk Talk”, così a caso, ma c’è da arrendersi quantomeno all’evidenza che l’esordio dei 16 Horsepower e l’ultimo disco di Woven Hand contengono più o meno la stessa musica, e che la musica nel corso degli ultimi quindici anni –or so- si è evoluta più che altro con un trend più o meno sinusoidale. Vale a dire che a un certo punto arrivava un disco più acustico di Woven Hand e dopo qualche anno c’era un disco più incazzato di Woven Hand, senza che la cosa andasse ad inficiare il formato standard dei pezzi scritti su David Eugene Edwards: parla con Dio, ha i cazzi suoi, i dischi sono un’esperienza spirituale, IL FOLK, i nativi, u-ye-ye e via abborracciando. Arrivato a mille battute mi viene da pensare che anche a questo giro sarà difficilissimo risparmiare a chi legge la filippica sul FOLK e sui nativi e su Dio, un po’ perchè a questo punto quasi chiunque ha ascoltato e visto dal vivo Woven Hand e insomma, la cosa bella di Woven Hand è che anche un idiota che passa davanti al palco per puro caso si rende conto in venticinque secondi che David Eugene Edwards è la musica che suona. Il che agevola abbastanza l’approccio critico nei suoi confronti, creando una specie di intercapedine nell’indiefolk che esce di questi tempi, ti costringe a prenderti un’ora libera dagli altri cazzi, stendersi sul divano e ascoltarlo a palla e iniziare a vedere gli spiriti. Da qui in poi il viaggio è più o meno sempre lo stesso: un’interiorità molto compromessa e drammatica, un suono molto grezzo e molto curato al contempo, gli echi, i microfoni anni cinquanta e una specie di sollievo che deriva da non essere quello che canta. Poi arriva a casa tua sorella e ha le piume nei capelli e un vestito a righe rosse e ti urla qualcosa tipo U-YE-YE. Nel cercare di uscir fuori dalla gabbia della recensione automatica, è difficilissimo comunque non dire almeno a bassa voce che The Laughing Stalk sembra poter essere davvero il meglio scritto e il più incazzato di tutti i dischi a nome Woven Hand. Segno che al di là di David Eugene Edwards che parla con Dio, ha i cazzi suoi, i dischi sono un’esperienza spirituale, IL FOLK, i nativi, u-ye-ye e via abborracciando, probabilmente ricominciare con una backing band nuova di zecca e ripresentarsi sul palco con un assetto stile gruppo stoner acido e violentissimo ha portato una bella ventata d’aria fresca al progetto Woven Hand e alla nostra vita in generale; o in alternativa tagliare gli spigoli con l’accetta e iniziare a convincersi che pur non essendo mai stato davvero di moda e continuando ad agire in un apparente stato di immobilità creativa, Edwards è da vent’anni circa un artista in crescita continua. Possibile disco dell’anno 1874.