Su un Rumore del ’98 lessi la recensione di Acme, disco del mese –e poi dell’anno. La rece iniziava con “This is blues power!”, strilla Jon Spencer nell’iniziale Calvin. Seguono cose a caso. Pensai che, visto quanto cazzo era urlato l’attacco nel disco precedente (che m’ero fatto doppiare sul nastro dal negoziante, perchè ai tempi lo facevano), Acme sarebbe stato il disco più necessario della storia del rock da lì a dieci anni a venire. Nel ’98 ero in bolletta, avevo da poco comprato il mio primo lettore CD e di andare al negozio di dischi per sentirmi l’ultimo disco della Blues Explosion senza la possibilità di potermelo comprare non se ne parlava –una questione emotiva. Raggranellavo gli spicci che cadevano dalle tasche dei miei fino a fare le trentacinque-quarantamila lire che servivano a comprare un CD, che per un ventunenne era un comportamento del tutto inaccettabile. Non avevo amici che si cagavano Jon Spencer o il punk-blues che andava in quegli anni, così ci vollero diverse settimane da quando lessi la recensione per riuscire a racimolare due spicci, andarmene al mio negozio di dischi preferiti, metterlo sul lettore CD portatile con cui il gestore gestiva il preascolto e scoprire che Jon Spencer diceva this is blues power con un tono di voce declamatorio ma tranquillissimo E che Acme non pestava manco un quinto di Now I Got Worry. Qualche settimana dopo entravo dal tabaccaio del mio paese per inviare via fax (a prezzi giudaici, tra le altre cose) la mia recensione dello stesso disco ad un tizio che gestiva una fanzine di cui non ricordo il nome (neanche del tizio, peraltro). La recensione era scritta da un computer della facoltà e per riuscire a stamparla avevo fatto i salti mortali. Una bagascia di sessantadue anni che bazzicava il centro del mio paesino si dimostrò particolarmente interessata ai miei andirivieni in tabaccheria e andò a spifferare a mia madre che avevo preso una brutta china. Mia madre ci mise un paio di mesi ad affrontarmi testa a testa, probabilmente passati a frugare segretamente nel mare di tavole A4 che imbrattavo da mattina a sera invece di studiare.
Negli ultimi tre giorni ho scaricato sette dischi, un libro, film e un documentario. Ho visto una dozzina di episodi di serie televisive in streaming, ascoltato dei dischi in streaming, scaricato pezzi sciolti in giro per la rete. La maggior parte delle cose che ho ascoltato o scaricato sono stati messi in download dalle band o dalle etichette che li hanno editati. Ieri mi sono pappato la colonna sonora di Social Network solo per capire se la recensione che era apparsa su Ondarock era -o no- piena di fregnacce post-cervello come sembrava (spoiler: lo è). Nonostante fossi il fortunato possessore di una decina di dischi nuovi tutti da scoprire, l’altra sera notte ho comprato un disco al banchetto di un gruppo che ho sentito dal vivo. Poi ho pensato di scrivere la recensione di cinque dei dischi di cui sopra, appunti mentali e cose simili, pensare alla sistemazione di uno o degli altri, magari qui, magari qua, qui ci potrebbe essere il pezzo su questo e su quest’altro. Arrivato al lunedì sera non ho nessuna voglia di farlo. Oggi sui network è successo che tra poco arriva il nuovo Ardecore, che quella mezzasega di Wavves è stato beccato in Germania con del fumo ed è uscito il primo 10.0 di Pitchfork ad un disco di inediti dai tempi di Yankee Hotel Foxtrot (il nuovo di Kanye West, se vi interessate di queste cose). Sono a conoscenza di cose perlopiù banali e ininfluenti se teniamo in conto il quadro d’insieme e con l’altra mano mi bullo di non avere nessuna curiosità legata al mondo musicale, di non avere il feedreader in tiro e di non essere MAI collegato a cose tipo soulseek, emule o qualsiasi altro programma di file-sharing illegale su cui si gioca la partita del Grande Anticipo. Sostengo un’etica inflessibile secondo quale avere un buon parere è meglio che avere un parere in tempi utili, che è meglio comprare i dischi a diciotto euro nei negozi di quanto lo sia scaricarli gratis o pagarli nove euro su internet, che la cultura si sviluppa attraverso il progressivo affastellarsi di shock culturali, tra i quali NON è compreso il primo disco degli Arcade Fire.
Luca Castelli chiude un cerchio ideale mettendo in download gratuito sul suo blog il pdf de La Musica Liberata, il suo libro uscito un annetto fa per Arcana. Al suo interno c’è un resoconto di tutto quello che è successo tra il primo e il secondo capoverso del pezzo che avete avuto la cortesia di leggere, tra le altre cose un’evoluzione orizzontale del gusto che mi permette di aggiornare questo blog alle dieci di sera. Domani sarò più grasso di un chilo rispetto alla settimana scorsa e dodici chili rispetto a dodici anni fa. Cifra tonda. Il libro contiene gossip, cose note, dati stuzzicanti, cifre in chiaro, mondi possibili e un sacco di aneddoti piuttosto divertenti su di noi cinque o sei o dieci anni fa. Rileggerli è come quando ascolti per la prima volta Tapparella di Elio. Revolutions start at home, preferably at the bathroom mirror. A volte le rivoluzioni arrivano alla fine che manco ci sono uscite, di casa.