True believers: GINO CASTALDO/DOLCENERA (split issue)

occupy Paludi Pontine (fonte: Wiki)

“Ti ricordi di Antoine Rocamora? Mezzo nero mezzo samoano, lo chiamavano Tony Rocky Horror.”
“Sì mi pare, quello grasso”
“Beh io non arriverei a chiamarlo grasso, ha problemi di peso, che deve fare, è samoano.”
“Credo di avere capito di chi stai parlando”
(Gino Castaldo ed Ernesto Assante, dialogo)

Stefano ha trentasei anni, dorme due ore in meno di quanto dovrebbe per notte, sta facendo la posta da troppo tempo a una graduatoria per entrare come ricercatore in un ateneo di scarsa rilevanza culturale alla corte di un baronetto che gli fa gestire il lavoro delle dottorande assunte a scopi sessuali, un totale di dodici persone che si fumano assegni di ricerca facendoli piovere adosso a cattedre di fondamentale importanza tipo Sociologia ed economia comportamentale del coito anale telematico. Stefano lavora troppo ma non è un vero lavoro e per cinque giorni alla settimana a pranzo mangia un panino alla bresaola e una banana. Soffre di acidità di stomaco. Vuota tre o quattro bicchieri di vino del cazzo tipo morellino di Scansano o Syrah accompagnandoli a crostini riscaldati e fonduta di infima qualità al dell’università, tutte le sere dalle sei alle sette. Ogni anno si sente più vecchio triste e preso male, poi riesce a scoparsi una tesista e scaccia il pensiero per altri dodici mesi. Stefano non è una persona che conosco, ma potrebbe esserlo. La sua storia mi serve solo a farvi concepire l’esistenza di esseri umani che 1 leggono Repubblica, 2 hanno comprato dischi in vita loro e 3 sono disposti a dare credito a un articolo di Castaldo all’inizio del 2012.

True believer #1: Gino Castaldo. Nasce a Napoli nel 1950, vale a dire che era trentenne e nato a Napoli all’epoca in cui i Dead Kennedys facevano uscire il loro primo disco. Non ho altro da dire su Castaldo, lascio la sua bibliografia per dimostrare qualcosa che non ho chiaro nemmeno io.

  • Dizionario della canzone italiana – Armando Curcio Editore, 1990
  • La mela canterina. Appunti per un sillabario musicale, Minimum Fax 1996
  • La Terra Promessa. Quarant’anni di cultura rock, Feltrinelli 1994
  • Blues, Jazz, Rock, Pop. Il Novecento americano (con Ernesto Assante), Einaudi 2004
  • Trentatré dischi senza i quali non si può vivere. Il racconto di un’epoca (con Ernesto Assante), Einaudi 2007
  • Il buio, il fuoco, il desiderio. Ode in morte della musica, Einaudi 2008
  • Il tempo di Woodstock (con Ernesto Assante), Laterza 2009
  • Music Box – Contrasto 2011

(trovata sulla pagina Gino Castaldo su Wikipedia italiana, la quale ad imperitura testimonianza del nostro rosico NON contiene una voce “Bastonate”)

Insomma, oggi Gino è sulla traccia con il suo solito* articolo sulla fine del rock come genere da classifica e/o testimonianza della rivolta popolare, cioè sulla fine del rock come concetto. Non è facilissimo mettersi a fare le pulci a un articolo su delle cose del genere, sarebbe più o meno come sgattaiolare alle spalle di Umberto Bossi e sussurrargli all’orecchio “è Mark Lanegan. Non so se lo conosci, era il cantante degli Screaming Trees”. Vi basti sapere che come esempi moderni di rock (nelle uniche due righe che non parlano degli U2 o dei Coldplay) sono Bon Iver e Fleet Foxes, nella nostra scala di valori due tra le più eloquenti testimonianze dell’assenza di un Dio a cui rivolgere le nostre preghiere. Tra l’altro qualcuno mi manda per conoscenza un articolo di manco un mese fa scritto da Paolo Giordano sul Giornale, nel quale commenta la morte del rock sempre partendo dal fatto che l’ultimo disco dei Coldplay non ha venduto un cazzo. Nello stesso articolo parla di Adele definendola il Calimero del pop, cioè tipo come fai a chiamare Calimero L’UNICA poppettara non nera di successo nel 2011? Vabbè. Paolo Giordano del Giornale non è lo stesso Paolo Giordano che ha scritto il libro. Ci sono due Paoli Giordani a questo mondo, ed entrambi scrivono un sacco. Tornando a Castaldo, l’Uomo si prende un paio di righe per cercare di capire le cause (sembra ce l’abbia con gli iPod, non riesco a capire perchè). Arriva ad accusare il mercato di avere sabotato il rock e di continuare a farlo, anche e soprattutto in Italia dove gruppi parecchio incazzati tipo Ministri e Teatro degli Orrori vengono continuamente boicottati e sabotati (non dagli indieblogger, eh, proprio tipo dal MERCATO MUSICALE), lo stesso giorno in cui i Gazebo Penguins pubblicano una nota FB nella quale sentono il bisogno di difendersi da accuse di sellout (WTF?). Risposta possibile:

Gira e rigira finiamo sempre a fare i balletti intorno agli storpi, insomma. La cosa più rock a cui riesco a pensare ad inizio del 2012 in Italia, a pochi centimetri di di scroll dalla recensione degli Obake, è un video di dieci secondi nel quale Dolcenera (mai così elegantemente anoressica) sorride sul palco di TRL e accontenta uno sparuto gruppo di liberaldemocratici che le sta urlando FACCENSALUTO. Il video tra l’altro risale al 2009, mi è rimbalzato sulla bacheca di FB e non riesco a smettere di spararmelo. True believer #2: DOLCENERA. Il nome d’arte di Dolcenera (all’anagrafe Emanuela Trane), come tutte le cose brutte successe in Italia da Piazzale Loreto in poi, è una citazione di Fabrizio De Andrè. Era uno con un bel senso dell’umorismo, starà stappando. L’ultimo disco di Dolcenera si chiama Evoluzione della specie, per fugare i dubbi ideologi sull’opera di Darwin. Contiene canzoni sinceramente rock, nel senso Gianna Nannini del termine, nelle quali compaiono righe di testo tipo nella giungla senza legge ci sono gli animali e Roma non è più di nessuno. I miei pezzi preferiti sono

1 Evoluzione della specie UOMO: Celentano meets KT Tunstall meets LO SCRANNO, testo davvero piuttosto incredibile e/o imprendibile sul sesso o sull’autocoscienza o sul rapporto tra uomini e donne o niente di tutto questo.

2 un pezzo verso metà disco la cui musica è clamorosamente a metà tra Lust for Life e il primo degli Strokes che si chiama Nel regime delle belle apparenze e contiene la linea di testo io ti ho visto dare fuoco ad ogni ipocrisia con il tuo spirito. Giuro. I nostri figli e nipoti, che fortunatamente non ci siamo ancora presi il disturbo di procreare, sono alla mercè di una messe di generatori automatici di odio di classe, e questa è probabilmente una cosa positiva (voglio dire, a questo punto passare da Dolcenera a Jeff Hanneman diventa solo una questione di commitment).

Non so nient’altro di Dolcenera, ma mi sto documentando. Esteticamente è quel che la gente al mio bar definisce una gran figa, ha vinto Sanremo Giovani, sembra avere un taglio di capelli radicalmente diverso ogni mese, ha una voce della madonna. Ha fatto innamorare e/o sbroccare Baccini durante un reality show, ha partecipato al concerto per l’Abruzzo a San Siro. Il suo ultimo disco è prodotto da Martin Hannett e John Olson (Dead Machines, Wolf Eyes). Il secondo videoclip tratto dal disco in questione è prodotto assieme a Playboy, si chiama L’amore è un gioco e nella descrizione di VEVO c’è scritto, cito testualmente: “Una sequenza di immagini come invito alla consapevolezza della propria personalità, a crescere e ad esprimersi, per sentirsi affini con la persona che si ama e con chi ci circonda: è questo il messaggio che emerge dal videoclip” (il primo fotogramma è un tubo di rossetto Pupa). Il testo recita cose tipo “se solo invece di scarpe coi tacchi avessi un paio d’ali io volerei lì da te”. Giriamo la questione alla Stiletto Academy: perchè non si può recare da lui a piedi? Non saprei. Dolcenera in ogni caso ha più un problema di comunicazione che altro. Personalmente ci sono  TROPPO dentro, l’altro ieri sapevo sì e no chi fosse ed ora mi sa che mi sparo l’intera discografia. La smentita di Dolcenera su Facebook è un po’ deboluccia. L’altro ieri, tra l’altro, Bastonate è stato al centro di una polemica che lo voleva finanziato pubblicamente in quota AN e in grave difficoltà per via dello scisma finiano. Ad essere sinceri era una polemica autoalimentata, ma insomma.

Ecco, i due true believers di cui sopra non sono proprio legati, ma nel caso vogliate rispondere al sondaggio di Repubblica “il rock è finito?” (tre risposte: , no, terza opzione senza senso perchè a metterne solo due poi pare che non hai la pacca) che scaturisce dal lungimirante editoriale di Castaldo, tenete conto che in questo esatto momento Dolcenera sta operando sotto la vostra sedia. Tra l’altro insomma, dalla morte e decomposizione del rock potrebbe venire qualcosa di positvo: un cantante black metal potrebbe inalarne il fetore per esibirsi al pieno delle sue possibilità. Sieg howdy.

*non sono convintissimo che sia il SUO solito articolo, in realtà. è sostanzialmente impossibile distinguere Castaldo da Assante. Magari è il primo articolo scritto da Castaldo in assoluto su qualsiasi argomento.

National Day of Slayer (con ammazzacaffè)

fonte: traveljapanblog

Piccola pippa su quello che significano gli Slayer nel 2011 e dintorni, rispetto a quello che significavano nel 2009 o nel 2010, o comunque dieci o cinque o dodici anni fa. Non necessariamente quel che significano per tutti. Ordine casuale.

0 partiamo dal presupposto di base che tutti sappiano chi sono gli Slayer, ovviamente, e che tutti sappiano che gli Slayer pestano più duro e pesante e folle di tutti gli altri e che da Show No Mercy in poi la cosa non sia mai stata messa in discussione.

1 abbiamo scoperto che gli Slayer con Dave Lombardo –negli ultimi anni- sono molto peggio degli Slayer con Paul Bostaph. Non sappiamo a che pro o con quanta premeditazione, ma la reunion con Lombardo ha coinciso con l’inizio della fase karaoke-nostalgia-accontentiamo i fan e vaffanculo (Christ Illusion e World Painted Blood).

2 il mondo del rock pesante ha relativamente accantonato gli Slayer, ha smesso di copiarli a spron battuto e si è concentrato su forme espressive che rivedessero l’assetto base di violenza sonora cercando di renderlo più o meno alieno al suono di chitarra di Kerry King e Jeff Hanneman. Si è creato nuovi eroi, ha accettato di sporcarsi più profondamente con suoni di frontiera, ha provato a rallentare, si è messo d’impegno a ripulire il suono e a ripescare in ottica più estrema certi assetti del metal classico (tipo, per capirci, il primo metalcore ha più a che fare con i primi Maiden) cercando di ricontestualizzarli e potenziarli ad libitum, lasciando il ricordo di un periodo in cui uscivano mensilmente settanta dischi slayeriani (thrash, death, HC e ibridi vari) alla memoria corta di certi rimasugli del rock’n’roll fine anni novanta in via d’estinzione.

3 il mondo del rock pesante, nel cambio, non ci ha guadagnato un cazzo.

4 l’ultima incarnazione pubblica degli Slayer, il Big Four per capirci, tutto sommato è un raffazzonatissimo baraccone per dementi nostalgici che manco fanno più finta di crederci e mal si addice a un gruppo che continua a dare il passo alla musica a venticinque anni dal suo disco più conosciuto. Forse giusto gli Anthrax con John Bush avrebbero un briciolo di senso, ma continuano a portarsi dietro Joey Beccamorto.

5 Jeff Hanneman è in pausa perché è stato colpito da FASCITE NECROTIZZANTE al braccio. L’ho già scritto da qualche parte, ma esiste una patologia più slayeriana della fascite necrotizzante?

6 l’altro giorno ero da H&M. Non so se conoscete H&M, comunque è una catena di moda a basso costo internazionale che vende vestiti per giovani di qualsiasi estrazione sociale, appartenenza ideologica e Q.I. (vale a dire che puoi uscire da H&M in giacca e cravatta o da fanatico di indiepop svedese e musica a otto bit, indifferentemente). In mancanza di una diffusione capillare di American Apparel in Italia è il negozio più hip della città. Da H&M puoi trovare ragazze anoressiche che fanno il cazziatone ai loro fidanzati anoressici mentre dall’altra parte un crocchio di personaggi discutibili parla di quanto sia importante essere post-facebook nel 2011, ragazzi che provano le t-shirt a strisce del reparto donna perché quelle da maschio non sono abbastanza skinny (io per dire manco riesco a trovare le mie taglie nel settore uomo, H&M non ha una sezione obesi) e magari quando ti vai a provare i pantaloni trovi due ragazzine di diciassette anni che limonano nei camerini, il tutto senza spendere una lira e/o senza un irragionevole ricarico sul prezzo di listino. Ok, compro un paio di jeans da H&M e mi metto in fila alla cassa. La ragazza che mi fa lo scontrino, cinque o sei minuti dopo, somiglia vagamente a Lady Gaga. Ha meno di venticinque anni, le pantacalze, un’acconciatura piuttosto ardita, il naso grosso, un bel viso rotondo e gli occhi bistrati. Indossa una t-shirt troppo larga con il logo degli Slayer a tutta maglia. Mentre mi conteggia i pantaloni io cerco di conteggiare le cose che io e lei abbiamo in comune, come possa lavorare qui, come non potrebbe, se ha mai passato una serata di vero incazzo e l’ha stemperato ascoltando Diabolus in Musica o se abbia mai visto un loro concerto (io no, peraltro) o se si sia mai messa d’impegno a stilare un ordine di gradimento dei loro dischi. Un paio di anni fa, quando andavano di moda gli Horrors e beccamorti simili, un’amica mi aveva chiesto se avevo una vecchia t-shirt di qualche gruppo black metal a caso per farci un vestito. Non credo sia questo il caso. Guardo la maglia, le sorrido, alzo il pollice e me ne vado convinto che ci siano più punti di contatto tra me e la commessa twenty-something di H&M che tra me e chiunque altro in questo centro commerciale.

7 Questo significa probabilmente che il principale contributo degli Slayer alla cultura pop contemporanea è tristemente iconografico (tipo oggi gli Slayer stanno sulla maglietta delle commesse di H&M e i titoli dei loro dischi sono i titoli dei romanzi di Hank Moody). Ci piace.

8 Nelle ultime tre settimane Undisputed Attitude è girato MOLTO nello stereo dell’auto e mi sta facendo diventare una persona brutta e noiosa.

9 Avevo accolto a braccia aperte World Painted Blood, ma non l’ho ascoltato più dal mese dopo l’uscita. Questo conferma molto ciò che scrisse Reje a suo tempo.

Oggi è il National Day of Slayer, santi patroni dei puri di cuore e delle persone che magari la mandano a dire ma con dei riff di chitarra che ti fanno fuori.