Mai troppo il disprezzo per i beccamorti ingrifati e i maiali che li coprono, a costo di scadere nel qualunquismo più becero una bestia in palandrana resta una bestia, stupisce piuttosto che Manitù Rossi, uno che per usare le sue stesse parole ha sempre ed esclusivamente coltivato due interessi: la musica e Dio (nei loro aspetti più scabrosi), si sia soffermato sull’argomento soltanto ora – ma potrei sbagliarmi, ammetto di essermi perso negli anni qualche passaggio della ramificata discografia de Le Forbici di Manitù, peraltro non esattamente agevole in termini di reperibilità. Preti Pedofili non smentisce il modus operandi: cinquanta copie numerate in cartonato spartano ma austero, e per fortuna che per il cinquantunesimo (e tutti gli altri) c’è Bandcamp. Perché il pezzo (che non rientra nei MATTONI per via della durata di “soli” sedici minuti) è al solito un’altra, ennesima, perturbante dimostrazione di schiacciante superiorità. Dopo essersi confrontato praticamente con qualunque genere musicale, stile e suono sulla faccia della Terra a parte il metal, ripristinata per l’occasione l’associazione a delinquere con Satana Cianciulli (assente in pianta stabile dal 1990 per motivi psichiatrici e incompatibilità caratteriali), Rossi lancia il suo personale anatema – che non contiene parole cantate o recitate, ma solo suoni “vocali” o più propriamente respiri pesanti, grugniti e altre tonalità gutturali – partendo da un pulsare analogico che ricorda in molestia e pervicacia i Pan Sonic degli anni belli, qualcosa di molto vicino al suono delle pale di un elicottero in ricognizione, sopra cui si snoda una glaciale teoria di synth stile John Carpenter di Fuga da New York che presto sfocia in una serie di deframmentazioni sempre più invasive e diabolici arricciamenti via via più ossessivi e inquietanti, il tutto punteggiato da rantoli osceni che lasciano presagire le peggio cose; all’ottavo minuto, quando la tensione ha raggiunto il suo apice, il brano si interrompe per un secondo di salvifico silenzio salvo poi riformarsi in un ventaglio di luccicanze moroderiane che sono solo il preludio per la tregenda finale, beat implacabile e arcigni vortici analogici e grugniti animaleschi e tutto il resto, in mezzo anche un loop che pare la via di mezzo tra un videogioco di astronavi impallato un attimo prima del mostro finale e una slot-machine guasta, un crescendo ipnotico allucinante che piacerebbe a Padre Oliver O’Grady. Ancora una volta roba che non la trovi da nessun’altra parte, e capisci perché questa roba qui può uscire solo da Reggio Emilia. In un mondo perfetto Le Forbici di Manitù avrebbero venduto più dischi di Michael Jackson; ma in un mondo perfetto non esisterebbero nemmeno preti pedofili.
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