
Quando leggerete questo pezzo non ci saranno più film giapponesi a 3 euro nelle sale, per cui se questa recensione voleva essere una missione, è miseramente fallita. E’ questione di tempo e tempistica. Confessions esce nei cinema nella settimana in cui si può anche decidere di guardare una troiata cosmica perchè tanto la paghi 3 euro epperò questa Festa del cinema è anche un’ottima occasione per far fuori un po’ di titoli difficili e anomali: Iron Man è fuori da 3 settimane e chi si doveva lamentare s’è lamentato, il resto è fuffa (Rubini, RZA) o roba potenzialmente interessante (Larrain, Mereu) ma dallo scarso appeal per il grande pubblico. Di sicuro le malvagie multinazionali della settima arte non si bruciano uno star trek 2 a 3 euro quando si sa che incasserà l’iradiddio tra un mese. E’ anche giusto così: un film di Tetsuya Nakashima (chi?!) te lo vai a vedere quando te lo tirano in schiena, non ci spendi certo 7 sacchi. Però non lo va a vedere comunque nessuno, perchè è un film di due anni e mezzo fa e il suo pubblico naturale se l’è già sparato in v.o. e cercherà di dissuadere tutti gli altri con argomenti del cazzo ma sensati (“te lo guardi DOPPIATO (LOL) quando c’ho il blu-ray rip a casa da un anno e mezzo?”) e perchè è distribuito dalla friulana Tucker in 14 sale in tutta Italia, di cui 5 sono in Friuli Venezia Giulia. Chi diavolo vuole andare in Friuli Venezia Giulia? Io di sicuro no. A Udine una settimana fa c’erano 12 persone in sala, a Monfalcone 2. E in generale sembra che l’ovvio incremento di biglietti staccati per il prezzo ridotto non abbia favorito granchè questo tipo di uscite. Questo non per criticare la specifica scelta di piazzare Confessions nella Festa del Cinema (anzi, ha senso), ma per constatare che l’offerta da parte di esercenti e distributori sembra arrivare troppo tardi e il pubblico ormai sa muoversi e si muove in altro modo.
Il film, naturalmente, meriterebbe di brutto. I distributori potevano giocarsela di più sulle analogie con le vendette di Park Chan-wook (“Dopo Mister Vendetta, Lady Vendetta e Old Boy (Vendetta!) il nuovo film di un altro regista! Confessions! Vendetta!”), ma sarebbe stato fargli un torto. Certo, qui una professoressa delle medie a cui è morta la figlia organizza una sorta di lezione-vendetta (!) contro i responsabili, ma in realtà si parla di Tempo e tempistica. La linea degli eventi è rigorosamente una, gli snodi dove i personaggi potrebbero operare la proprie scelte sono tanti e questi momenti vengono fissati, amplificati al rallentatore, incorniciati in scorci di passato e quindi i vari salti e flashback sono il festival dei rimpianti e delle riflessioni sulle conseguenze delle proprie azioni. Come in Bioshock Infinite si affronta un viaggio che è una ricostruzione di memorie ed elementi già determinati in cui le sfumature fanno emergere motivazioni, dolore e umanità per farli confluire in un unico desiderio di riavvolgere o cancellare il Tempo. Ma è tutto in funzione di una magistrale lezione morale sull’unicità della vita che non ha bisogno di trucchi, consolazioni karmiche alla Cloud Atlas e, vivaddio, cinismo. E non ci sono sacchetti di plastica che volano a ricordarci la necessità di una rifondazione dei valori, ma il film si basa su un ping pong tra le opportunità e le crudeltà della giovinezza, su una logica ferrea di azione-reazione che non ha la presunzione di prometterci un aldilà di onniscienza, ma ci schiaffa in faccia la tragedia del caos comunicativo della nostra epoca. E le ipocrisie sull’educazione e sull’innocenza.
Confessions è anche un film che usa un pezzo dei Radiohead senza che il regista sia uno scarso, un volpone televisivo o un critico musicale passato alla regia, cioè uno scarso. E sì che Tetsuya Nakashima era un furbetto di quelli veri, quando sapeva di esser bravo e girava simpatici fanservice clippari come Kamikaze Girls o quando dilatava il melodramma puccioso di Memories of Matsuko all’infinito. Epperò proprio il finale di MoM era lì a suggerirci che il giapponese ha due palle così quando si tratta di prendere posizione e di offrire un percorso morale che gioca sì sul contrasto, ma senza essere meschino. Che è il punto in comune con i migliori lavori di Park Chan-wook (Mr Vendetta, soprattutto), ma poi basta, visto che i personaggi del regista coreano sono spesso mossi da una purezza di fondo quasi meccanica, mentre con le qualità e le mancanze dei ragazzi e degli adulti di Nakashima è più facile empatizzare proprio perchè ogni momento decisivo viene minuziosamente dipinto o ripescato, contraddizioni comprese. Facile che sia stato questo amore per i dettagli e per i suoi personaggi che ha stregato Michael Mann (“a Japanese masterpiece. Frighteningly, formally rigidly controlled, it’s unheralded high art.”), prima ancora della messa in scena o dei climax stordenti. Come quello della lunghissima, spettacolare sequenza iniziale: venti e passa minuti di esposizione dei fatti soffocati da un noise in crescendo e girati come un finale a sopresa mentre invece è stata appena rovesciata sul tavolo la scatola del puzzle e i pezzi sono neri, ma il quadro sarà abbagliante.