La rubrica pop di Bastonate: la recensione degli H-Blockx AKA considera che l’aragosta ha le sue ragioni perché ha avuto un caciucco incident dopo aver ascoltato ‘sto disco

[slideshow]

Chiariamo subito una cosa (prima che io perda inesorabilmente il filo del discorso): nel 2012 un nuovo disco degli H-Blockx è come Biagio Antonacci col tamburello in mano che viene pagato dalla regione Puglia di Nichi Vendola per girare un video in Salento d’estate dopo essere stato ricoverato a Forlì con un salame nel culo a capodanno. Anzi no, è come Giorgio Panariello che, ospite a Che Tempo Che Fa di Fabio Valium Fazio, sfodera una spilla con falce e martello al bavero della giacca dopo aver lavorato a Mediaset di Berlusconi appena l’inverno prima (tra l’altro Giorgio Panariello son quindici anni che non fa più ridere, più o meno come gli H-Blockx – che almeno si erano sciolti o ben più probabilmente erano spariti in Italia pur continuando come se nulla fosse in Germania, ma questo è un discorso che approfondirò i seguito o forse non approfondirò mai perché di Panariello me ne frega poco o nulla). Un tentativo di rifarsi una qualsivoglia verginità, sfruttando successo avuto anni prima contando sul fatto che il pubblico nel frattempo abbia dimenticato o magari per via del cosiddetto ricambio generazionale ci sia un pubblico nuovo che non sia a conoscenza di cosa sei stato e da dove sei venuto. Ah, la tauromachia! Ah, gli anni novanta che quindici/vent’anni dopo ritornano a galla come una pietanza digerita male (magari un risotto al curry dell’indiano take-away)!

Ma (dico io, che nel frattempo ho già perso il filo del discorso e sto scrivendo col pilota automatico come Otto in L’aereo più pazzo del mondo)(tra l’altro in quel film faceva una comparsata pure Flea dei Red Hot Chili Peppers, dunque si torna inevitabilmente agli anni novanta che ritornano a galla come una pietanza digerita male – magari un Chinese Take Away come cantava Mao post-sbornia da successo feat. Andrea Pezzi, praticamente anni novanta digeriti male come se piovesse), che senso hanno oggi gli H-Blockx? Avevano un senso allora? Ma, soprattutto, erano così famosi allora da giustificare una loro reunion oggi, considerando che in realtà non si sono mai sciolti ed hanno continuato a fare cose nel disinteresse generale? Un disco che in Italia ha avuto un buon successo nel 94/95 trainato da una copertina con uno squalo (ci arriverò) e da un singolo come Risin’ High con un video che neanche i Green Jelly, ospitate a Videomusic in programmi pomeridiani condotti da Paola Gennaro Maugeri con i capelli blu e dal Kaimano e null’altro (tra l’altro a quel programma si presentarono senza cantante perché si era fatto malissimo dopo aver fatto stage diving, altra cosa veramente so 90’s). Dunque, non erano così famosi e non hanno fatto nulla di così memorabile da giustificare una reunion/riapparizione in un’epoca in cui si riuniscono Smashing Pumpins e Soundgarden in nome del botto commerciale avuto con due dischi usciti più o meno contemporaneamente a quello degli H-Blockx (del quale tra l’altro non ricordo il nome, ma non perdo nemmeno tempo a fare ricerche su Wikipedia perché di Panariello me ne frega poco o nulla – per la cronaca si chiamava Time To Move ed era un disco minore se visto in prospettiva e confrontato con ciò che girava all’epoca, però ci piaceva assai). Magari in Germania erano così famosi e lo sono stati pure dopo Rising High, ma in Germania è riuscito ad entrare in classifica pure un mio compagno di università con un pezzo techno-hardcore (con tanto di imbarazzanti ospitate nei programmi dance di Viva, of course), dunque il mercato tedesco non fa poi così tanto testo e quasi quasi ha ragione Berlusconi quando dice che la Germania dovrebbe uscire dall’euro perché la Merkel è una culona inchiavabile e gli H-Blockx sono stati nient’altro che una one hit wonder figlia di anni in cui ci siamo bevuti di tutto, perfino Biohazard, Dog Eat Dog e Giorgio Panariello (che erano ben altra cosa rispetto ai nostri), senza renderci conto che guardando le cose in prospettiva ci avremmo riso su (mi ripeto tanto per incasinare le cose e far saltare definitivamente i nervi all’eventuale lettore: tra l’altro Giorgio Panariello son quindici anni che non fa più ridere, più o meno come gli H-Blockx – che almeno si erano sciolti o ben più probabilmente erano spariti in Italia pur continuando come se nulla fosse in Germania, ma questo è un discorso che approfondirò i seguito o forse non approfondirò mai perché di Panariello me ne frega poco o nulla).

Torniamo a bomba al disco e smettiamo di farci seghe mentali: come suona HBLX? Suona come se una cover band da birreria – una di quelle tristissime che fanno cover dei Led Zeppelin tra una birra ed un panino, per intenderci – decidesse di svoltare iniziando a cercare di suonare disperatamente anni novanta, con tutti i cliché del caso: chitarre aggressive ma non troppo, pezzi strofa-ritornello-strofa, rappato alla terza traccia, basso che pompa, sei alla sesta traccia ti sei già scordato delle precedenti, alla ottava vorresti spegnere ma devi pur finire la recensione, il disco finisce ma ci riprovi, inizi da capo ma dopo il rappato della terza traccia esci e vai a fare spesa, ascoltando tra l’altro cose completamente diverse durante il tragitto in auto. Zero originalità, tutto è ai limiti del plagio dei Red Hot Chili Peppers (ed in misura minore e/o estemporanea anche Rage Against The Machine, Faith No More, Sugar Ray e –  la butto lì – Ugly Kid Joe) ed i suoni sono proprio quelli di una cover band dei Led Zeppelin (e dunque più vicini a Biagio Antonacci che alla storica band inglese), il che rappresenta un’aggravante dato che i Led Zeppelin hanno utilizzato uno squaletto appena pescato per sollazzare una groupie dopo un concerto mentre Biagio Antonacci l’hanno ricoverato a Forlì quella sera anche se la gente comune non ci crede; il fatto che gli H-Blockx avessero guarda caso messo uno squalo sulla copertina di Time To Move forse non significa nulla ma almeno serve a chiudere il ragionamento che avevo aperto due capoversi (o capiverso) fa e ciò mi rende estremamente felice (tra l’altro l’episodio del ricovero a Forlì con un salame nel culo è un po’ il jumping the shark della carriera di Biagio Antonacci, ma a questo punto mi fermo perché mi gira la testa – qualunque cosa possa voler dire l’espressione “jumping the shark” nel 2012, qualunque cosa possa voler dire il fatto che gli Extrema erano la backing band di Biagio Antonacci 1998 circa ma non l’hanno mai dichiarato a Metal Shock o a Metal Hammer perché il fatto di essere stati la backing band di Biagio Antonacci è un po’ il loro jumping the shark).

Chissà se sono felici anche gli H-Blockx. Chissà se ci credono o se stanno semplicemente cercando di rimanere a galla (potrebbe tornare minaccioso il discorso dello squalo e del salame nel culo, ma cerco di soprassedere perché il tempo a disposizione sta scadendo). Chissà se si rendono conto che nel 2012 se ne sono usciti con un disco che probabilmente non vale manco la pena di scaricare, perché se lo scarichi poi lo cestini senza manco scaricarlo o ben più probabilmente lo conservi in nome di un (tuo, ma anche della band) passato che purtroppo mai più ritornerà – figuriamoci acquistarlo. Poi, per carità, ognuno faccia ciò che vuole, ma vedendo come si trascinano band come gli H-Blockx a distanza di quindici anni dal botto vien quasi da pensare che all’epoca avesse molto più senso seguire il Deejay Time di Albertino con tanto di sparajingle piaac – cosa che tra l’altro io facevo con gran gusto nel caldo rifugio della mia cameretta, negandolo però in pubblico per non avere ripercussioni sul mio grado di prestigio socio-politico. Il fatto che dopo Time To Move gli H-Blockx se ne siano usciti addirittura con una cover di The Power degli Snap (con relativo, prestigiosissimo featuring di Turbo B in carne e minchia) sta giusto lì a confermarlo implicitamente, anche se mi dicono dalla regia che all’epoca gli H-Blockx stavano agli Sugar Ray come i Blur stavano agli Oasis ed io devo per forza essermi perso qualcosa.

(Ill Bill Laimbeer takes the m/f keyboard, surgela e vi vende il pezzo di Accento Svedese a tranci al mercato ittico di Natale, come fosse una cernia pescata da una paranza di Torre Lucia Annunziata o come il colonello Nunziatella Cacarello di Spaceballs)

Chiariamo subito una cosa: ogni pezzo deve iniziare che io riprendo quello di Accento Svedese e non c’è vià di scampo, è una scelta di campo che ritorna scelta di campo, o scelta di campus alla mela verde, anzi ancora una scelta di scampo che è quella di parlare di salami e voglio essere come Biagio Antonacci che si è giustificato dicendo che voleva omaggiare il salame di Jacovitti ma non ci crede nessuno, se lo ha detto yahoo answer! Deve essere per forza così che stanno le cose.

Il disco nuovo degli H-Blockx non l’ho ascoltato, avevo quelli vecchi nel freezeer da dieci anni e li ho scongelati perchè mi son reso conto che la chiave per capire certi fenomeni kulturali (con la k come Kossiga o meglio Klu-Klux Cozza, il mitilo razzista che è una sopresa kinder della serie delle cozze che è stata ritirata dal mercato e ora su ebray si trova a tantissimo: e io mi chiedo, perchè non hanno ritirato dal mercato Kozza Nostra, il mitilo mafioso?). Ho capito che la chiave di tutti i dischi pop come quello post-reunion dei Litifiba e questo degli H-black box (inteso come il gruppo italiano dei black box ride on time) sono o i pesci o i crostacei, lo disse Kurt Cobain e lo ribadisce Paola Maugeri che potete vedere nella foto che è ok mangiare il pesce e i crostacei anche se sei vegetariano e il salame ti piace gustarlo come Biagio Antonacci (che era assieme alla figlia di Gianni Morandi e si son lasciati in seguito ad una diatriba se sia meglio il caviale alla Morandi o il salame o i crostacei) godendo così della stima dei miei simili e per quanto sia nostalgico non sono stato mai da Paolo Limiti I limiti che ho li riconosco, sono cappuccetto rosso perso in questi sottoboschi artistici: perchè lo so mi vuole bene questo pubblico di nicchia, ma io mi sento piccolo come una lenticchia.

Insomma dicevamo: per parlare anzi scrivere dell’ultimo degli Eis Skank Block Bologna basta scongelare i dischi usciti fra il ’94 e il ’98 e sei già apposto, basta vedere il video di Risin High dove c’è (e ancora una volta qui torniamo) una aragosta che fa turntablism e gli scratch su un riff di chitarra per capire tutto non solo del disco nuovo e per cogliere al volo l’occasione manco fossimo ai grandi magazzini. Che poi non è solo questione di crostacei ma anche di pesci (o erano mammiferi) come delfini, tonni e sopratutto squali: gli h-blockx se li ricordano tutti per la copertina con lo squalo e allora non è un caso se sono stati copiati, anzi non copiati ma omaggiati, citati, plagiati ma situazionisticamente parlando da Elio e Le Storie tese e appunto dai Litfiba che non a caso hanno dichiarato di “essere lo Squalo” nel loro grandioso ritorno dell’anno scorso (e noi di Spadrillas torniamo solo quando si tratta di tornare col botto, anzi di tornare con la salma in salmì di Gianni Budget Bozzo, che ovviamente surgeleremo dopo averlo scongelato per venderlo a tranci al mercato di Natale, anzi al mercato Pasquale inteso come Pasquale Bruno detto ‘o animale: vaglia postale, fistola anale etc etc). E’ non è un caso che l’album dei Litifbia sia uscito in versione deluxe per le edizioni Lo Squalo. E visto che ci siamo è chiaro che c’entra la poderosa influenza dei film italiani di Enzo G. Castellari e di Sergio Martino e pure di Bruno Mattei: parliamo di film come Il fiume del grande Kaimano (poi ripreso appunto da Claudio Kaiamano Cingoli e pure da Nanni Moretti che però non ha accreditato questa influenza culturale pop): c’entra perchè non si può non rimanere influenzati da Franco Nero che con una parrucca bionda si getta da un elicottero per ammazzare un fake squalo (e infatti come si chiama il leader dei Pixies? Frank Black…), infatti ecco il perchè degli squali in copertina, ecco il perchè ora le uscite musicali più nnuove e rivoluzionarie si ispirano a film fatti come se il produttore del disco fosse Bruno Mattei con la supervisione di Claudio Fragasso: perchè quella è la chiave non solo delle reunion in campo musicale ma è l’essenza della musica vista come diffusore di cultura pop. Perchè soprattutto il caciucco è una specialità toscana e tutto torna: Giorgio Panariello e i comici toscani che non hanno mai fatto ridere tutti riuniti in quel programma là, Vernice Fresca dove c’erano Leonardo Pieraccioni che comunque aveva già fatto delle gags a Deejay Television e Giorgio Ariani indimenticato fake Pierino e Cecchierin. Ecco, l’essenda dei dischi pop è come il caciucco: piatto, realizzato con gli “scarti”, ovvero con ipesci meno pregiati preparato nelle galere cinquecentesche per sfamare i vogatori alla catene. In Toscana, il cacciucco, era inizialmente il pasto dei poveri e il termine ha assunto il significato di “mescolanza”: ecco insomma il perchè stiamo parlando di un disco che non ho ascoltato ma che è la quintaessenza (o anche i quintorigo, inteso come raglia ma non l’asino che raglia, la raglia quella che sembra talco ma non è e serve a darti l’allegria) del pop.

Ecco perchè per parlare di questo disco bisogna non parlarne ma parlare attraverso di esso facnedolo diventare come il caciucco pezzo talmente pop che è pirotecnico essendo piromane (perchè ricordiamolo: petomani si muore, ricordiamo anche il film il Petomane): è un salto con l’astice fatto usando come asta l’astio che abbiamo verso quella vacca di Paola Maugeri e il suo accento mangia cock(ney) reject e verso la sua vita a impatto zero. Il nostro invece è un impatto sottozero, come il film di Jerry Calà del 1987 e come Subzero di Mortal Kombat che c’aveva la meglio fatality secondo me, perchè bene rappresentava l’essenza del pop e anche quella del minculpop, di Pol Pot, di Pot Op (inteso come potere operaio) e delle purpette di mmerda di Diego Abbattantuono che ha fatto successo plagiando e copiando Giorgio Porcaro indimenticata star di SI RINGRAZIA LA REGIONE PUGLIA PER AVERCI FORNITO I MILANESI). Diego poi è noto che fa sesso coi pesci come Troy McLure dei Simpson però la fine di Troy McLure l’ha fatta fare a Giorgio Porcaro

E tutto torna al fatto che dopo Time To Move gli H-Blockx se ne siano usciti addirittura con una cover di The Power degli Snap (con relativo, prestigiosissimo featuring di Turbo B in carne e minchia) sta giusto lì a confermarlo implicitamente, anche se mi dicono dalla regia che all’epoca gli H-Blockx stavano agli Sugar Ray come i Litfiba stavano ai Diaframma ed io devo per forza essermi perso qualcosa ma giassapete che ho dovuto scrivere questa cosa perchè ogni pezzo pop inizia e termina con quello che è già stato scritto.

Bon, vado a mangiare che sono le 12.13, il pezzo è finito e poi devo andare a un mercatino dell’usato. E non è un caso che la pubblicità del caciucco Buitoni la faceva Abatantuono e la Buitoni era lo sponsor del Napoli di Maradona. Sono le 12.36 e vado davvero a mangiare, stavolta il pezzo è finito qui davvero, non ci penso nemmeno a rileggerlo e a editarlo.

http://spadrillasindamist.blogspot.com

Jerry Calanza omo de panza omo de sostanza: tornano i Primus e sono cazzi amari, soprattutto per chi negli anni d’oro li aveva abbandonati per seguire gruppi-caricatura tipo i Molotov.

 

Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi: questo è il primo risultato che si ottiene digitando su Google Images "Jerry Calà Brown Album". Vorrei stringere la mano al'ideatore di questa foto, ma soprattutto vorrei capire perché ho cercato prorio "Jerry Calà Brown Album". Qualora l'ideatore della foto si facesse vivo chiedendone la rimozione per pelose questioni di diritti d'autore, nessun problema: provvederemo subito a sostituirla con il quarto risultato, ossia una foto delle Pipettes.

La prova provata del fatto che nelle annate 1997-1998-1999 facevamo schifo (plurale maiestatis, non voglio insultare nessuno) è che eravamo talmente in fotta con il crossover che ci siamo spinti (altro plurale maiestatis, delirio di onnipotenza) talmente in basso da arrivare ad ascoltare roba come i messicani Molotov, facendoceli pure piacere parecchio e consumando la copia del loro album di debutto ¿Dónde Jugarán las Niñas?. Finita la fotta (che comunque è durata quasi quattro lunghi e durissimi mesi, mica due settimane) il cd in questione è stato prestato ad un amico che fortunatamente non l’ha mai più restituito, ma resta il fatto che quella dei Molotov era roba talmente dozzinale e priva della benché minima ragione di esistere che il disagio interiore per averli ascoltati molto è tanto. Gag da terza media ultimo banco vicino alla finestra, pretesa di avere testi di denuncia sociale, pretesa di essere i Mano Negra messicani con le chitarre oppure i Rage Against Machine su un treno che attraversa l’America Latina, chitarre mariachi che sbucano qua e là in una selva di chitarre mediamente rock, voci fastidiose, basso slap, saccheggio spudorato di idee altrui ed un video in programmazione fissa ad Mtv Superock hanno fatto sì che i Molotov godessero di una certa esposizione anche in Italia ed arrivassero a piacere a gente come me che in quegli anni si è bevuta come se nulla fosse anche pantomime rapcore come gli Hed (P.E.) – un gruppo che ormai esiste solo al Rock Planet di Pinarella di Cervia e nella mente dei reduci di quegli anni – ma che ha avuto il coraggio di cancellare tutto con un deciso tratto di penna non appena ha raggiunto una certa maturità (subito dopo l’esame di maturità a cui hanno fatto seguito un’estate da leone, l’università, la vita reale). Poi per carità abbiamo anche provato (altro plurale maiestatis, Delirium Tremens) ad ascoltare anche il seguito-di-cui-non-ricordo-il-nome-e-non-lo-voglio-nemmeno-cercare-su-Wikipedia (in realtà l’ho cercato, si chiama Apocalypshit ed era prodotto addirittura da Mario Caldato Jr.) ma non ce l’abbiamo fatta, faceva troppo schifo anche a noi o più probabilmente eravamo cambiati davvero. E se penso che i Molotov sono ancora in giro e poco tempo fa hanno pure suonato a Milano ad un festival da studenti fuorisede fissati con Hugo Chavez, Fidel Castro e Diego Armando Maradona l’autostima aumenta tantissimo, raggiungendo livelli degni del Vittorio Sgarbi più visionario (quello che insultava i tre del Trio Medusa apostrofandoli con l’illuminante epiteto “culattoni raccomandati”).

Come sono arrivato a ripensare ai Molotov? Semplice: ho visto il trailer di Pipì Room (capolavoro del mio Maestro di Vita Jerry Calà) e con una libera associazione mentale piuttosto maschilista e sbilenca ho subito pensato subito al titolo del disco d’esordio dei Molotov. Se poi ricordiamo che ¿Dónde Jugarán las Niñas? nasceva come storpiatura del titolo del best seller della band messicana Manà ¿Dónde jugarán los niños? il calembour da seconda superiore Jerry Calà-Jerry Manà viene in automatico e da Jerry Calà si finisce dunque dritti ai Molotov (e non si torna più indietro). Però Jerry Calà Was a Race Car Driver ed allora ecco che ci si rende anche conto che Jerry Was A Race Car Driver è forse il brano che esprime meglio cosa sono stati i Primus (e cosa sono, e cosa saranno), la loro grandezza e la loro superiorità. È colpa mia (niente plurale maiestatis in questo caso, ma è come se lo avessi usato) se negli anni in cui esplodeva il crossover ed anche gruppi come i Molotov avevano un loro posto al sole i Primus uscivano con un disco sottotono come il Brown Album e poi sceglievano di defilarsi dopo averci regalato un EP di cover ed una mezza cagata come Antipop. Addirittura pensavo si fossero sciolti per sempre, invece qualche tempo fa (o forse fra qualche giorno, o forse oggi – visto che in rete i dischi escono prima della loro reale data di uscita, che nessuno sa qual’è) i Primus se ne sono inaspettatamente usciti con un disco nuovo che risponde al titolo di Green Naugahyde ed è semplicemente clamoroso. Les Claypool e Larry LaLonde sono ancora della partita mentre alla batteria c’è il primissimo batterista della band Jay Lane, e questa cosa fa parecchio ridere perché pur essendo stato il primo batterista è all’esordio assoluto su disco. Comunque, nessuna innovazione particolare, nessuna rivoluzione copernicana, solo un disco dei Primus talmente riuscito bene da riportare di colpo le lancette del tempo indietro di almeno vent’anni (ti pare poco?). E dunque, funk bianchissimo tipo Parliament che hanno sniffato un sacco di candeggina e si divertono parecchio (Tragedy’s A’Comin’, Lee Van Cleef), cavalcate psyco-metal-funk che dopo un paio di minuti inizia a colarti il cervello dalle orecchie e devi recuperarlo utilizzando un cucchiaino (Last Salmon Man, Moron TV) o una cannuccia (Hennepin Crawler), divertissement zappiani vari ed assortiti (HOINFODAMAN) che ti convincono del fatto che i Primus sono una band invecchiata talmente bene da suonare più attuale oggi di venti e passa anni fa (cosa che in tempi in cui si grida al miracolo perché tre vecchi tromboni+loro figlio alla chitarra presentano il loro disco nei cinema di mezza Europa non è cosa da sottovalutare). Bentornati Primus.