Mentre accettavo di conservare in tassidermia la salma di Priebke nel posto passeggero della mia Golf bianca del ’99, spostando il sedile ho trovato una compila smarza che ho fatto il mese scorso e pensavo di aver perso. Dentro c’erano gruppi che ho ascoltato due volte in tutto, ho fatto una cernita della roba che mi pareva più figa. Listone dell’ogni giorno meets rate your music meets emo di plastica.
I Not Dance – Thought Leader: quest’Estate era uscito il disco nuovo degli I Not Dance che sono una di quelle band che possono farmi cambiare idea per almeno venti secondi sul posto da dove vengono. Sono austriaci (dio cristo) e li conosco da un imprecisato coso EP uscito anni fa ed era uno di quei cosi EP con il titolone stupido a mascherare un disco tutto sommato onesto com’era So You Think You Can Stop Me And Spit In My Eyes. Questo Thought Leader è hardcore coi suononi spessi, grumosi e scuri come una cagata dopo il bratwurst delle 8.30. Bellone e insolitamente ispirato, si sente la badilata sulla schiena ed è in “name your price” su bandcamp.
Reservoir – I Heard You As I Walked Away: se vi è piaciuto l’ultimo The World is A beautiful Place and ecc ecc non potete farvi mancare questo. Roba da cuori gonfi e suonata da regazzini della Pennsylvania, quindi è un cerchio di truebelieving che si alimenta e ha senso nel suo intero contesto. E’ il classico disco che a sedici anni sarebbe un mantra, a diciotto già nostalgia, a ventidue un inno all’Autunno da fuoricorso, a ventisette una delle cose migliori che si potrebbero ascoltare per capire che i tuoi gusti del cazzo non si sono mossi di un centimetro da quando lo consideravi un mantra. Si ascolta sul bandcamp e lo si compra volentieri.
Roanoke – Beautiful People: uno dei miei dischi preferiti fin qui. Palesemente per la copertina, ma si sa che si vince facile coi bimbi e la neve. Il punto è che i Roanoke suonano bene come una dozzinaia di altre band che buttano fasi screamo sul solito humus di postrock suonato con gli strumentali e gli accordi hardcore. Ne esce un disco di una solitudine e di un americanismo provinciale desolante, dal buco del culo di qualche scantinato dell’Illinois. Breaking è già uno dei due-massimo-tre pezzi dell’anno, come essere sul fondo del pozzo ma starci comodi. Magonissimo ma bellissimo.
Park Jefferson – Park Jefferson: questi li metto perchè ho un sacco di simpatia verso tutto ciò che viene dall’Indiana, a partire da Roy Hibbert per finire con Oladipo. Indie americanissimo studiato sulle scartoffie e gli armadi dei fratelli maggiori, lezione capita bene e ripetuta a memoria. In copertina c’è qualcosa di decomposto che non capisco, però un paio di pezzi sembrano roba dei Cap’n Jazz ripulita e stirata per la serata del pollo fritto. Escono mentre esce il disco nuovo dei Sebadoh e insomma. Si fanno volere bene comunque.
Empty Mantra – Untitled EP: scopertona per me. Non li conoscevo e ne ho letto il nome sulla newsletter di qualche distro. Otto minuti di EP divisi in sei tracce, scarnissimo, sei calci nel culo che fanno restare con la gobba e la testa bassa per un po’. Su una foto c’era un tipo ciccione in camicia quindi tutto questo è per forza sintomo di genuinità. Anche questo name your price.