The High Confessions è il nome del nuovo supergruppo in città. Il mastermind alla base dell’intera operazione è universalmente identificato in Steve Shelley, rubicondo batterista dei Sonic Youth, uno che, con quella faccia e quel fisico, te l’immagini al massimo a cuocere hot-dogs in una bancarella a Little Italy piuttosto che a sorseggiare Martini all’ultimo vernissage a SoHo con gli amici galleristi Lee, Kim e Thurston. E infatti si è scelto un degno compagno di merende: alla voce troviamo infatti un’altra faccia da relitto della working class che non farebbero avvicinare a un party in un loft neanche con un palo lungo trenta metri. Lui è il titanico Chris Connelly, uno che negli ultimi venticinque anni ha militato praticamente in qualsiasi gruppo industrial europeo e non, era tra gli amichetti preferiti di Al Jourgensen quando i Ministry erano ancora i re del mondo, e parallelamente a tutto questo ha portato avanti una carriera solista di assoluto rispetto (in particolar modo il materiale licenziato da Wax Trax! nel magico triennio 1990-92). La line-up è completata dal basettato Sanford Parker (bassista dei Minsk, chitarra e voce nei malmostosi Buried At Sea e nella grezzissima all-star black metal band Twilight, session man per i live dei Nachtmystium nonchè apprezzato produttore e ingegnere del suono) e dal bohemienne Jeremy Lemos (nella foto è quello vestito come un idiota), già nei dronanti White/Light e ingegnere del suono a sua volta.
L’esordio, pretenziosamente titolato Turning Lead into Gold (in italiano sarebbe “Trasformando il piombo in oro“) with The High Confessions, è uscito incredibilmente su Relapse il 20 luglio scorso; lo si trova in streaming quasi integrale (manca una bonus track inclusa nella sola edizione digitale, comunque assente nelle versioni ‘fisiche’ CD e doppio LP) a questo indirizzo. Sono cinque pezzi per una durata totale di cinquantatrè minuti e qualche secondo. Nell’ordine abbiamo: l’iniziale, robotica Mistaken for Cops, voce adulterata tipo dietro un megafono, chitarrismo acuminato e ossessivo, batteria pestona che evoca il ritmo di una catena di montaggio. Il pezzo finisce in dissolvenza dopo quattro minuti. La blaterante e PiLiana Along Came the Dogs, torrenziale tour de force (per meno di tre minuti non entra nella categoria MATTONI) tra incomprensibili vaniloqui stratificati e sovrapposti, tribalismi alla Metal Box (ma senza le chitarre stridenti e la paranoia) e dronate montanti sul finale. La cantilenante, notturna The Listener tra echi lunari, clangori metropolitani, minacciosi rintocchi di piano, drumming ipnotico e numeri da Jah Wobble degli incapaci.
In Dead Tenements è la voce a diventare lydoniana. Per il resto la solfa non cambia: salmodiare allucinato, feedback e bordoni a pioggia, drumming tribalistico/metronomico, qualche WOOOOOOOOOSSSSHH di synth analogico qua e là e tutto che sale sale sale e scende scende scende poi ancora sale sale sale poi ancora scende scende scende ma comunque non arriva mai a esplodere. In ogni caso la ventata desolante sul finale non manca.
Più o meno lo stesso nella conclusiva Chlorine and Crystal, solo che qui ci sono le chitarre lancinanti e la batteria fa tù-tùm stile primo disco dei Joy Division; sembrerebbe quasi un out-take di Exterminating Angel di Robin Crutchfield se solo al posto delle chitarre ci fossero le tastiere e il pezzo fosse un bel pezzo. Forse esagero ma per me questo disco è una mezza ciofeca.